All’interno delle opere letterarie distopiche della fine dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, il romanzo 1984 di George Orwell viene unanimemente considerato il punto finale e definitivo di un genere. È l’ultima utopia negativa, come tradizionalmente viene intesa: dopo le opere di H.G. Wells, Evgenij Zamjatin e Aldous Huxley, Orwell rappresenta la conclusione più ovvia e coerente. Ed è una conclusione angosciosa e priva di speranza, che traduce tutti i caratteri di disincanto e disillusione che accompagnano la vita e le opere dello scrittore. In questo senso, la data del titolo dell’opera, l’anno di pubblicazione e l’ambientazione in cui si svolge la storia, sono solo alcune delle prove inconfutabili che portano a considerare l’Oceania di 1984 la descrizione definitiva del peggiore dei mondi possibili.
Il libro viene scritto nel 1948 (invertendo le ultime due cifre, l’autore dà il titolo al romanzo) e pubblicato nel giugno del 1949, quindi dopo la Seconda Guerra Mondiale e i grandi regimi totalitari che hanno caratterizzato il XX secolo, in un’epoca in cui il mondo si stava dividendo in due zone di influenza contrapposte. L’autore aveva ben presente la situazione storica, avendo vissuto gli accadimenti in prima persona sia attraverso un impegno politico attivo sia attraverso una costante critica della società in cui operava. A differenza dei precedenti scrittori di opere letterarie distopiche, Orwell possiede perciò una visione più completa e lucida della realtà e dei possibili scenari a cui avrebbe potuto andare incontro la società che ne sarebbe seguita.
Sulla base di questa visuale privilegiata, lo scrittore decide di ambientare il romanzo nell’anno 1984. Questa scelta è molto significativa. Rispetto alle opere letterarie distopiche pubblicate sino a quel momento, Orwell non colloca la narrazione in un futuro lontanissimo, ma solo trentasei anni dopo la fine dell’ultima stesura. Questo dato fa pensare che il futuro, profetizzato dallo scrittore, fosse in realtà già presente nella società degli anni Cinquanta del XX secolo. Con ciò egli ammoniva che, se si fosse continuato a percorrere quella strada, si sarebbe raggiunto, da lì a pochi anni, il terribile universo descritto nel romanzo.
Un’importante raffigurazione riguarda l’ambientazione dell’opera. La capitale dell’Oceania è Londra. Una Londra squallida, sporca, costantemente bombardata, ormai in rovina. Orwell pone la sua distopia nel cuore del continente europeo, al centro del mondo reale. È un altro monito per le generazioni future: anche nella culla della democrazia, al centro del sistema occidentale, si possono annidare i germi del totalitarismo, della Psicopolizia, del Grande Fratello.
Il riferimento al mondo reale è presente in tutto il romanzo. I richiami alla situazione attuale sono costanti e fanno sì che l’opera debba essere letta e analizzata da un ulteriore punto di vista: non più, o meglio non solo, come frutto della pura fantasia dello scrittore, ma come il risultato di un’attenta analisi, di una lucida critica che sfocia in una serrata denuncia, in un atto di accusa a un sistema privo di valori.
Prendendo in esame alcuni dei principali temi dell’opera, si possono notare chiare affinità non solo con la società del tempo ma anche, grazie a un intuito profetico non comune, con quella dei nostri giorni.
Uno degli aspetti più inquietanti contemplati nel romanzo è quello che attiene al potere occulto dei mass media. Oceania è invasa da Teleschermi ed è tenuta sotto controllo dal Grande Fratello. Ponendo in relazione 1984 con il Panopticon di Jeremy Bentham, si riscontrano analogie e la capacità, da parte di Orwell, di prevedere il pericoloso sviluppo della tecnologia mediatica. Il Panopticon è, apparentemente, una proposta per risolvere il problema delle prigioni: un edificio a pianta circolare, con al centro una torretta dove si trova un unico controllore che così può vigilare i vari settori della costruzione circostante, nella quale sono alloggiati i detenuti. Ogni cella risulta visibile in tutta la sua estensione; i prigionieri non possono vedere il guardiano, ma sanno di essere visti. Questo tipo di struttura vuole rappresentare un modello utopistico di organizzazione della società.
Oceania rappresenta per eccellenza la struttura panottica, che tuttavia non potrà sussistere e si rivelerà pura utopia. Il Teleschermo, cioè il Controllore, diventa un simulacro: dietro il Teleschermo c’è il vuoto; il medium proietta l’immagine di un controllore che non esiste. Orwell annulla quindi la tensione fra il sorvegliante e il sorvegliato che era presente in Bentham: in Oceania tutti sono guardati, e al posto del Controllore c’è il Teleschermo. 1984 supera il sistema panottico e profetizza la presenza capillare del televisore e del potere occulto dei media, che annulla il libero pensiero tenendo l’individuo asservito.
Perché proprio il televisore, e non altri mezzi di comunicazione di massa, per esempio la radio che, come strumento di propaganda e controllo ideologico, durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale era già una realtà? Orwell prevede che sarà la televisione a essere onnipresente nel tempo avvenire. E sarà vate in tempi non sospetti: il primo televisore era stato progettato da Baird nel 1926, le prime trasmissioni sperimentali erano apparse attorno al 1935, in Inghilterra e negli Stati Uniti s’iniziò a parlare di televisione non sperimentale solo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ciò che è profetico non è l’idea che la televisione ci permetterà di vedere fatti e persone distanti migliaia di chilometri, ma che quelle persone potranno vedere noi. È questa l’idea del controllo a circuito chiuso, che si applicherà nelle fabbriche, nelle carceri, nei locali pubblici. Un’immagine avveniristica che solo più tardi Michel Foucault avrebbe ripreso dall’idea benthamiana del Panopticon.
Orwell, però, suggerisce in Oceania qualcosa di più: la minaccia che il mondo intero si trasformi in un immenso Panopticon.
1984 è chiaramente la rappresentazione del totalitarismo che vigeva al tempo dell’autore, e l’avversione di quest’ultimo per tale sistema si ritrova in ogni pagina del libro. Egli si riferisce, in particolare, alla lotta Stalin-Trotsky, alle grandi purghe che avvenivano in Unione Sovietica. L’enciclopedia sovietica che rivendicava agli scienziati russi le grandi scoperte scientifiche del secolo, l’attribuzione al dittatore di tutte le imprese storiche che avevano portato al trionfo del regime, persino la correzione continua della storia, tutto ciò era già cronaca, anche se rimossa.
Tutte le denunce nei confronti del regime sovietico hanno portato la critica letteraria e politica a ritenere 1984 un testo accusatorio verso il solo blocco sovietico. Addirittura, fino al 1989, il romanzo era una lettura proibita in Unione Sovietica e in tutti i Paesi dell’allora blocco socialista. Per decenni, possedere un esemplare del libro costituì una prova a carico nei processi politici. Anche la critica europea, soprattutto subito dopo la pubblicazione, poneva l’accento quasi esclusivamente sulla questione politica e sugli aspetti di denuncia al socialismo. Solo in tempi più recenti Orwell e la sua opera sono stati rivalutati secondo una prospettiva più giusta e obiettiva. Si deve infatti tenere in conto l’appartenenza dell’autore a una nazione, l’Inghilterra, che usciva dalla Seconda Guerra Mondiale vincitrice sul nazismo, e molte delle atrocità che si celebrano in Oceania ricordano da vicino appunto costumi e riti nazisti: si pensi, ad esempio, alla pedagogia dell’odio, al razzismo che separa i membri del Partito dai prolet, ai bambini educati a spiare e denunciare i genitori, al puritanesimo della razza eletta per cui il sesso deve valere solo come strumento eugenetico. Quello che fa Orwell non è tanto inventare un futuro possibile, ma incredibile, quanto analizzare un passato credibilissimo perché è già stato possibile. L’autore insinua il sospetto che il mostro del XX secolo sia stato la dittatura totalitaria e che le differenze ideologiche, in tale sistema, contino molto poco.
Per analizzare a fondo la relazione tra 1984 e la realtà, è significativo porre in rapporto il libro con un’altra opera, Arcipelago Gulag di Aleksandr Solženicyn. Apparentemente queste due opere hanno poco in comune: l’una considerata frutto dell’immaginazione, della fantasia, seppur con degli espliciti richiami alla storia, l’altra, al contrario, frutto dell’esperienza diretta dello scrittore russo. Al di là delle differenze che si possono ritrovare nelle storie di vita dei due scrittori e dei diversi sfondi culturali e politici in cui operarono, i due libri si completano a vicenda. Entrambi svelano le strutture più profonde del sistema totalitario nei suoi aspetti più inquietanti e perversi.
Il gulag è, quasi, l’Oceania di 1984, vissuta in modo crudo da milioni di esseri umani nella decadenza e nella degradazione quotidiana, senza le architetture della fantascienza. L’universo di 1984 è inoltre immerso nella paura e nella menzogna prodotte dall’apparato in cui si vive; esemplificativi sono i campi di rieducazione sui quali Winston Smith, il protagonista del romanzo, non ha il coraggio di prendere informazioni. Winston non vuole conoscere le implicazioni del Potere, e in modo simile i sovietici rifiutavano di sapere alcunché sui campi di lavoro che pur costituivano una parte integrante della loro realtà. Questo rifiuto li rendeva complici dei metodi del potere, e la complicità è una delle colpe più gravi che il protagonista del romanzo di Orwell dovrà espiare.
L’esperienza di Winston può essere paragonata a quella del giovane Solženicyn: quando il primo viene arrestato si rende conto che la prigione non è che la logica conseguenza della vita fino allora condotta in Oceania; il secondo racconta che, quando venne arrestato, pur proclamando la sua innocenza, ponendosi in modo incessante la domanda ‘perché io?’ arrivò infine a comprendere che la domanda da farsi era un’altra: ‘perché non io?’. Come in Oceania, nel sistema reale sovietico era consentito che tutti potessero essere imprigionati in qualunque momento.
I due libri, seppur collocati in epoche differenti, affrontano ambedue come tema principe i pericoli del totalitarismo. Entrambi denunciano senza mezzi termini il sistema di dominio assoluto che porta a non distinguere il vero dal falso, il bene dal male. Quello che più sorprende è la comune preoccupazione dei due autori di salvare la lingua dalla corruzione della parola e, di conseguenza, del pensiero: in Arcipelago Gulag, Solženicyn, durante la sua permanenza nei campi di rieducazione, lavora a un dizionario di parole e di idiomi minacciati di scomparire a causa della lingua imposta dalla propaganda politica; in 1984, la Neolingua tende a soffocare la lingua vivente fino a farla scomparire.
I finali divergono: Winston Smith soccombe, solo di fronte al sistema, muore amando il Grande Fratello; Solženicyn, al contrario, ritrova, grazie alla fede, la solidarietà umana. Ma il messaggio dei due libri converge in un’esigenza morale comune: conservare la memoria e ammonire le generazioni future. Sia a Orwell che a Solženicyn premeva mettere in evidenza il pericolo che si potrebbe correre o che si è già corso nel tentativo di creare una struttura conservatrice e totalizzante che soffoca l’individuo, annullandolo nelle sue facoltà e potenzialità.
Si è accennato alla Neolingua. Questa è, senz’altro, uno tra i processi più terrificanti e complessi, che lo scrittore delinea. Il tema della lingua è strettamente collegato a quello della cultura e può essere considerato una delle problematiche più attinenti alla realtà di 1984 e, per l’autore profetico, alla realtà del nostro tempo. Nel romanzo di Orwell, come in quasi tutte le opere utopiche e distopiche, la cultura, soprattutto nella forma letteraria e poetica, è annullata dal Potere assoluto. Questo ritiene l’arte un’espressione del pensiero, della fantasia, della conoscenza di ciò che avviene, troppo pericolosa per essere lasciata incontrollata. Gli unici due libri che compaiono in 1984 sono il diario del protagonista e il libro di Goldstein, capo dell’opposizione denominata Fratellanza; parrebbero presentati come volumi rivoluzionari negli intenti e nei contenuti, ma, come analizzeremo più avanti, sono complementari alle modalità del potere esercitato dal Partito che governa.
In Oceania si continua a correggere la storia passata per allinearla con quella divulgata nel presente dal Grande Fratello; i testi vengono scritti da macchine assai simili ai computer, e gli intellettuali sono tutti impegnati al Ministero della Verità (anche Winston Smith), cioè nel luogo dove si fabbricano le menzogne. La letteratura è morta, non esiste più come espressione di libero pensiero. Questa fine della cultura è dovuta alla mancanza di parole per esprimere i concetti: la Neolingua ne contempla un numero di molto inferiore a quello dell’Archeolingua che sta per scomparire. Il paradosso che sottende alla compilazione della stesura definitiva del vocabolario della Neolingua è inquietante: l’eliminazione delle parole eterodosse o, in qualche modo, ritenute pericolose determina anche l’annientamento della loro sostanza concettuale. La Neolingua si fonda sul fatto che l’individuo subisca una serie di microlesioni dei centri nervosi cerebrali preposti all’attività del pensiero e del linguaggio; l’effetto finale dovrebbe essere, nelle intenzioni del Partito dominante, la riduzione dell’attività mentale degli individui a una serie di coppie ‘stimolo-risposta predeterminata dal Potere’. Le caratteristiche della struttura della Neolingua sono esposte nell’appendice del libro, che prende appunto il titolo de I Principi della Neolingua. Un esempio può chiarire il fine a cui mira il potere egemonico: “La parola libero esisteva ancora in neolingua ma poteva essere usata solo in affermazioni come ‘questo cane è libero da pulci’ oppure ‘questo campo è libero da sterpi’. Non poteva essere usata, però, nell’antico significato di ‘politicamente o intellettualmente libero’, dal momento che la libertà politica ed intellettuale non esistevano più come concetti e non vi era, perciò, una parola che li esprimesse.”
Un’altra utilizzazione distorta del linguaggio è il bispensiero, cioè la capacità di sostenere simultaneamente due opinioni in palese contraddizione tra loro e di accettarle entrambe come esatte. La regola del processo totalitario consiste nell’usare un inganno cosciente e nello stesso tempo mantenere una fermezza di proposito che dimostri una totale onestà: spacciare deliberate menzogne e credervi, ignorare ogni avvenimento scomodo, in definitiva negare l’esistenza della realtà. Quindi, credere realmente a tutto quanto sostenuto dall’oligarchia, prendere come incontrovertibile certezza – se il Partito lo desidera – che “2+2 è matematicamente 5”.
Il ricordo del passato viene abolito per due ragioni: la prima è che i membri del Partito Esterno e i prolet sopportano le condizioni di vita a cui sono costretti in Oceania proprio perché non possiedono alcun mezzo di confronto (tutti i documenti, i libri e la letteratura di epoche precedenti sono stati distrutti); la seconda è la salvaguarda dell’infallibilità del Partito, che effettua un continuo aggiornamento della storia per sembrare non mutar mai opinione né sbagliare mai le sue previsioni.
A Orwell importava accentuare il fatto che una contrazione del linguaggio produce una riduzione nella capacità di astrazione e giudizio, fino a un livello in cui la riflessione e l’analisi non hanno più luogo. Si tratta sicuramente di un paradosso: lo scrittore aveva ben presente che esistono forme di comunicazione non verbale e che l’uomo, in ogni caso, non è un computer che elabora dati sulla base esclusiva delle informazioni che gli vengono fornite. Egli intendeva, comunque, sottolineare come anche il linguaggio sia un forte alleato e un decisivo strumento nelle mani del potere oppressivo.
Per condurre una critica al Partito e alla sua tattica, Orwell doveva utilizzare lo stesso linguaggio, ossia un linguaggio astratto, staccato dalla realtà, che si presta a un’ambigua interpretazione, in definitiva tautologico e totalitario, un adeguato corrispettivo del double think di Oceania. All’interno del testo, si notano numerosi e puntuali esempi di contraddizioni dialettiche. Innanzitutto, i tre slogan del Partito ‘guerra è pace, libertà è schiavitù, ignoranza è forza’ e i nomi attribuiti ai quattro Ministeri che organizzano la vita in Oceania e le loro rispettive funzioni. Anche l’episodio dell’improvviso cambiamento delle alleanze nel perenne gioco bellico fra Oceania, Estasia ed Eurasia può essere considerato facente parte di incoerenza. Addirittura nell’incipit del romanzo si può già comprendere l’importanza della lingua e dell’uso che ne fa il Potere: “Era una luminosa, fredda giornata d’aprile, e gli orologi battevano tredici colpi”. L’universo appare subito straniato, deforme; nessun orologio batte, di norma, tredici colpi e, attraverso questo, lo scrittore mette subito in guardia il lettore. Inoltre, questa frase rappresenta anche una violazione della norma del tempo atmosferico in Occidente: aprile in Oceania è luminoso e freddo, non piovoso come verrebbe da immaginare.
Attraverso la lucida e spietata critica alla lingua, alla cultura, all’arte e alla letteratura, Orwell denuncia il ruolo che la figura dell’intellettuale riveste sotto qualunque regime totalitario. L’intellettuale che, secondo lo scrittore, dovrebbe essere il tramite ideale fra la cultura e le persone, e sempre libero di esprimere il proprio pensiero, si trasforma in Oceania (e, come sappiamo, in tutti i sistemi totalitari) in strumento utilizzato dal Potere. In un universo in cui vige la dittatura, la corruzione della parola e l’impossibilità di espressione conducono a opere stereotipate e standardizzate, costantemente sottoposte al controllo, e messe al bando se giudicate contrarie ai dettami del regime. A tutto ciò si dovrebbe opporre l’intellettuale, politicamente impegnato, che attraverso l’uso della ragione delinei modelli di vita di logico equilibrio. Una violenta critica è nei confronti di quegli intellettuali che, sotto i regimi totalitari, scendono a patti con il potere, non per convinzioni ideologiche ma per semplice paura. Si nota come il rapporto tra i due protagonisti di 1984, O’Brien e Winston Smith, si manifesti anche nell’antinomia fra due intellettuali giunti, per strade diverse, al più basso livello di degradazione. Il primo, che nel dialogo con la sua vittima esibisce una capacità argomentativa senza pari, e che vive in un mondo raffinato, è il rappresentante di un universo in cui il potere è stato consegnato nelle mani di intellettuali come lui, attratti da un’ambizione di dimensioni cosmiche: l’edificazione di un sistema politico privo di errori, perfetto in ogni suo aspetto. Il secondo, distrutto nel fisico e nell’anima, diventa l’esempio di ciò che attende i difensori della parola nei luoghi in cui la scrittura, la letteratura, gli oggetti, le persone e i pensieri che conferiscono forma all’arte non possono esistere ed esprimersi. In questo senso, il fallimento di Winston è il fallimento di Orwell come intellettuale: l’incapacità dello scrittore di modificare lo stato di cose per una sorta di complesso di inferiorità rispetto al politico. Probabilmente l’autore percepiva, negli anni in cui scriveva il romanzo, il fatto che il potere politico, e non quello culturale, possedesse strumenti maggiormente adeguati per riuscire a dettare regole di supremazia. Orwell si rendeva conto che la propria posizione risultava velleitaria e vuota a fronte di uno schema organizzativo che proponeva un processo di controllo totale. In tal modo, 1984 diventa un apologo non solo e non tanto sulla degenerazione storica e politica del mondo contemporaneo, quanto sulla degenerazione politica e morale del soggetto che tale mondo pensa e interpreta.
1984 è stato definito un romanzo distopico. Confrontando le opere letterarie precedenti, si nota come l’autore denunci le opere utopiche classiche in maniera chiara e forte. Egli manifesta il suo giudizio in due modi: il primo è quello di contraddire le caratteristiche delle città ideali, descrivendo Oceania come l’esatto contrario dei mondi perfetti del passato; il secondo è quello di ingigantire determinate peculiarità delle utopie passate, facendone quasi una parodia. Perché a Orwell premeva compiere questa operazione di critica nei confronti dei suoi predecessori? La risposta si può trovare nel fatto che l’autore considera l’utopia tout court un nemico, non entrando nel merito e quindi non differenziando le opere utopiche le une dalle altre. Questa è, senz’altro, un’operazione scorretta da un punto di vista metodologico e storico: vi sono delle diversità fra le opere sia dal punto di vista del contenuto (utopie essenzialmente politiche, urbanistiche, economiche) sia da quello temporale (non è corretto paragonare opere distanti secoli le une dalle altre). Il bersaglio diventa allora l’utopia in sé (e il modo di pensare e di agire che sta alla base di un’opera utopica), un’utopia che crea universi totalitari, che tende al consolidamento dell’omogeneo, della ripetizione, dell’ortodossia. Orwell costruisce quindi Oceania come una grande utopia conservatrice e priva di ogni libertà fondamentale. Il messaggio è chiaro: se il migliore dei mondi possibili dovesse realizzarsi, non si otterrebbe il paradiso promesso ma il peggiore degli inferni. Uniformità sociale, assenza di storia e di passato, controllo sulla famiglia, sulla sessualità, sull’amore, sulla cultura, sull’educazione, sulla religione sono solo alcuni dei temi presenti nel programma dell’impianto totalitario, ancora più ingigantito e deformato in Oceania. Per Orwell, il termine chiave è contraddizione. L’utopia si presenta come il mondo della libertà, dei desideri, dei bisogni, ma, alla fine, queste città si riveleranno luoghi di costrizione dove tutto è regolamentato e ordinato in relazione al fine ultimo e unico: la stabilità dello Stato. L’utopia punta a realizzare la completa affermazione dell’individuo mentre, in realtà, ritrova la negazione e la subordinazione del singolo in favore della collettività. Utopia si può considerare la fuga dai mali del presente per raggiungere un futuro possibile, anche se lontano; nell’opera di Orwell, invece, cancella ogni dimensione temporale, elimina la storia e si fissa in un presente senza prospettive. L’utopia indica la proprietà privata come fonte principale dell’oppressione e della sofferenza dell’uomo, e ne sopprime pertanto i principi instaurando varie forme di comunismo che provocano dei modelli di dominio e di oppressione uguali, se non peggiori, di quelli sviluppatesi nei regimi basati sulla proprietà privata.
Queste contraddizioni di fondo sono presenti in ogni pagina del romanzo di Orwell. Egli, a differenza degli altri autori di opere letterarie distopiche, rende esplicita la sua critica e il suo rifiuto al modo di concepire il migliore dei mondi possibili. Oceania, dunque, non è solo la rappresentazione di una realtà distopica o un’assurda proiezione del presente, ma anche una parodia grottesca di quell’utopia stessa, intesa come modello razionale o come programma ideale.
Rispetto alle opere precedenti dell’autore e rispetto alle altre opere distopiche, quello che rende 1984 un libro disincantato, pessimistico, inquietante in tutti i suoi aspetti è la profondità delle riflessioni che Orwell compie non solo verso la situazione storico-politica, ma soprattutto nei riguardi dell’individuo singolo. Confrontando 1984 con La Fattoria degli Animali (Animal Farm, 1945), la differenza principale che si nota riguarda proprio il binomio collettività/individualità. La Fattoria degli Animali può essere considerata una distopia allegorica in forma di favola. I simbolismi sono espliciti e il lettore non fa fatica a comprendere la chiara satira sulla rivoluzione bolscevica e sullo stalinismo. Tale opera è definibile distopica in quanto la società perfetta basata sull’uguaglianza degli animali si trasforma nella peggiore delle dittature, costruita sul terrore e sulla subordinazione di molti a pochi. Anche in questo libro, a Orwell non interessava soffermarsi sulle dispute ideologiche riguardanti il socialismo o gli altri modelli di società; egli dimostra come l’umanità intera venga sempre più disumanizzata. Manca un personaggio nel quale Orwell stesso si identifichi, e questa figura viene sostituita da una proiezione collettiva: sono gli animali, cioè gli uomini, nel loro complesso a sperimentare la rivolta, la speranza e la sconfitta. Non accade come nelle altre opere dello scrittore, in cui veniva delineato prima il conflitto poi il fallimento individuale; in questo caso tutti gli uomini sono coinvolti e il fallimento è generalizzato.
La Fattoria degli Animali è una parabola, un’allegoria pessimistica, ma non ancora priva di spiragli di speranza: la forma narrativa utilizzata da Orwell rende il testo meno drammatico e meno angoscioso; la favola, tradizionalmente, lancia un messaggio, ma non vuole essere la copia di una realtà che appare comunque lontana. Questa allegoria e questa ‘leggerezza’ verranno abbandonate con 1984, in cui l’angoscia e l’assenza di speranza non lasciano spazio ad alcuna possibile interpretazione e ad alcun simbolismo, rappresentando una realtà lontana, ma possibile.
Ciò che rende 1984 un romanzo pessimista è l’analisi concentrata sul singolo. Lo scrittore denuncia il fatto che si è passati dalla società pre-individualista alla società post-individualista, senza che se ne sia mai realizzata – se non in modo limitato – una capace di tener conto dell’individuo, ossia di persone autocoscienti, critiche, autonome. I soggetti (Winston Smith, la sua compagna Julia, i prolet) sono sconfitti, falliscono e non hanno alcuna possibilità di opporsi alla società oceanica, rappresentata da O’Brien, dal Grande Fratello, dalla Psicopolizia. L’uomo, quindi, è sacrificato a vantaggio della collettività. Come la libertà si oppone all’autoritarismo, così l’individualismo è la negazione del totalitarismo che, per sua natura, è antindividualista. Orwell teme e rifiuta una situazione olistico-organicistica dove l’individuo è al servizio della società secondo un modello gerarchico; egli, al contrario, auspica il passaggio a un sistema individualistico e liberale, dove la società è al servizio dell’individuo.
La vera e profonda critica di Orwell è rivolta ai singoli per il ruolo che occupano nella società. Nel periodo storico e sociale in cui egli scriveva 1984, l’individuo sembrava essere puro ingranaggio senza possibilità di pensiero e di azione. Il romanzo descrive proprio come il rapporto dell’individuo con la società, nei regimi totalitari, non esista, sostituito dall’unico rapporto possibile, quello con il regime stesso.
La figura di Winston Smith è rivelatrice del pensiero dello scrittore. Il protagonista è preso ad esempio di tutti gli uomini del XX secolo (nell’intenzione di Orwell, 1984 si sarebbe dovuto intitolare The Last Man In Europe), e per meglio rappresentarli deve assommare in sé un vero e proprio campionario di psicosi: onirismo, complesso di colpa, sindrome di Stoccolma, zoofobia e poi claustrofobia, schizomania, nevrosi sessuale e così via. Winston è solo l’esempio, ma tutti gli abitanti di Oceania sono afflitti da psicopatologia della vita quotidiana; essi soffrono perennemente sia a livello fisico sia sul piano mentale. Lo scrittore, inoltre, attribuisce al protagonista caratteristiche di incoerenza. Winston appare un eroe, un ribelle; in realtà, analizzando a fondo i suoi comportamenti, si nota che egli non è altro che un antieroe, un uomo già inserito nel sistema. Il diario che egli scrive in gran segreto non è altro che una riproposizione degli slogan e delle direttive del Partito; sin da subito, quindi, egli appare succube del mondo di Oceania a cui si oppone. Inoltre, quando decide di far parte della fantomatica ribellione al Partito, la Fratellanza, non si rende conto che essa riproduce, in tutto e per tutto, i metodi del Partito, che ne è la copia esatta, il riflesso speculare. L’iniziazione di Winston alla rivolta contro il regime è indistinguibile dall’iniziazione alla militanza al Partito: i delitti a cui lo si vuole pronto non sono diversi da quelli quotidianamente perpetrati dagli organi repressivi dello Stato, e il nastro delle promesse che egli riascolterà durante l’interrogatorio con O’Brien lo pone sullo stesso piano dei torturatori. Anche il libro di Goldstein, il manuale rivoluzionario che Winston legge con avidità e partecipazione, non fa che sistematizzare l’ordine vigente: spesso le sue pagine ripetono le dichiarazioni di principio e le considerazioni politiche del Partito, non rappresentando, quindi, una ricchezza alternativa, ma qualcosa di complementare al sistema già operante.
Un’altra caratteristica che rende il protagonista un personaggio ambiguo e complesso è la sua onniscienza. Winston sa fin dall’inizio che la sua ribellione sarà perdente, sa che Syme (un suo collega che lavora alla stesura del vocabolario della Neolingua) sarà vaporizzato, sa che incontrerà O’Brien, sembra conoscere in anticipo tutte le fasi della tortura fisica e intellettuale che lo attende e che nessuno può avergli descritto in precedenza; sogni, allucinazioni e fantasie gli fanno prevedere nei dettagli quel “Paese meraviglioso” che diventerà il teatro reale della sua prima esperienza erotica con Julia. Anche attraverso tale onniscienza, Winston è l’ennesima reincarnazione dell’intellettuale orwelliano: secondo l’autore, nel libro come nella realtà, gli intellettuali che operano sotto un regime totalitario sono estremamente e lucidamente consapevoli delle terrificanti conseguenze cui può portare la dittatura, ma accettano di sottomettersi alle direttive e ai divieti del potere, continuando a esercitare le loro funzioni anche se sottoposti a restrizioni di parola, espressione, azione. Orwell denuncia tale asservimento con la figura di Winston, che a parole disdegna i metodi con cui convive ma con i fatti li accetta e li subisce. La parabola che il protagonista compie è quella che si ritrova in tutti i personaggi dei romanzi di Orwell e, probabilmente, anche quella che lo scrittore teme per sé stesso: dalla ribellione, alla speranza, alla fine della speranza, all’asservimento, alla tortura.
Attraverso il personaggio di Winston Smith, Orwell, in definitiva, vuole esemplificare la condizione dell’individuo nel tempo in cui viveva. Ci vuole trasmettere come, nel mondo di Oceania, un’opposizione e una libertà di pensiero non solo siano sistematicamente soppresse dal controllo del potere, ma non siano minimamente possibili. Il Partito ha raggiunto una tale egemonia da estinguere oltre la libertà di azione e di movimento anche quella di pensiero. Il Grande Fratello ha annullato la coscienza dell’individuo.
Bisogna sottolineare ancora una volta che per l’autore non era importante quale tipo di regime totalitario si dovesse combattere: in qualunque società in cui vige una supremazia assoluta, sia di destra o di sinistra, è sempre il soggetto singolo a venire sconfitto.
Il libro di Orwell è stato giudicato dalla critica soprattutto come un’opera profetica: la creazione di un mondo futuro terribile, ma possibile. Questa visione viene ribaltata analizzando il testo: ponendolo in rapporto con la realtà in cui operava l’autore, 1984 non è il frutto di pura fantasia, ma è storia contemporanea, seppur ingigantita ed estremizzata. È probabilmente questa considerazione ad aver decretato il successo mondiale del romanzo: la coincidenza fra il mondo reale e l’universo creato dalla fantasia.
Molti critici hanno infine concluso che 1984 non lascia alcuna speranza, che la distopia catastrofica di Oceania non permette alcuna possibilità di cambiamento, che Orwell è lo scrittore del disincanto. Tutto perfettamente condivisibile e vero. Però, forse, le parole conclusive che lo scrittore desiderava si stampassero nella mente del lettore non erano “Ora amava il Grande Fratello”, bensì le ultimissime frasi dell’Appendice al libro: “Si stavano traducendo diversi scrittori, come Shakespeare, Milton, Swift, Byron, Dickens e altri. Una volta che un simile processo si fosse concluso, i loro scritti originari e con essi tutto quanto ancora sopravviveva della letteratura del passato sarebbero stati distrutti. Si trattava di un compito lento e difficile, e ci si aspettava che potesse concludersi solo nel primo o secondo decennio del XXI secolo. Ed era unicamente per garantire un giusto lasso di tempo a questo lavoro di traduzione preliminare che l’adozione integrale della neolingua era stata fissata per il 2050”. Attraverso tale conclusione Orwell dice che la versione in Neolingua dei capolavori del passato è l’opera più ardua che il Partito debba affrontare, tanto da far slittare il trionfo della lingua che uccide il pensiero in un futuro lontano rispetto all’anno in cui è ambientato il romanzo. L’unica opposizione vera e reale che il potere si trova a fronteggiare è quella della letteratura, il cui linguaggio, intriso di libertà, oppone una forte resistenza a farsi tradurre nella lingua degli schiavi e del regime totalitario.
Riferimenti bibliografici
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Tit. originale: Nineteen Eighty-Four
Anno: 1949
Autore: George Orwell
Edizione: Mondadori (anno 2013)
Traduzione: Stefano Manferlotti
Pagine: 448
ISBN-13: 9788804627821
La quarta di copertina
Avete tra le mani la chiave di una stanza che racchiude, al suo interno, qualcosa di essenziale, ma ancora ignoto. Possiamo decidere di usare la chiave per aprire ed entrare; oppure, di non superare la soglia, di non vedere, di non sporcarci. Chi sceglie di entrare non potrà più tornare indietro, non potrà più fingere di non sapere, né dirsi innocente. Si farà carico di qualcosa di più di una colpa; si farà carico della verità, e della verità più terribile di tutte: quella sul Potere. Il volume è corredato da esclusivi contenuti extra, spunti e approfondimenti nella cultura contemporanea: film e serie TV, musica, arte, libri, fumetti e graphic novel.