CRONACHE DI GUERRA DI ALESSANDRO IL GRANDE
DESCRIZIONE
Alexander (Arekusandaa senki) è una serie Tv/OVA composta di 13 episodi, il primo dei quali trasmesso in Giappone nel dicembre del 1999. Tratta in chiave fantasy le vicende di Alessandro il Grande, dal 338, anno battaglia di Cheronea, al 326 data dello scontro contro re Poro sul fiume Jhelum.
Animata dalla MAD HOUSE, sceneggiata da Sadayuki Murai (Boogiepop Phantom, Perfect Blue), su soggetto di Masayuki Kojima (DNA sights 999.9), tratta da un romanzo di Hiroshi Aramata, la serie si avvale della regia di Yoshinori Kanemori, del design di Peter Chung (Aeon Flux, Animatrix – Matriculated), e della supervisione di due nomi illustri dell’animazione nipponica, Rintaro e Masao Maruyama. Rappresenta a tutti gli effetti, per l’originalità dell’ambientazione e del design, per l’estetica narrativa e le commistioni filosofico-matematiche che ne permeano la trama, un’opera sperimentale di grande suggestione.
In Italia è stata trasmessa da MTV, ed edita in 4 dvd dalla Dynamic.
COMMENTO
Capita talvolta (forse troppo spesso) che certe opere cosiddette “innovative”, definite tali in virtù di una particolare “complessità” espressiva, perdano aderenza nel finale, decollando in voli pindarici. Voli ai quali lo spettatore parteciperebbe volentieri, se non fosse suo malgrado trattenuto da una forza di gravità chiamata “senso logico”. Il limite è psicostrutturale: lo spettatore possiede una mente, in grado di riconoscere l’assurdo, di norma. Peraltro, una volta formatasi nell’individuo adulto, questa capacità non può più regredire a morfologie neonatali. Vale per gli esseri umani e, più in generale, per tutti i vertebrati superiori. Tutti tranne la specie degli “autori”, i quali, non si sa come (ma si può facilmente intuire perché), riescono invece in questo e altro. Emblema illustre: HIDEAKI ANNO, con i famigerati episodi – televisivi – 25 e 26 del pur osannato Evangelion (nominarli in pubblico in Giappone dovrebbe essere prudentemente sconsigliato dalle guide turistiche).
Qualsiasi opera la cui estetica sia fondata su una raffinata ricerca espressiva e filologica, magari “innovatrice” nel modo di proporre elementi a incastro, e di orientarli dall’apparente disordine iniziale a un (sedicente) illuminante ordine conclusivo, non può prescindere dalla sua coerenza finale, dal rendere in ultima analisi accessibili i significati profondi così “innovativamente” ostentati. La ragione ci dice che l’eventuale mancanza d’intelligibilità non possa essere eletta dimostrazione di acume artistico dell’autore, anzi… surreale sarebbe il contrario.
Per semplificare: un giallista che congegna disinvoltamente un thriller intricatissimo ma omette di rivelare l’identità del colpevole, oppure la rivela però “scordandosi” di spiegare l’iter logico che ne focalizza la centralità rispetto alla ragnatela degli indizi, può essere definito in vari coloriti modi, ma non “geniale”.
È un paradosso, eppure si verifica, in barba al lapalissiano principio secondo il quale, se un autore non risolve il senso di un’opera complessa, la spiegazione più ragionevole è che la complessità sia stata imbastita proprio ad allegro discapito del suddetto senso, e che pertanto lo status dell’autore non debba essere quello di genio bensì di baro (spudorato).
Ad ogni modo, sfatiamo subito il dubbio che avrà a questo punto assalito il lettore: no, Alexander NON è una di queste opere-beffa. Potrebbe, però, sembrarlo, in prima battuta…
Il motivo di questo lungo preambolo deriva, appunto, dall’episodio finale, il cui “significato” può risultare, a seconda dell’estrazione culturale dello spettatore, impenetrabilmente criptico o, al contrario, palesemente ovvio.
La verità è che si tratta di un’opera “difficile”, i cui temi (e il modo di proporli) finiscono per isolare un pubblico specifico, probabilmente ristretto. Se la nostra forcella culturale non ci permette, per esempio, di riconoscere Demostene come il celebre oratore le cui filippiche rappresentano tuttora modelli di retorica, le sequenze nelle quali il personaggio appare perdono parte del loro contenuto.
La vicenda di Alexander è un rincorrersi di eventi storici e di significati simbolici emergenti dal substrato filosofico-matematico che fa da basamento alla trama; a volte questi simboli sono offerti in modo ermetico o non sempre coeso, sicché, in mancanza di una cultura specifica, può risultare effettivamente complicato seguirne il costrutto. Hanno tuttavia il pregio di mantenere una linearità narrativa, un senso logico omogeneo. E, soprattutto, una risoluzione finale perfettamente coerente.
Alla conclusione che la “distruzione del mondo”, originata da Alessandro, si potesse tradurre in un’evoluzione graduale e quasi indolore, dai connotati puramente intellettuali e culturali (quelli che poi, in tutte le epoche, hanno determinato i reali cambiamenti), al fatto che la catastrofica profezia iniziale potesse nascondere un’interpretazione “morbida”, lo spettatore viene adeguatamente preparato, già a partire dalle parole di Diogene nel quinto episodio.
Anche il modo in cui questo cambiamento si manifesta, ossia attraverso il passaggio da una matematica scientifico-filosofica “aristotelica” a una “euclidea”, è lasciato presagire ben prima del finale. L’ottavo episodio, portandoci nel futuro, ci permette addirittura di contemplare la “distruzione” già compiuta, presentandoci un Aristotele quasi privo di memoria, e un mondo che metaforicamente non ha più bisogno di “lui”.
La chiave del cambiamento è il Solido Platonico, definito nel corso della narrazione come l’ente geometrico che racchiude la conoscenza universale, l’elemento trovando il quale Euclide ottiene la capacità d’interpretare una matematica di più alto livello.
Il vero istante in cui Alessandro dà il via al processo di “distruzione” non è quindi la battaglia di Jhelum contro Poro, ma quella di Gaugamela contro Dario. Lì si manifesta e si perde il Solido.
Gli appassionati di Fantascienza non faticheranno a risalire un filo ideale che collega Alexander al celeberrimo 2001: Odissea nello spazio. La “distruzione del mondo” – intesa come rivoluzione del pensiero – è descritta in Alexander mediante gli stessi criteri espressivi dell’affascinante film di Kubrick. In 2001 la conoscenza era racchiusa nel Monolito, il cui contatto faceva scoccare la scintilla dell’intelligenza in una scimmia, determinando l’inizio della “distruzione” del mondo, ossia la sua sostituzione con uno nuovo, quello dell’Uomo. In Alexander, il Monolito è il Solido Platonico, a toccarlo è Euclide, e l’intelligenza che viene trasmessa è la comprensione di una matematica più profonda.
Sotto l’aspetto tecnico, Alexander propone un’animazione fluida sebbene essenziale, con fondali semplici, spesso monocromatici o sobriamente sfumati, e colori dalle tonalità pastello, che spesso si accendono nelle situazioni di maggior pathos; l’uso non invasivo della computer grafica riguarda specificamente certe rappresentazioni “meccaniche”, i movimenti panoramici delle truppe, gli scenari onirici o metafisici, è presente quindi solo laddove sia funzionale a sottolineare la prevalenza dell’elemento “geometrico”.
Il character design è forse quello che per primo salta all’occhio; interamente curato da Peter Chung, è ricercato riguardo sia i costumi che l’anatomia. In certe forme si possono riconoscere elementi che richiamano alla mente altre opere (il costume di Alessandro ricorda i design di Shinji in tuta e delle Unità EVA nel già citato Neon Genesis Evangelion, i soldati persiani somigliano in certi tratti alle truppe di Vega di Atlas Ufo Robot). Il risultato è comunque originale e distintivo; i fisici asciutti e scolpiti, quasi stilizzati, sono perfettamente caratterizzanti nella particolare estetica visionaria che permea la serie. Senza quel linguaggio figurativo, l’atmosfera non fornirebbe la stessa seducente suggestione, e neppure senza quell’utilizzo mirato della computer grafica, o l’inserimento anacronistico eppure euritmico di sofisticati elementi meccanici nel contesto antico (meccanici, non “elettronici”, con cui la trama quindi intinge il pennello nel genere fantascientifico ma senza lasciarsene fagocitare), o ancora la particolare rappresentazione delle strutture architettoniche, le quali, pur richiamando lo stile ellenico e classico, vengono riproposte in chiave moderna, distillata ed elegante. Come la matematica. L’insieme crea un’armonia, un meccanismo visivo dagli ingranaggi perfetti. Esattamente come cavalleria e fanteria nell’esercito macedone, Alexander è dunque un’opera da considerarsi un “tutt’uno”, impossibile da analizzare nei singoli elementi senza tener conto della loro completa sinergia.
L’alone visionario di quest’opera è di fortissimo impatto: viene resa l’idea di un mondo che, pur geometricamente plasmato sulla matematica come strumento di ricerca della verità, stranamente non si lascia delineare da contorni scientifici, ma metafisici. I complicati automi di Aristotele, i dispositivi architettonici derivanti da ingranaggi, contrappesi, fluidodinamica, le metamorfosi mistiche dei pitagorici… tutte rappresentazioni non di scienza in forma fantastica, ma di magia in forma tecnologica.
La narrazione è generalmente misurata, persino patinata nel linguaggio, ma dove occorre non esita a mostrarsi cruda: le battaglie sono ordinate ma cruente, le scene di violenza circoscritte ma esplicite; l’elemento erotico è presente nella lasciva interpretazione dei culti cabirici, nei riti orgiastici di Olimpiade, nella dissolutezza dei costumi di palazzo, l’ambiguità e la sensualità affiorano da certi personaggi, Efestione e Filota su tutti.
Dal punto di vista storico, la ricostruzione è più fedele e attendibile di quanto ci si potrebbe aspettare, almeno nella sua cronologia essenziale. Naturalmente i caratteri dei personaggi sono strumentali e, in particolare i filosofi (Aristotele, Platone, Diogene e Pitagora), sono usati per il loro valore rappresentativo. Nel finale stesso, Aristotele ed Euclide fungono da simbolo di due mondi consequenziali, divisi da una concezione filosofico-matematica di diverso livello, il secondo destinato a sovrapporsi gradualmente al primo, da cui è derivato.
Eccettuandone in alcuni la trasposizione metafisica (per esempio la battaglia contro Poro), i principali episodi storici sono esposti, pur nell’adattamento scenico, in modo tale da rimanere concilianti con la verità.
Ne è un esempio la battaglia di Cheronea, dove realmente la cavalleria guidata da Alessandro giocò un ruolo fondamentale nel successo macedone; a quello scontro le fonti storiche attribuiscono il verificarsi, per la prima volta sul campo, della coordinazione tra falange e cavalleria, quella fusione organica e disciplinata tra forza d’urto a mobilità che rese successivamente formidabile l’esercito di Alessandro il Grande, e che fu alla base delle sue innumerevoli conquiste.
La fedeltà storica può essere rintracciata anche in particolari che parrebbero a prima vista storicamente incongrui. Un esempio lo fornisce la ripetuta citazione delle Meraviglie del Mondo in numero di sette, apparentemente anacronistica dal momento che solo sei di esse erano effettivamente esistenti al tempo di Alessandro (la costruzione del Faro di Alessandria fu, per ovvie ragioni, cronologicamente postuma ai fatti narrati). In realtà, il riferimento può invece rivelare un’accurata attenzione da parte dagli autori. L’identità delle Meraviglie variò infatti nel corso dei secoli, ma il loro numero (sette) restò sempre immutato. Nel 332 a.C., anno in cui Alessandro raggiunse l’Egitto, il Palazzo di Babilonia e i Giardini Pensili costituivano Meraviglie separate. La successiva edificazione di Alessandria d’Egitto determinò il loro accorpamento, per preservare appunto il numero Sette nonostante l’ingresso del celebre Faro.
Fondamentalmente corretta anche la rappresentazione dell’assassinio di Filippo II, che, nella realtà storica, avvenne nel contesto dei festeggiamenti per le nozze di una delle sue figlie (avuta da Olimpiade) con Alessandro principe d’Epiro (fratello della stessa Olimpiade). Nell’occasione, sfilarono realmente le tredici statue (12+1), mentre àttalo (zio, non padre, di Euridice) fu effettivamente ucciso per ordine di Alessandro, ed Euridice per ordine di Olimpiade. Contengono elementi verosimili anche molte delle libere interpretazioni proposte nella finzione scenica, prima fra tutte la pratica di riti cabirici all’interno della corte macedone.
Tra i fatti non rispondenti, va invece ricordata la morte di Dario, che non avvenne a Gaugamela ma in un contesto successivo, a seguito del tradimento di uno dei suoi consiglieri (Besso di Battriana). Inoltre il rientro dall’India fu determinato dal rifiuto dell’esercito macedone di proseguire oltre (si narra che anche gli oracoli l’avessero sconsigliato), mentre Alessandro morì a Babilonia, sulla via del ritorno. Alcune inesattezze si riscontrano anche nei rapporti descritti tra Aristotele e Platone, in particolare riguardo i tempi e i motivi per i quali Aristotele lasciò l’Accademia.
La regia di Yoshimuri Kanemori è comunque salda nel condurre per mano un’opera che vuole rappresentarsi alternativa e stimolante.
La colonna sonora di Ken Ishii è piuttosto ridotta, volutamente “soffusa”, ma pur in secondo piano s’inserisce bene nel congegno.
L’adattamento italiano sembra ottimo. Perfetto, come sempre nelle produzioni Dynamic, il doppiaggio. Impossibile citare tutte le “referenze” del bravissimo e affiatato cast di doppiatori, perché la lista sarebbe interminabile; per non far torti a nessuno ricordiamo solo che Alessandro è interpretato da Sandro Acerbo, voce ufficiale di attori del calibro di Tom Cruise, Brad Pitt, M.J.Fox…
ALEXANDER vs BERSERK
Uno dei temi portanti di Alexander è quello della profezia (classico del genere fantasy), la predizione sibillina associata all’incertezza sul suo significato, destinata ineluttabilmente a verificarsi ma la cui interpretazione letterale porta spesso a conclusioni errate, il presagio che potrebbe voler dire tutto o il contrario di tutto. Seguendo l’elemento profezia (la serie ne cita addirittura quattro, convergenti: quella di Olimpiade, quella di Pitagora, quella di Zaratustra e quella dell’oracolo di Ammone, tutte concordi nell’indicare Alessandro come “distruttore del mondo”), Alexander ricorda per molti aspetti un’altra celeberrima opera fantasy in cui l’ineluttabilità del destino è argomento centrale: il Berserk di KENTARO MIURA. Alessandro può considerarsi l’erede di Grifis (Griffith), il condottiero ideale, il cui carisma è così intenso da stregare alleati e avversari, tale da indurre i soldati ad amarlo e seguirlo in ogni circostanza, al di là del bene e del male, se necessario immolandosi per lui. Alessandro, come Grifis, non sfugge alla profezia (o sogno ambizioso) che ne condiziona il destino; lui, come Grifis, è deciso a rincorrere implacabile la gloria, sacrificandole all’occorrenza i principi morali (Grifis non esita a sedurre la figlia di un re, Alessandro non impedisce l’uccisione del fratellastro neonato); lui, come Grifis, è disposto a rischiare la vita per ricambiare la fedeltà dei suoi uomini (Alessandro salva Filota e Tolomeo, esattamente come Grifis fa con Gatsu e Caska). Comandanti quindi spietati, per certi versi, e al tempo stesso generosi. Entrambi assecondano il loro “destino già scritto” consenzientemente, e la diversità opposta dei loro destini (Grifis diventa l’incarnazione del male, Alexander il fautore del mondo risorto) è, in definitiva, frutto di pura casualità. Se un destino profetizzato resta comunque indecifrabile fino al suo compimento, potendo racchiudere significati addirittura opposti, l’azione dell’assecondarlo o quella del contrastarlo sono, all’atto pratico, equivalenti. L’esito è paragonabile al lancio di una moneta: fortuna o sfortuna. Le vicende di Alessandro e Grifis racchiudono inoltre una grande verità: come succede per ogni condottiero che si rispetti, a gioire o (molto più spesso) dolere delle sue azioni è sempre l’esercito che gli marcia alle spalle (o, più realisticamente di questi tempi, davanti).