Anjce

Anjce

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“Ma con la tecnologia che ci circonda, la formula editoriale del fumetto ha ancora senso?” (Antonio Serra)

La frase, esclusivamente provocatoria, fa sorgere una domanda: per quale oscura ragione, ormai quasi due anni fa, in un periodo di recessione di vendita dei fumetti (la BONELLI, per esempio, aveva da poco ceduto alcune testate e chiuso altre), tre disegnatori decidono di pubblicare un nuovo fumetto di Fantascienza? Non si sarebbero chiamati i FUMATTI per niente, non trovate?

Il primo numero di Anjce viene presentato nel 2005 a LuccaComics e quest’anno la stessa manifestazione ha tenuto a battesimo il secondo.

MIRIAM BLASICH, GIACOMO PUERONI (noto disegnatore di Jonathan Steele) e LUCA VERGERIO, pur impegnati nei loro lavori principali, hanno voluto tenacemente trovare il tempo per sviluppare quest’idea. Miriam infatti puntualizza che “non è un fumetto, tanto per citare Magritte, ma un pretesto per raccontare, a chi lo leggerà, alcune riflessioni sul significato della morte, se c’è un qualcosa dopo e soprattutto qual è la cosa più importante per noi. Per me, e per Anjce, l’unica preoccupazione è di ritrovare la persona amata anche dopo la morte”.

Giacomo aggiunge: “Per me è stata l’opportunità di propormi con qualcosa di personale, su un tema che mi sta a cuore, la Fantascienza, senza alcun limite se non quello del numero di pagine. La possibilità di divertirmi – fattore primario – a scrivere e disegnare qualcosa che sentivo dentro” (ndr – ogni numero è diviso in tre parti e ogni disegnatore è anche sceneggiatore della propria). Anche Luca dice la sua: “Intendevo dar sfogo a tutto ciò che voglio raccontare in termini di Fantascienza, anche se, ovviamente, non è del tutto possibile. Anjce affronta delle tematiche particolari, toccando corde quali la malinconia, la solitudine, il piacere di bere una tazza di cioccolato caldo mentre nevica… In Anjce, pertanto, riverso più quello che sono il mio carattere, le mie esperienze di vita, i piccoli e (apparentemente) insignificanti episodi di ogni giorno. La vicenda del primo numero, Lezioni di cioccolato, nel quale tutto ruota attorno a un piccolo oggetto smarrito, è ispirata alla mia quasi proverbiale disattenzione; il tocco di fantascienza viene aggiunto in seguito. Ti faccio un esempio… Poniamo che debba andare dal giornalaio e sia quindi costretto a uscire di casa. Magari potrebbe piovere e il mio ombrello potrebbe non aprirsi. Magari, cercando riparo in un negozio, potrei incontrare una commessa particolarmente carina. Un vero colpo di fortuna? Forse, ma (ed ecco il tocco di fantascienza) potrebbe non trattarsi di un caso… forse la commessa è una donna nata 3000 anni fa, che tiene in mano le redini dell’universo e ha scatenato la pioggia perché io raccontassi la sua storia… perché, ogni 100 anni, un disegnatore viene chiamato al suo cospetto… o forse no…”

Luca ha quasi preceduto una mia curiosità: come è nata l’idea di Anjce?

Miriam risponde di getto: “Spesso accade che l’idea di partenza si evolva senza che noi ce ne

accorgiamo. Diciamo che inizia a camminare con le proprie gambe, e le storie iniziano a nascere da sé. L’apporto di Luca e Giacomo in questo è stato fondamentale: seppur con background e stili diversi, siamo sempre riusciti a capirci al volo e tutte le storie pensate da loro si sono sempre

armonizzate con l’idea di base che ho di Anjce, arricchendola di nuovi spunti e punti di vista. Mi sembra davvero fondamentale che accada così, naturalmente senza forzature o indicazioni da parte mia. In fondo credo che tutto ciò rispecchi il mondo di Anjce, in cui esistono rinati come lei,

ma con la propria personalità ed esperienza di vita terrestre. Mi piace questa sua interazione con gli altri perchè dà la possibilità di mostrare al lettore personalità diverse e autonome, scritte e disegnate da tre autori diversi (Luca, Giacomo e io), tre persone con esperienze di vita differenti.”

È evidente che Anjce nasce come una creatura di Miriam, come conferma Luca:

“L’idea di Anjce in quanto ragazza che vive su un’isola nel cosmo con un animale come compagnia è interamente di Miriam. Io e Giacomo abbiamo soltanto ‘la’ per la talpa. E il motivo per cui Miriam ha ideato Anjce è semplice: le avevo chiesto se aveva voglia di disegnare assieme a me (Giacomo si aggregò in seguito) una storia di Fantascienza da pubblicare sul Web. Ecco tutto!”

A questo punto, considerando che stiamo parlando di tre personalità diverse, ogni numero risulterà omogeneo, o la “non omogeneità” dello stile e delle storie può definirsi un particolare che contraddistingue Anjce?

Giacomo risponde: “L’idea iniziale era di proporre qualcosa di simile alle vecchie riviste, in cui gli stili mutavano, ma in cui era possibile raccontare una stessa cosa sotto diversi punti di vista. Il risultato è vario, certo, ma ogni numero rappresenta un esperimento in sé, su cui si può discutere, confrontarsi, si possono accettare critiche e suggerimenti.”

“Gli stili di ognuno vengono rispettati pienamente – aggiunge Miriam – e ognuno disegna con la propria sensibilità e può davvero esprimersi liberamente, seppur badando a conservare la coerenza della storia. Ciò, a livello narrativo, permette di offrire al lettore storie avventurose, umoristiche, intimiste, cioè un fumetto con varie sfaccettature, come del resto è la vita stessa di ognuno di noi; anche per questo Anjce ‘non è un fumetto’ ma qualcosa di più. Forse per il mondo dell’editoria è un po’ un azzardo, ma io credo che al pubblico si debba offrire sempre qualcosa di onesto e non pianificato sulle leggi di mercato. Con il numero 2 di Anjce c’è un’evoluzione sia nella storia che nei disegni, stiamo entrando nel vivo del progetto. Il mio prossimo episodio sarà un esperimento a livello di sceneggiatura, che sto scrivendo assieme a un giovane regista. Spero che i lettori pazientino, perché ne varrà la pena, è assicurato!”

Luca conclude: “DEVE assolutamente NON essere omogeneo. È il punto fisso che ci siamo proposti da sempre, cioè dimostrare che si possono raccontare storie della stessa protagonista con stili completamente diversi! Io, poi, sono sempre stato convinto che debba essere il disegno, il tratto, ad adattarsi alla storia e non il contrario. Per cui posso garantirti da subito che se la storia sarà drammatica il mio segno sarà violento, se sarà comica disegnerò in modo completamente diverso. Molti sostengono che in questo modo non sarò riconoscibile… e io dico che la mia ‘riconoscibilità’ dipende dal mio gusto per la ricerca costante di uno stile diverso.”

Ma chi è Anjce?

“Una donna che ha avuto una vita lunga e intensa e poi è morta. E fino a qui è tutto normale – mi spiega Giacomo –. Che succede poi? Qualcosa non va come ci si aspetta, perché la donna si risveglia in un letto accogliente, in una casetta immersa nella campagna, che ricorda un po’ quella dei suoi sogni, con un corpo che non è il suo, ma quello con cui si immaginava da giovane. Tutto a posto? No, affatto. Il suo nuovo corpo è artificiale e la casa è su un pezzo di roccia che vaga nello spazio, con un sofisticato meccanismo (umano? alieno?) che genera gravità e atmosfera. Ad alleviare la sua solitudine ecco una piccola talpa, Horo, estremamente ghiotta di cioccolato, con la quale stabilisce una specie di empatia. Intorno ad Anjce altre isole, altri ‘rinati’ come lei, ognuno chiuso nel proprio mondo privato. Quanti? Pochi o l’umanità intera? Che ne è stato del suo mondo, come lo conosceva lei? Perché nella casa si trovano degli oggetti inutili? Una cassetta della posta, un telefono muto, a che servono? È come se chi ha progettato quel luogo non avesse capito il loro scopo, ma ce li avesse messi perché in origine dovevano esserci.

Perché Anjce si ritrova su quell’isola vagante nello spazio, perché la talpa è con lei? Forse era già in quel pezzo di terra quando l’isola è stata generata, partendo da un corpo celeste più grande.

Corpo nuovo, vita nuova? Anjce è il suo nome attuale, non quello che aveva in vita, nella vita precedente, in cui era di carne e ossa. Ignora il perché di tutto ciò, ma è decisa a non perdere tempo: se è vero che nella vita bisogna avere uno scopo, il suo diventa quello di ritrovare l’uomo che amava, ascoltando lo spazio esterno con un’apparecchiatura che si è costruita, cercando di percepire un richiamo o un segnale, nell’intento di scoprire se anche lui è rinato, ignorando peraltro quale potrebbe essere il suo nuovo aspetto. In vita Anjce era stata una DJ, qui ascolta i suoni dell’universo. Sempre cosciente che la sua esistenza e quella dei rinati è un mistero, che forse un giorno avrà delle risposte. Ma trovare queste risposte non è un suo compito. Che ci pensi qualcun altro.”