Fin da quando ha iniziato a circolare nei primi fumetti, soprattutto nei comics americani, la figura del ‘supereroe’ ha sempre riscontrato un discreto consenso da parte del pubblico. Che si tratti di alieni perfettamente integrati nella società umana come Superman, scienziati vittime di incidenti con radiazioni come Bruce Banner/Hulk, oppure evoluzioni della stessa umanità, come i mutanti X-Men, l’idea di persone dotate di abilità eccezionali ci è ormai divenuta più che familiare. Il super-eroe è un individuo che incarna ideali di giustizia e coraggio, un modello di virtù, qualcosa che potremmo considerare affine ai miti dell’epoca classica dove dei e semidei portavano a termine con successo imprese al di là dei limiti umani. In un certo senso, può essere considerato l’incarnazione di sogni e desideri di cui siamo più o meno consapevoli.
Il successo dei vari supereroi fumettistici spiega anche l’elevato numero di trasposizioni, in cartoni animati, film e serie televisive: ne vengono proposte di continuo, sia nuove sia come rifacimenti o varianti. A tal proposito è interessante notare come, nel corso dei decenni, si sia registrato un processo di umanizzazione: spogliati di quegli echi propagandistici che magari avevano contribuito alla loro ideazione (pensiamo ad esempio a Capitan America) o di quell’aura di infallibilità che rendeva ‘disumani’ alcuni di essi, i supereroi hanno gettato maschere e costumi per diventare sempre più ‘normali’, persone con super poteri, certo, ma che vivono dinamiche esistenziali abbastanza vicine alle esperienze quotidiana dei loro lettori. Questa sorta di evoluzione si respira pienamente in Alphas, serie televisiva del 2011 trasmessa, negli Stati Uniti, dall’emittente Syfy.
La storia ruota attorno ad un gruppo appunto di ‘alpha’, ossia persone con facoltà fuori dal comune dovute a un anomalo sviluppo del loro cervello o del loro organismo. Pur essendo molto forte l’analogia con i classici mutanti di casa Marvel, si tratta in questo caso di individui con abilità limitate e ‘credibili’ e, per quanto possibile, spiegabili scientificamente.
A causa dei problemi connessi alla propria diversità genetica, i protagonisti della serie si ritrovano in terapia presso uno specialista, il dottor Lee Rosen (David Strathairn). Uomo pacato e razionale, questi non possiede abilità fuori dal comune ma, più semplicemente, è uno psicoterapeuta con discrete conoscenze in campo medico e scientifico che si sta occupando del fenomeno alpha per conto del governo degli Stati Uniti. Col procedere degli episodi si scoprirà però che Rosen è solo un tassello di un mosaico ben più ampio, e che l’interesse verso gli alpha lo tocca personalmente senza però necessariamente coincidere con la visione che del fenomeno hanno le alte sfere del governo americano.
Tra i pazienti di Rosen troviamo Bill Harken (Malik Yoba), un ex agente federale sulla quarantina, burbero e maleducato ma pragmatico ed esperto: possiede la facoltà di rilasciare adrenalina per incrementare le proprie capacità fisiche in termini di forza o resistenza.
Rachel Pirzad (Azita Ghanizada) è una ventenne di origini mediorientali, con un carattere fortemente emotivo e insicuro, anche in conseguenza alla difficoltà di mantenere il controllo della propria capacità alpha, una sinestesia spinta agli eccessi che le consente di amplificare i cinque sensi.
Diametralmente opposta a lei per quanto riguarda il carattere è la bella Nina Theroux (Laura Mennell): la sua facoltà ‘ipnotica’, ossia il riuscire a imporre la propria volontà sul prossimo semplicemente osservandolo negli occhi (sebbene con una durata limitata nel tempo), l’ha indotta a condurre una vita piuttosto indipendente e sregolata. E non sempre legale.
Gary Bell (Ryan Cartwright) è invece un ‘trasduttore’, possiede cioè la capacità di percepire, interpretare e interagire con le onde elettromagnetiche prodotte da apparecchi telefonici, computer, reti wireless… Questa innata abilità compensa il suo essere autistico e affetto da comportamenti compulsivi spesso imprevedibili, che complicano le sue relazioni con gli altri.
Arruolato durante il primo episodio, c’è infine Cameron Hicks (Warren Christie), ipercineta, ex marine, ex tossicodipente, divorziato, con un figlio che vede raramente ma con una forte determinazione a dare una svolta alla propria vita. Sua l’abilità di individuare traiettorie perfette, unitamente a precisione e riflessi molto acuti, che lo rendono ottimo tiratore e gli conferiscono buone capacità di indagare dinamiche di incidenti e non solo.
Nel corso della serie viene approfondita la conoscenza di ciascuno dei membri che compongono l’eterogeneo quintetto così da offrirne una caratterizzazione completa e significativa, per conoscere la psicologia e le difficoltà personali di ciascuno. Non siamo però di fronte al classico gruppo di supereroi: si tratta di persone oggetto di studio, che stanno imparando a convivere con la propria diversità, un processo di conoscenza e maturazione costantemente sollecitato dagli eventi. Il gruppetto viene infatti, suo malgrado, coinvolto in indagini governative che portano gli spettatori a comprendere come il fenomeno alpha sia, in realtà, piuttosto esteso; esiste addirittura una vera e propria organizzazione terroristica, denominata Red Flag, che sta agendo nell’ombra per affermare questa nuova generazione di esseri umani e per arginare fenomeni di silente repressione e di eugenetica, messi in atto dal governo americano. Un po’ come, negli X-Men, tenta di fare Magneto con la sua Confraternita dei mutanti malvagi. Del resto è innegabile che l’influenza della serie Marvel si avverta ogni qualvolta venga proposto un team di persone dotate di abilità fuori dal comune prodotte da mutazioni genetiche. Ancor di più la si percepisce se a delineare la sceneggiatura ritroviamo uno Zack Penn già reduce da vari live-action Marvel e, soprattutto, se i personaggi sono afflitti da problemi che vanno a complicarne l’esistenza laddove già basterebbero le loro mutazioni.
Fedele a questa eredità, come già accadeva in Mutant X e poi in Heroes (a cui, nel bene e nel male, Alphas rimanda), anche questa serie propone individui che ostentano drammi personali e difficoltà esistenziali, e che non sempre è possibile considerare del tutto positivi; un elemento che crea contrasti e finisce con l’aumentare l’interesse dello spettatore: in fondo, i protagonisti sono sì agenti federali ma al contempo pazienti in cura, costantemente soggetti a supervisione e psicoanalisi da parte del professor Rosen (che prende le veci del professor Xavier) o dei propri compagni. E, naturalmente, sempre nella migliore tradizione Marvel, vivono drammi analoghi anche gli alpha avversari. Ciò contribuisce a conferire profondità e umanità alla serie classificandola come prodotto destinato a un pubblico più ‘maturo’ rispetto al classico target di adolescenti. L’esito sembrerebbe essere risultato gradito al pubblico, visti gli ottimi ascolti che hanno garantito la conferma della serie per una seconda stagione.
Come si sarà capito, non siamo di fronte a qualcosa di veramente originale e innovativo, tuttavia gli elementi che Alphas combina conferiscono un buon ritmo, un discreto equilibrio e un intreccio coeso e coerente. Gli undici episodi della prima stagione, né troppi né troppo pochi, sono per lo più autoconclusivi ma variegati in termini di situazioni e dinamiche: ci si imbatte quindi in madri che si adoperano per proteggere i propri figli, in persone che si ritrovano a dover uccidere nonostante rifuggano la violenza, in relazioni familiari compromesse, in soggetti alpha che possono dispensare estatica gioia dagli effetti mortali o ‘vedere’ in anticipo le conseguenze di ogni azione finendo inevitabilmente sopraffatti da tale conoscenza.
Emblematiche sono figure di Gary e Anna. Il primo, come descritto, è uno dei personaggi chiave della serie, decisamente interessante e capace di imprimersi nello spettatore. È un ragazzo non facile da gestire, né per i compagni che lavorano con lui né per chi, come sua madre, deve preoccuparsi di proteggerlo o accudirlo. Anna (Liane Balaban) è anch’essa una ragazza autistica con la facoltà alpha di comprendere qualunque linguaggio, anche quelli in codice o composti solamente da immagini e suoni. È una persona inerme e indifesa, che necessita di costante assistenza, eppure, come si scoprirà nel corso del quarto episodio, ricopre un ruolo di comando ai vertici dell’organizzazione Red Flag: indubbiamente un colpo di scena capace di spiazzare qualsiasi spettatore, e di rendere assai meno scontata l’altrimenti prevedibile relazione sentimentale proprio con Gary.
A fare da sfondo alle vicende vi è poi il fattore della persecuzione razziale – anch’esso mutuato pari pari dagli X-Men e già riproposto da Heroes o, con connotati diversi e più ‘seri’, da una serie spiccatamente sci-fi come 4400 –, delle problematiche connesse alla convivenza tra esseri umani comuni e superuomini. Tutti gli alpha che il Governo classifica come pericolosi vengono infatti reclusi nel penitenziario di Binghamton, sottoposti e una sperimentazione scientifica non consensuale e a trattamenti al limite della tortura. In quella prigione finiscono gli alpha catturati dal team di Rosen, ma pure Rosen stesso quando il suo operato risulta poco in linea con le direttive imposte dalle alte sfere. Questi sviluppi, gradualmente, finiscono col turbare i protagonisti e minarne le già poche certezze morali, sgretolandole poi definitivamente quando loro stessi finiranno imprigionati su ordine del direttore della sicurezza Nathan Clay.
Tutto sempre nel rispetto di una trama che appare nel complesso ben studiata e costruita, mai affrettata, con rimandi e collegamenti coerenti tra le varie puntate. La volontà di stupire a tutti i costi con strabilianti effetti visivi o con distruzioni massive stavolta non si respira affatto, diversamente da quanto accade nei film supereroistici moderni. Nemmeno si percepiscono, per ora, quell’improvvisazione o quelle incongruenza che hanno afflitto una serie pur ben avviata come Heroes, la cui trama ha subito adeguamenti e variazioni fino a capitolare definitivamente. In Alphas il ‘sensazionalismo’ rimane fuori dall’intreccio che può così procedere in modo sensato e senza sbavature di rilievo, mantenendo una certa ‘credibilità’; in questo è favorito, come già accennato, dal fatto che le abilità degli individui alpha sono state concepite per essere scenicamente e narrativamente meno ‘ingombranti’ rispetto per esempio a quelle degli X-Men, vertendo per lo più sul ‘potere’ di condizionare il proprio corpo o quello altrui, senza cioè scatenare cicloni, esplosioni, conferire capacità di volo o alterare la realtà (e con essa le leggi della Fisica). Se questa scelta, da un lato, va a limitare la spettacolarità della serie, rendendola meno fracassona ed esagerata, dall’altro consente agli autori di focalizzare l’attenzione sui personaggi e sulle vicende.
Non mancano, intendiamoci, gli effetti speciali visivi e il trucco, ma sono molto dosati o limitati a talune situazioni: usati ad esempio per rendere ‘visibili’ allo spettatore le percezioni sensoriali di Rachel, il potenziamento muscolare di Bill o gli spettri elettromagnetici con cui interagisce Gary. L’interesse primario è volto a offrire uno spettacolo fantascientifico ma in qualche modo ‘plausibile’ e serio, come si prodiga a fare il brillante professor Lee Rosen quando fornisce spiegazioni ‘scientifiche’ sciorinando di volta in volta supposizioni su quella sostanza chimica o quell’ormone responsabili di questo o quell’altro fenomeno. Anche il frequente utilizzo di smartphone e apparecchi di uso comune rende più realistica e quotidiana la storia.
L’alternanza tra momenti di indagine, analisi introspettiva e azione è pure ben equilibrata, permette agli spettatori di comprendere ciò che stanno osservando e agli sceneggiatori di disseminare indizi o preparare colpi di scena (talvolta imprevedibili altre volte più telefonati). Anche l’esame a posteriori degli avvenimenti, per meglio metabolizzare le implicazioni e le conseguenze di azioni e scelte compiute, è uno dei momenti tipici previsti negli episodi. Queste ‘riflessioni’, che intervengono di solito a fine puntata, valgono sia per i personaggi sia per gli spettatori, i quali possono così indugiare in personali considerazione sull’etica di certi comportamenti o in materia di eugenetica e di evoluzione umana.
Dal punto di vista tecnico si nota poi un’impostazione moderna della regia, con inquadrature e sequenze talvolta molto azzardate e frenetiche, altre volte elaborate e arzigogolate come per esempio la triangolazione tra telecamere che si rende necessaria nell’episodio 9 per scoprire la posizione di Griffin (Rebecca Mader), un alpha mercenaria con la facoltà di alterare il nervo ottico altrui aumentandone i punti ciechi e sfruttandoli per rendersi ‘invisibile’. Su tutte, per violenza, frenesia e impatto emotivo, la sequenza che risulta più memorabile è quella proposta nel terzo episodio, dove tutti, a causa di una rabbia incontrollata indotta da un ragazzo alpha, danno prova di una violenza e di una furia che vengono rese in modo ottimo dalle riprese scostanti e concitate.
Nel complesso, lo spettacolo offerto dalla prima stagione di Alphas si assesta su un buon livello, con poche imperfezioni e con discreta soddisfazione da parte degli spettatori. Il finale aperto, con la presentazione finalmente di colui che sembrerebbe reggere i fili della Red Flag, concede spazio a discreti sviluppi. Ora non resta che attendere la messa in onda anche in Italia delle nuove puntate, per sapere come procederà la storia.