Akira
In riferimento alle opere d’ingegno è piuttosto inflazionato il termine “capolavoro”.
Tale appellativo dal significato ben preciso viene speso spesso e volentieri in modo improprio e fuorviante, sicché un pastrocchio dalle dimensioni di un francobollo dipinto da un pittore celebre, il più scialbo dei romanzi di un autore di best-seller, la più stonata composizione di un musicista di successo e il più vacuo film di un regista campione d’incassi vengono definiti “capolavori”.
È l’euforia dei linguaggi che impedisce l’attribuzione del giusto peso alle varie manifestazioni artistiche.
Ma la storia è un giudice molto più rigoroso, capace di restituire con precisione clinica il corretto valore a ciascuno degli innumerevoli figli della creatività
Alla storia non sfugge la moltitudine di proseliti di Neuromante, così come è attenta alle influenze che Blade Runner ha avuto sulla fantascienza in ogni sua forma, mentre relega in un secondo piano le opere all’inizio incautamente incensate.
In base a questi principi, Akira è un capolavoro autentico, nel rispetto del significato letterale del termine.
Si tratta di un manga (nonché di un film di animazione) che ha mutato profondamente l’immaginario giapponese, ma ancor più è riuscito a portare all’attenzione del pubblico occidentale una fantascienza nipponica dalla complessità e dalla maturità ben maggiori di quanto prima si sospettasse.
Apparso per la prima volta sulle pagine di Young Magazine, Akira è considerato a ragione l’opera principale di KATSUHIRO OTOMO, personalità eclettica capace di cimentarsi con la china o dietro la camera da presa con risultati ugualmente considerevoli.
Siamo di fronte a una storia e a un autore da cui hanno attinto moltissimi seguaci (occasionali o meno) e persino nella fantascienza giapponese più recente è possibile trovarne profonde tracce. Particolarmente significative alcune analogie tra il film diretto da Otomo e il più notevole fenomeno della fantascienza del Sol Levante degli ultimi anni: Neon Genesis Evangelion di HIDEAKI ANNO.
L’utilizzo delle musiche, dei silenzi e della dimensione onirica è straordinariamente simile nei due casi, così come vi sono importanti congruenze tematiche: l’apocalisse, la crudeltà delle sperimentazioni genetiche sull’uomo, l’evoluzione forzata della nuova umanità, il coinvolgimento di persone comuni in contesti al di là della loro portata, la scelta tra etica e necessità, per citarne solo alcune.
Tra la schiera di potenziali eredi di Katsuhiro Otomo il più accreditato è probabilmente RYOJI MINAGAWA, co-autore di Arms (vedi Continuum n° 12) e che vanta tra le sue fortunate produzioni il noto Spriggan.
A questo proposito vale la pena spendere due parole in più: Spriggan è stato trasposto in una versione cinematografica anime, la cui supervisione è stata affidata proprio ad Otomo.
Una benedizione? Una sorta di passaggio del testimone? È possibile, ma sono affermazioni su cui andare cauti, almeno per un paio di motivi.
Il primo è che Otomo non ha ancora appeso i pennelli al chiodo. Soprattutto non ha affatto abbandonato l’animazione, viste le uscite di Metropolis e del recentissimo Steamboy.
Il secondo è il pericolo di confondere l’oro con l’ottone: Minagawa è senz’altro un buon mangaka, ma la sua storia e il suo bagaglio tecnico non sono oggettivamente paragonabili a quelle del suo ideale maestro, che lo sovrasta per pulizia del tratto e per completezza.
Otomo è infatti uno dei pochi mangaka capaci di curare completamente un’opera, ovvero testi e disegni, senza mai scadere da una parte o dall’altra. Per capire la singolarità della cosa, basti confrontare questo autore con altri due dei più celebri fumettisti del lontano Oriente: RUMIKO TAKAHASHI (buone storie almeno nella maggior parte dei casi, ma disegni abbastanza essenziali) o MASAKAZU KATSURA (una tecnica grafica eccellente illustra narrazioni prive di spessore e sovente cariche di ingenuità veramente irritanti).
Otomo al contrario non lascia nulla al caso, e Akira è la migliore testimonianza della sua grande meticolosità.
TRAMA
Ambientata trentotto anni dopo la Terza Guerra Mondiale, è la storia di una banda di teppisti che scorazzano lungo le strade di Neo Tokyo in sella a potenti motociclette e che una notte vengono coinvolti in un incidente molto singolare. Durante una delle loro solite escursioni, gli appare davanti uno strano bambino, per evitare il quale uno dei motociclisti cade rovinosamente. Si tratta di Tetsuo, amico d’infanzia del capobanda Kaneda con cui ha un rapporto di fiducia e contemporaneamente d’invidia.
Mentre gli altri teppisti cercano di soccorrere il compagno gravemente ferito, Kaneda vede il bambino dematerializzarsi e sparire all’improvviso. Poco dopo arriva un’ambulanza e Tetsuo viene trasportato in un misterioso ospedale.
La sera seguente, nei paraggi della bettola eletta a covo dei centauri, Kaneda ritrova più o meno fortuitamente il ragazzino che ha causato l’incidente a Tetsuo. Deciso a conciarlo per le feste, deve però a fare i conti con i poteri ESP del piccolo e altri inattesi ostacoli: Ryu e Kay, membri di una fantomatica Organizzazione segreta antigovernativa, e l’esercito comandato dal Colonello, militare tutto d’un pezzo al soldo del Governo.
Quest’ultimo riesce a riprendersi il bimbo (che nella circostanza si scopre chiamarsi Takashi) utilizzando un altro esper, Masaru.
La vittoria ha tuttavia un caro prezzo: Kaneda recupera una pillola utilizzata dall’esercito per permettere ai ragazzini di convivere con i loro poteri paranormali senza venirne travolti. A questo punto è proprio la pillola a divenire oggetto d’interesse dei contendenti: il Colonnello vuole riappropriarsene, mentre l’Organizzazione di Ryu (nella persone di un superiore di nome Nezu) intende scoprire i misteri che si celano dietro di essa.
Nel frattempo ritorna un Tetsuo stranamente cambiato. Si viene a sapere che, dopo l’incidente, è stato sottoposto alle cure dello staff del Colonnello tese a sviluppare anche nel giovane un potere sopito.
Quando Kaneda (finito nelle mani di Ryu e di Kay e poi fuggito) torna dai suoi, lo aspetta una sgradita sorpresa: Tetsuo è diventato il nuovo capo-banda dei Clown, gruppo con cui Kaneda e soci non intrattengono rapporti esattamente idilliaci.
L’affronto non può passare impunito, i motociclisti decidono di dare una bella lezione ai Clown e nella fattispecie a Tetsuo. Questi, tuttavia, non è più un ragazzo normale, e metterlo KO è impresa ardua, tanto che nella circostanza perde la vita Yamagata proprio sotto gli occhi impotenti del prezioso amico Kaneda.
Il drammatico episodio accresce esponenzialmente la sete di vendetta di Kaneda, sete che egli tenta di saziare inducendo l’ex compagno di scorribande a ingoiare la famosa pillola, una frazione della quale basterebbe ad uccidere un uomo sul colpo. Ma Tetsuo ha acquisito poteri tali da permettergli incredibilmente di sopravvivere.
Colpito dalle capacità del ragazzo, il Colonnello decide d’inserirlo nel suo programma di ricerca con tanto di numero identificativo (il 41).
Dopo alterne vicende che lo portano a scontrarsi nuovamente con Kaneda, Kay e gli esper (Takashi, Masaru e una terza di nome Kiyoko), tutti convinti della sua pericolosità e decisi a eliminarlo, Tetsuo, i cui accresciuti poteri includono ora il teletrasporto, viene a sapere dell’esistenza di un altro potentissimo bambino esper, di nome Akira, ibernato da qualche parte alla temperatura di -273°C.
Nonostante il preciso divieto del Colonnello, l’incauto capo dell’entourage scientifico del corpo militare, spinto da una perversa ossessione di conoscenza e di potere che lo ha convinto a tentare di usare il numero 41 per controllare l’enorme energia dell’ibernato, rivela al ragazzo il luogo in cui questo Akira è custodito.
Malgrado gli sforzi congiunti di gran parte degli elementi in gioco (tra cui Kay, Kaneda, Ryu e gli uomini del Colonnello) per impedirglielo, Tetsuo, compiendo un’autentica strage di soldati, raggiunge la prigione di Akira e lo libera.
Il potere dei due è ora sufficiente a distruggere l’intera città in un battito di ciglia.
Il Governo proclama lo stato d’allarme, e gli abitanti di Neo-Tokyo vengono caldamente invitati a trovare riparo nei rifugi designati. Ma scoppiano disordini dettati dal panico, che l’esercito fatica a contenere.
Intanto il Colonnello, per neutralizzare Tetsuo e Akira, ordina l’utilizzo di un satellite militare all’avanguardia, capace di sparare un raggio laser di elevata intensità e dalla precisione altamente performante.
Tetsuo ci rimette un braccio e nella circostanza Akira cade nelle mani di Kay e Kaneda.
È l’inizio di una nuova gara che ha per fine il controllo del bambino. Tutte le forze in campo vi partecipano: da Kay e Kaneda alle fedelissime adepte esper di Lady Miyako (l’anziana veggente che capeggia l’Organizzazione); da un sempre più solo Ryu al viscido Nezu che ha tradito l’Organizzazione stessa per perseguire i propri secondi fini. E poi naturalmente il Colonnello, capace di mettere in atto un colpo di stato e destituire un Governo troppo statico nell’approccio con il caso Akira.
Ma nulla serve ad evitare la catastrofe; quando Nezu (ferito a morte da Ryu) uccide Takashi nel tentativo di eliminare Akira, quest’ultimo libera tutto il proprio potere con effetti molto simili a quelli dell’esplosione di una bomba atomica: la città viene distrutta e innumerevoli persone perdono la vita.
Il disastro segna anche una svolta politica: dalle macerie nasce l’Impero della Grande Tokyo, avente Akira come sovrano-fantoccio e Tetsuo come primo ministro.
La maggior parte dei protagonisti superstiti la ritroviamo dilaniata dal cambiamento: Ryu è distrutto per la perdita dei compagni, Kaneda è scomparso nel nulla, mentre Kay e Chiyoko (altra aderente all’Organizzazione) si occupano come possono di Masaru e Kiyoko.
Lo stesso Tetsuo divorato ormai da un vero e proprio delirio di onnipotenza (senza più le inibizioni – e l’effetto analgesico – della droga che assumeva) riesce a sostenersi unicamente grazie al conforto di Kaori, una ragazza conosciuta dopo la fondazione dell’Impero.
Il potere esecutivo è quindi delegato a un bieco Assistente, il quale per prima cosa attacca il santuario di Miyako (divenuta ormai una specie di santa che accoglie sotto la sua ala protettiva i diseredati e i malati) subendo peraltro una sonora sconfitta.
Nel frattempo, quant’è accaduto in Giappone attira l’attenzione degli Stati Uniti. A Neo-Tokyo sbarcano dei militari (capeggiati dal tenente Yamada) decisi a scoprire qualcosa di più sul neonato impero, mentre in mare aperto naviga su una portaerei dell’ONU una commissione dei più eminenti scienziati del mondo, impegnati a svelare il fenomeno Akira e a porvi rimedio.
Il Colonnello, anch’egli sopravvissuto alla distruzione di Neo-Tokyo, affronta la questione a modo proprio, incaricando uno degli scienziati del suo staff di un tempo di costruire un congegno in grado di comandare il satellite SOL.
C’è da segnalare anche il ritorno di Kaneda (rimasto a lungo in un limbo mai svelato completamente da Otomo), che assieme all’ex-compagno di scorribande Kai non storce il naso nell’unirsi a Joker, in passato leader dei Clown.
Sempre le necessità danno origine ad un’altra alleanza alquanto atipica, poiché Ryu finisce per collaborare con il tenente Yamada, almeno finché questi non rivela le proprie reali intenzioni: porre fine all’Impero di Akira e Tetsuo mediante l’impiego di armi biochimiche; tentativo che però Ryu soffoca sul nascere.
Il potere di Tetuo intanto cresce, al punto che, in occasione di un raduno dell’Impero, il ragazzo apre addirittura un’enorme voragine sulla superficie lunare.
È questo stesso potere il suo nemico più pericoloso, nonostante le operazioni degli uomini di Yamada, il raggio sparato dal satellite SOL (comandato non dal Colonnello, bensì dall’esercito statunitense che ha scoperto i codici che governavano l’arma), l’energia convogliata dagli esper per mezzo delle doti medianiche di Kay e i generosi sforzi di Kaneda.
Quel potere ha assunto dimensioni ipertrofiche e il corpo del ragazzo non è più sufficiente a contenerlo.
Altro brutto colpo per Tetsuo è la perdita di Kaori per mano dell’Assistente dopo che la fanciulla coglie una cospirazione ordita da quest’ultimo.
Oramai completamente fuori controllo durante una delle sue orribili mutazioni, Tetsuo uccide l’Assistente e il tenente Yamada.
A quanto pare, in questo frangente è Akira a sollecitare il potere dell’altro esper.
I parametri però cambiano quando Ryu spara ad Akira e Miyako sacrifica la propria vita per fermare i catastrofici spasmi di Tetsuo.
Ci si avvia dunque ad una conclusione di grande carica emotiva, nella quale emerge finalmente uno spicchio della personalità di Akira, finora visto unicamente come strumento in balia delle altrui velleità.
C’è anche un nuovo, ultimo incontro tra Kaneda e Tetsuo, scevro dei rancori fin qui accumulati ma dolorosamente intenso.
COMMENTO
Ecco quindi cos’è Akira: un fumetto complesso, sanguinoso, in cui vengono toccate spinose questioni di politica e di religione, con grande efficacia ma senza indugiarvi troppo.
Il tratto è pulito ed inconfondibile, così come è inconfondibile la cura quasi maniacale per il dettaglio, perché l’autore non si accontenta di vignette “abbozzate”, ma pretende la precisione.
Qui Otomo addita all’ipocrisia della fede “di comodo”, cioè della tendenza dell’uomo nel momento in cui è sull’orlo del baratro a vendersi a qualsiasi religione gli prometta qualcosa di buono.
Anche la posizione politica espressa in Akira appare consapevole e articolata: davanti alle connotazioni utopiche di una sinistra impegnata nella lotta per l’uguaglianza ma in cui inevitabilmente alcuni esponenti (rappresentati da Nezu) sono in realtà alla ricerca esclusiva del proprio interesse personale, Otomo preferisce l’onestà e la coerenza di una destra pur elitaria, identificabile nel Colonnello.
Al di là della scelta di campo nel gioco delle parti della diplomazia nazionale, l’indice di Otomo punta con maggiore decisione verso l’egemonia statunitense invadente e totalizzante. Emerge così un forte anti-americanismo, ma non inteso come conflitto di culture o fobia nei confronti del potente, bensì come espressione inequivocabile della dignità dell’indipendenza.
Il modus operandi degli Stati Uniti sul fronte della politica internazionale (qui rappresentato con fedeltà e onestà) viene per cui visto come un atteggiamento prepotente, caratterizzato da arroganti ingerenze nelle altrui questioni attraverso pretesti ipocriti e di facciata.
Un discorso, insomma, che a più di vent’anni di distanza dalla prima uscita di questo manga è ancora di scottante attualità.
Si può dunque affermare che il manga in oggetto è anche un affresco impegnato e lucido delle tendenze di fine ventesimo secolo, di cui possiamo trovare tracce profonde anche nei giorni nostri, specialmente quando riguardano un punto di vista macroscopico. L’ottica complementare, però, non viene ignorata e anzi Otomo si sofferma con una notevole eleganza sulle piccole vicende umane inserite nel contesto più ampio della storia narrata.
L’eleganza cui faccio riferimento risiede nella moderazione con la quale vengono trattate le piccole vicende personali dei personaggi (siano essi principali o di contorno) che in questo modo si sviluppano in uno spazio contenuto senza assumere dimensioni ipertrofiche.
Una simile misuratezza non è certo caratteristica usuale nel fumetto nipponico, specialmente in quello più recente, dove l’attenzione sul personaggio è sovente così focalizzata da sovrastare il resto.
Ma in Akira vengono risparmiate al lettore le odissee interiori oggi tanto di moda e frutto dell’attribuzione di importanza smisurata al risvolto introspettivo.
Anzi, Otomo ci fa appena intuire quanto avviene “dentro” i personaggi attraverso un gesto o uno sguardo.
Esemplare, a tal proposito, la delicatezza con cui ci viene presentata la storia d’amore platonico tra Tetsuo e Kaori, senza frasi eclatanti né assurdi logici difficilmente digeribili.
Tutto si concretizza in un abbraccio consolatorio, in un’iniezione o in un’espressione preoccupata.
Più indecifrabile è il rapporto tra lo stesso Tetsuo e Kaneda, basato sulla stima e sull’invidia sin dall’inizio, ma estremamente mutevole in tutto il corso della storia.
Assieme ad una temporanea ed ingiustificata scomparsa di Kaneda (per bocca di Lady Miyako: “Non è più in questo mondo. Almeno per il momento”) l’amicizia tra i due ragazzi è una delle più grandi zone d’ombra dell’opera e (contemporaneamente) il principale difetto.
Dopo la sua “trasformazione”, Tetsuo alterna momenti di odio autentico e di feroce disprezzo nei confronti del vecchio compagno ad altri in cui invoca il suo aiuto; parimenti, Kaneda è capace di sparargli con disinvoltura mortali colpi di laser o, con altrettanta naturalezza, tentare di salvarlo.
Chiaro, la mutazione di Tetsuo ha turbato qualsiasi forma di equilibrio pre-esistente nella relazione tra i due ragazzi, ma i dietrofront nel loro comportamento appaiono ugualmente troppo insistenti e repentini.
Si rimpiange forse anche il mancato inserimento di qualche nota malinconica a insaporire con un aroma più profondo la descrizione della catastrofe narrata, ma la scelta di Otomo di fare a meno di ogni incursione nell’interiorità dei suoi protagonisti è stata piuttosto radicale, ed il suo perseguimento onesto e coerente doveva pur costare un prezzo.
Ciò risulta acuito nel film di animazione di Akira, in cui sono presenti notevoli differenze rispetto alla più riuscita versione cartacea.
La più significativa è che nell’anime non è Akira – che in realtà è morto molto tempo prima dell’arrivo di Tetsuo – ad essere ibernato, bensì i suoi organi.
È perciò Tetsuo a distruggere Neo-Tokyo, in quella che è di fatto una versione alternativa e stringata del fumetto.
Le controindicazioni dell’inevitabile riduzione a cui è stata sottoposta la versione animata sono rilevanti. Molti personaggi, alcuni dei quali di primo piano, non compaiono nella pellicola (si pensi al tenente Yamada) o vengono relegati in una posizione marginale (segnatamente Lady Miyako risulta trasformata in una sorta di fanatica predicatrice da strada).
Il film è poi viziato da una cattiva distribuzione degli spazi, destinando sin troppi minuti alla dimensione onirica di Tetsuo e alla meraviglia del capo dell’entourage scientifico del Colonnello di fronte ai dati sull’energia crescente dell’esper, a scapito del contesto politico e di eventi più significativi come la distruzione della città.
Il sapiente utilizzo delle musiche e dei colori non è abbastanza per risollevare le sorti di un’opera noiosa, ambigua e di cui è francamente difficile cogliere il filo logico se non si è prima letto il manga.
Da questo punto di vista, il paragone proposto con molta disinvoltura tra Akira e Blade Runner appare quantomeno forzato, alla luce della logica capillare (anche quando sotterranea) del film di RIDLEY SCOTT, il quale oltretutto imprime una connotazione poetica del tutto assente nel manga di Otomo.
D’altra parte, esistono in concreto alcune analogie tra le due opere, al di là dell’anno di produzione (sia il manga di Akira che Blade Runner sono datati 1982).
Analogie anzitutto tematiche: in entrambe si pone l’accento sui pericoli della manipolazione genetica e sulle sperimentazioni sull’uomo. Il rischio messo in evidenza è quello della generazione di mostri, con duplice chiave di lettura: la minaccia per l’umanità e la violenza su creature con emozioni e sentimenti.
Ma ci sono anche congruenze di carattere contestuale: Akira e soprattutto Blade Runner precorrono Neuromante e il cyberpunk, di cui anticipano gli scenari degradati ed il sottobosco d’illegalità.
L’iniziale Tokyo notturna di Otomo ricorda moltissimo la Los Angeles di Ridley Scott per claustrofobia e marciume.
Tra i richiami al cyberpunk c’è l’utilizzo smodato di stupefacenti, diabolici prodotti della chimica in Akira e dell’elettronica nel filone inaugurato da WILLIAM GIBSON.
Simili confronti lasciano (o sembrano lasciare) il tempo che trovano, soprattutto in considerazione dell’eterno abisso tra fantascienza occidentale e nipponica. Storicamente, quest’ultima è sempre stata distante per molti aspetti dall’altra, come paiono dimostrare gli anni dei robottoni e di Capitan Harlock, l’abbondanza di arti marziali a scapito dell’analisi socio-politica e così via.
La vicinanza tra uno dei capolavori della fantascienza giapponese e uno dei capolavori di quella statunitense è un punto d’incontro autentico tra due rotte che probabilmente sin dall’inizio hanno viaggiato su binari lontani, e ci dà l’occasione per riflettere su un concetto significativo: quella del Sol Levante non è fantascienza a parte, ma è una splendida parte della fantascienza.
Come qualsiasi altro percorso culturale, è formata in parte da porcherie da trascurare senza alcun rimpianto, ma è capace di regalare al mondo del fumetto dei gioielli come Akira senza i quali il nostro genere sarebbe sicuramente un po’ più povero.