Armageddon è una parola biblica e indica una valle in Israele; è stata teatro di molte battaglie nell’antichità, descritte nella Bibbia e confermate da studi archeologici. Oggi si chiama Tel Megiddo e di per sé ha poco di inquietante, se non vi mettono a disagio delle colline sassose coperte da poca erba ingiallita e qualche arbusto profumato.
Contenuta tra i modesti rilievi si stende una vallata, occupata da parecchi campi, coltivati con grande cura. Armageddon si riferisce anche alla fine dei tempi. Secondo l’Apocalisse, proprio in quella piana si terrà il giudizio finale. Col tempo, toponimo e avvenimento si sono fusi.
È comprensibile che il termine sia stato scelto come titolo per un film altamente spettacolare, che narra il pericolo corso dall’umanità a causa di un grosso asteroide.
Tutto ha inizio quando una missione Shuttle viene distrutta da un misterioso corpo celeste, e i grattacieli di New York vengono devastati da numerosi meteoriti. La NASA presto scopre che un asteroide grande “quanto il Texas” è in rotta di collisione con la Terra: solo diciotto giorni e ci sarà il botto! Provocherà inevitabilmente l’estinzione della specie umana, una vera e propria apocalisse, paragonabile a quella che si suppone abbia fatto sparire i dinosauri; previsioni che, in confronto, “L’alba del giorno dopo” è una vacanza a Cortina d’Ampezzo, in albergo a cinque stelle.
Per evitare la catastrofe, gli uomini della NASA avanzano numerose soluzioni; l’unica affidabile sembra quella di raggiungere l’asteroide nello spazio, trivellarlo alla profondità di 800 piedi (circa 2400 metri) e sistemare all’interno una bomba atomica ad orologeria. Con questa azzardata manovra, allo scoppio dell’ordigno, l’immensa roccia si spaccherà in due parti; esse s’allontaneranno nello spazio, ridotte in frantumi, senza investire la Terra. Alla NASA sono incompetenti per tecniche e apparecchiature necessarie a certi scavi, da poco tempo introdotti nei programmi d’esplorazione. Non resta che mandare nello spazio una squadra di trivellatori guidati dal miglior specialista al mondo. Viene convocato Harry Stamper, progettista di modelli destinati alla ricerca di petrolio e alle missioni NASA. Non c’è tempo per addestrare veri astronauti, bisogna mandare in orbita la squadra di operai specializzati di Stamper, anche se è più scompagnata di un battaglione disciplinare ed è afflitta da tutti i possibili guai del mondo (fisici rotondeggianti, vacanze forzate nei penitenziari, problemi familiari, comportamenti psicotici…). Intanto il tempo scorre e l’asteroide fila dritto verso la Terra alla velocità di fantastiliardi di miglia all’ ora…
Ecco un esempio di blockbuster americano che qualsiasi critico “serio” ha già deciso di macellare prima ancora di vedere. Anzi, forse proprio si rifiuterebbe di visionarlo, a meno che non venisse assai lautamente compensato. E in parte avrebbe ragione, povero diavolo, nel senso che questo è un titolo che va guardato con la voglia di staccare la spina per un paio d’ore, senza pretendere chissà quali verosimiglianze, introspezioni, montaggi complicati, o dialoghi raffinati.
Gli effetti speciali, il montaggio serrato e la musica sono onnipresenti; servono a dar pepe ad una storia che ha tutto, tranne l’originalità, e purtroppo scade in alcune sequenze sdolcinate abbastanza gratuite, degne di uno spot di lecca lecca. C’era stato “Quando i mondi si scontrano” negli anni Cinquanta, poi “Meteor” negli anni Settanta, poi “Deep Impact”, film quasi contemporaneo a questo, tanto da far immaginare chissà quali plagi. Accuse discutibili: più che di plagio, si tratta di ripetizione di luoghi comuni rivisitati con la grafica digitale. “Armageddon” brilla poco per novità nelle tematiche offerte ma, nella sua semplice elementarità, ha tutti gli ingredienti necessari per riuscire simpatico allo spettatore privo di spiccato interesse per il cinema di genere, che non pretende rivoluzioni stilistiche o strutturali, ma vuole uscire dal cinema divertito e rassicurato.
Protagonista è il consueto manipolo di uomini, tipo “sporca dozzina”, fra lo scombinato e l’avanzo di galera, che viene catapultato dalle sue piattaforme marine fin nello spazio per salvare l’umanità e ingrassare il botteghino. Sono personaggi definiti in poche righe, costruiti a tavolino e dotati di tratti in cui lo spettatore si possa riconoscere, chi in uno chi in un altro.
C’è il capo, classico duro col cuore di burro; c’è il giovanotto bello e ribelle, così anticonformista… che prima della partenza sposa la figlia del capo; troviamo un geniale psicopatico, il ciccione goloso, un culturista nero con la passione delle belle moto e dei giubbotti di pelle, e così via… Per sapere chi di loro farà ritorno dallo spazio non è obbligatorio arrivare alla fine del film, o chiedere in prestito a Harry Potter la sfera di cristallo. Basta esaminare i candidati uno per uno, poi confrontarli con i valori tipici della società USA, e scartare quanti più se ne distaccano. Ho provato questo metodo, e devo dire che la previsione è stata ragionevolmente precisa.
Come al solito la trasgressione è tollerata solo se non viene a scontrarsi con valori tradizionali. Muoiono gli “antipatici” perché così vuole lo spettatore, e gli anticonformisti veri poiché – si sarebbe detto negli anni ‘70 – ‘è la volontà del Sistema’. Ovvio, vengono sacrificati quei personaggi il cui essere è troppo poco caratterizzato e lascia quindi lo spettatore indifferente al loro destino, oltre che… beh, qui sto rivelando troppi dettagli. Come al solito gli Americani salvano il mondo, stavolta con un Russo e un Afroamericano. Il Russo è il personaggio più spassoso ed originale, mentre l’Afroamericano, non sarebbe una novità in pellicole stile “sporca dozzina”. Finalmente però, c’è un salto di qualità rispetto ai copioni ‘coreografici’ che venivano riservati agli attori di colore, soprattutto se giganteschi e statuari. È un ruolo limitato, ma non più banale di quello assegnato ad altri caratteristi.
Armageddon mi appare un film corretto e convenzionale: ossia il dipanarsi della vicenda rende “vincente” un preciso modello sociale fatto di amor patrio, religiosità, senso della famiglia e buoni sentimenti ostentati verso il prossimo, rispetto almeno apparente di tutte le minoranze, anche quelle che parrebbero proprio divergere in pieno da quello stereotipo. E se dico rispetto apparente, è perché in genere i personaggi che non fanno propria quella visione della vita, pur essendo rappresentati, vengono “scartati” dal premio finale della sopravvivenza o dell’eroismo con la “E” maiuscola. Eppure c’è di buono che la retorica riesce ad essere tenuta a freno, almeno per la prima ora di proiezione, grazie a una discreta dose di umorismo. A un certo punto gli astronauti addirittura si ribellano apertamente agli ordini del Presidente. C’è addirittura un momento in cui si ironizza sul rituale patriottismo americano, quando gli sceneggiatori scelgono di mostrare un gruppo di uomini che accetta di rischiare la vita non solo altruisticamente per salvare il pianeta, ma anche in cambio di concessioni economiche che in confronto alla salvezza dell’umanità sembrano davvero di poco peso: abitare alla Casa Bianca, non pagare le tasse, avere la fedina ripulita…
Le prevedibili dosi da cavallo di retorica, buoni sentimenti e “Dio, Patria e Famiglia” spuntano solo a secondo tempo inoltrato. D’altra parte i soldi per produrre il film sono yankee; è difficile pretendere che vengano messi in primo piano valori diversi da quelli convenuti dalla società americana. Per fortuna, l’irritante propaganda arriva assai tardi, e in contemporanea col crescendo dell’azione. Il ritmo velocissimo del montaggio e la sarabanda di effetti speciali minimizzano molto sia l’amor patrio, sia le sequenze strappalacrime.
La sceneggiatura tenta pure di rendere la genuinità dei sentimenti umani non tramite bandiere e slogans, ma grazie a piccoli particolari facili e di sicura efficacia: gli sguardi, le battute lievi o goliardiche, le spacconate dei vari operai, le pacche sulla schiena, la stessa scena iniziale in cui il padre scopre che… vi lascio la sorpresa. Se non si ha il palato troppo viziato dal cinema d’autore, può andare bene. Ancora una volta, almeno nelle produzioni americane, introspezione e azione non legano per rafforzare la storia, ma sembrano escludersi a vicenda. Peccato, forse verrebbe da seguire con maggiore interesse le peripezie di personaggi meno convenzionali, spinti da motivazioni meno ovvie. Purtroppo, generare protagonisti credibili per pellicole d’azione è piuttosto complicato e, peggio, paga poco.
I produttori, in buona o in cattiva fede, ritengono che spesso sia fatica sprecata. Secondo le leggi di mercato, una grossa fetta del pubblico di cinema d’azione se ne infischia della credibilità, mentre esige spettacolarità a qualsiasi costo. Magari schifa ogni tentativo di dare realismo psicologico, o anche solo logico, se ciò rallenta il ritmo. È una scelta che può deludere, anche se comprensibilissima; d’altra parte i film ricchi di effetti speciali costano. Prima d’investire milioni di dollari, le majors hollywoodiane ci pensano sopra e pianificano tutto quanto va fatto vedere, spesso anche con la consulenza di psicologi che studiano le reazioni del pubblico e “prevedono” la sceneggiatura più gradita.
È chiaro che mettere Willis in un film d’azione e divertimento è una scelta vincente al botteghino, anche se gli si affibbia un copione prevedibile. La regola funziona: nessuno può essere più adatto di lui nella parte del comandante della squadra. Se poi il ruolo è insipido, è colpa del soggetto e degli sceneggiatori che vogliono investire dollari solo su prodotti ragionevolmente sicuri e rinunciano all’originalità. Alla presenza di Willis hanno aggiunto attori della simpatia di Steve Buscemi e Peter Stormare (un astronauta russo, squinternato pure lui, che si unisce alla missione), o della bellezza di Liv Tyler, e il gioco è fatto, il pubblico riempie la sala. Poco importa se Liv Tyler sia solo un altro effetto speciale, e la sua parte stucchevole. Tra l’altro è figlia del cantante leader degli Aereosmith, e guarda caso, proprio gli Aereosmith firmano il grosso della colonna sonora. A voi le conclusioni… Non che la controparte maschile della bella attrice sia meno melensa e stereotipata.
Tra tensione continua, decisioni estreme da prendere sempre con onnipresenti conti alla rovescia ormai agli sgoccioli, azione e qualche momento che dovrebbe risultare perfino commovente (o almeno ci prova, il finale per esempio, se non fosse così scontato), il film ha navigato a gonfie vele nelle classifiche degli incassi. Le reazioni dello spettatore, invece, possono essere assai diverse; o recepisce quanto si vede come una farsa sgangherata e ne prende le distanze con ironia, o sta al gioco e finisce per perdonare tutto, anche che venga rimesso in moto il propulsore dello Shuttle a forza di martellate come se si trattasse della lavatrice della nonna.
Da notare ancora la colonna sonora di alto livello che sfrutta classici anni Sessanta, titoli di hard rock e alcune canzoni degli Aerosmith; anche qui la trasgressione è solo apparente. Accordi di chitarra a parte, il singolo I don’t want to miss a thing è l’ennesima rock ballad a base di cuore, amore, zucchero. È molto commerciale, più vicina alle produzioni della “Ca’ del Lissio” che non al vero hard rock o heavy metal. Buon per i più piccoli o i più vecchi o i più ignoranti, che almeno non capiscono il testo, e possono sopportare indenni una canzone così sdolcinata.
Meglio assai il tema strumentale, epico, potente.
È un film confezionato con molta cura e con grande impiego di mezzi. È stato pubblicizzato in modo intelligente, con messaggi martellanti e diretti a un ampio target di possibili spettatori, grazie alla sua commistione di generi (catastrofe, fantascienza, qualche sprazzo di humour e romanticismo). Pazienza se l’innovazione riguarda a prima vista le bellissime scene generate dalla computer graphic, e il dialogo è farcito di parolacce (che fanno pubblicità, Celentano docet), mentre i contenuti hanno poche ma significative variazioni sul tema.
Se vogliamo risparmiarci due ore di noia e delusione, magari anche incomprensioni verso l’immagine che gli Americani vogliono dare di loro stessi, non ci resta che evitare questo film, oppure guadarlo in compagnia, con un pacco di popcorn formato famiglia, e l’occhio pronto ad apprezzare tutto quello che un film d’essai ci negherebbe. Armageddon va guardato concedendosi una pausa di sana ingenuità, godendosi la spettacolarità dell’insieme che riuscirà a sorprenderci fino a quando nuovi effetti speciali non la renderanno datata. Con la certezza di non contemplare un capolavoro né di potervi scoprire chissà quali meraviglie nascoste. Quando tornerà la luce in sala, o leveremo il DVD dal lettore, potrà esserci spazio per la riflessione sul modo d’essere del cinema americano rispetto a quello europeo. Ancora una volta, trovo un malinconico adagio fatto di idee nuove senza mezzi e mezzi che non vengono investiti in idee nuove, poiché la novità può essere un rischio… Nel tripudio di effetti speciali, essere originali diventa un optional, ma due ore di divertimento senza pretese possono essere piacevoli.
Tit. originale: Armageddon
Anno: 1998
Nazionalità: USA
Regia: Michael Bay
Autore: Jonathan Hensleigh (sceneggiatura e storia) | J.J. Abrams (sceneggiatura) | Tony Gilroy, Shane Salerno (adattamento) | Robert Roy Pool (storia)
Cast: Bruce Willis (Harry Stamper), Billy Bob Thornton (Dan Truman), Ben Affleck (A.J. Frost), Liv Tyler (Grace Stamper), Will Patton (Chick), Steve Buscemi (Rockhound), William Fichtner (Colonello Willie Sharp), Owen Wilson (Oscar Choi), Michael Clarke Duncan (Bear), Peter Stormare (Lev Andropov), Ken Hudson Campbell (Max), Jessica Steen (Co-Pilota Jennifer Watts), Keith David (Generale Kimsey), Chris Ellis (Direttore di Volo Clark), Jason Isaacs (Ronald Quincy), Grayson McCouch (Gruber), Clark Heathcliff Brolly (Noonan), Marshall R. Teague (Colonello Davis), Anthony Guidera (Co-Pilota Tucker), Greg Collins (Halsey), J. Patrick McCormack (Generale Boffer), Ian Quinn (Astronauta Pete Shelby), John Mahon (Karl), Grace Zabriskie (Dottie), Stanley Anderson (Presidente), James Harper (Ammiraglio Kelso), Ellen Cleghorne (Infermiera Helga), Udo Kier (Psicologo), John Aylward (Dottor Banks), Judith Hoag (Denise), Shawnee Smith (Donna dai capelli rossi)
Fotografia: John Schwartzman
Montaggio: Mark Goldblatt, Chris Lebenzon, Glen Scantlebury
Musiche: Trevor Rabin
Rep. Scenografico: Michael White (production design) | Geoff Hubbard (supervising art director), Lawrence A. Hubbs, Bruton Jones (art direction) | Rick Simpson (set decoration)
Costumi: Magali Guidasci, Michael Kaplan
Produttore: Michael Bay, Jerry Bruckheimer, Gale Anne Hurd | Kenny Bates, Barry H. Waldman, Pat Sandston (associati) | Jonathan Hensleigh, Chad Oman, Jim Van Wyck (esecutivi) Produzione: Touchstone Pictures, Jerry Bruckheimer Films, Valhalla Motion Pictures