È uscito di recente un nuovo capitolo del ciclo di videogame Fallout, ovvero “il futuro postatomico ci aspetta”. Nel trailer pubblicitario di Fallout 3, allegre musichette dell’America anni Cinquanta sfumavano su panorami di distruzione totale, e una figura corazzata, vagamente umana, mormorava attraverso un respiratore: “la guerra non cambierà mai”.
Infatti la guerra è eterna, come afferma uno dei nostri maggiori autori “postapocalittici”, Alan D. Altieri. Ma, possiamo aggiungere, si evolve con una velocità incredibile.
La fabbricazione delle bombe atomiche è stata capace di cambiare radicalmente la tecnica bellica, che ha assunto le caratteristiche di una reazione irreversibile. Dai primitivi combattimenti corpo a corpo, con la scoperta della polvere da sparo la strategia militare ha allontanato in termini spaziali e psicologici il nemico dal nemico, riducendone il contatto e quindi l’umanizzazione.
Il primo utilizzo della bomba atomica ha annientato il concetto stesso di umanità, parificando il destino futuro dei contendenti in una sorta di suicidio collettivo. Gli ordigni a fissione e fusione atomica costituiscono il sistema più radicale e definitivo per estinguere ogni forma di vita sulla Terra.
I) Cenni di chimica nucleare
L’esplosione di un ordigno è una reazione chimica in cui alcune sostanze, a determinate condizioni, passano violentemente da una forma meno stabile a una più stabile. I prodotti di reazione sono associati a una liberazione di energia termica, luminosa e meccanica.
Nel caso di una reazione nucleare, si aggiunge l’emissione di particelle (definite anche raggi o radiazioni): si parla in questo caso di radioattività, termine introdotto dai coniugi Marie e Pierre Curie a seguito di una serie di esperimenti relativi all’emissione di raggi da parte di sostanze quali l’uranio; tali esperimenti portarono a isolare da un campione esaminato di pechblenda (composto di uranio in forma colloidale dispersa) due nuovi elementi fortemente attivi: il plutonio e soprattutto il radio.
A) Radiazioni
Le emissioni di particelle (o radiazioni) sono di tre tipi:
Alfa: radiazione corpuscolare di carica positiva. La particella emessa è un nucleo di elio (He); ha massa relativamente elevata e una velocità del 5-7% di quella della luce. La radiazione è scarsamente penetrante perché le particelle alfa interagiscono profondamente con la materia, provocando un’intensa ionizzazione, e procedono perciò nell’aria solo per un breve intervallo. È sufficiente un foglio di carta per arrestarle completamente.
Beta: radiazione corpuscolare di carica positiva o negativa. La particella emessa ha una massa piccolissima (elettrone o positrone) e una velocità vicina a quella della luce; la radiazione è mediamente penetrante e di conseguenza scarsamente ionizzante. Le particelle beta vengono arrestate da lamine metalliche spesse pochi millimetri.
Gamma: onda elettromagnetica, spesso collegata a emissioni alfa o beta quando, in seguito a queste ultime, il nucleo dell’atomo è in uno stato eccitato (perché i suoi protoni e neutroni non hanno ancora raggiunto la condizione di equilibrio). Emettendo una radiazione gamma, elettricamente neutra, il nucleo si libera rapidamente del surplus energetico.
Questi raggi sono altamente penetranti e vengono arrestati solo da notevoli spessori in piombo o altro materiale a elevata densità. La particella emessa è un fotone ad alta energia.
B) Radioattività naturale
Il nucleo atomico è una struttura estremamente stabile, anche se in natura esistono elementi che si “disintegrano” spontaneamente. In questo caso si parla di radioattività naturale.
Il nucleo atomico di ciascun elemento possiede una massa atomica A, composta da un numero fisso Z di protoni (particelle positive) chiamato numero atomico − che determina le proprietà chimiche −, e un numero variabile A-Z di neutroni (particelle neutre); Z diversi caratterizzano elementi diversi, atomi con Z identico e A-Z diverso (diverso numero di neutroni) si dicono invece isotopi di un determinato elemento.
Per esempio, il carbonio contiene nel suo nucleo 6 protoni (Z = 6), ma può variare in numero di neutroni (A-Z): il carbonio-12 (A = 12) ne possiede 6, il carbonio-14 (A = 14) ne possiede 8; ambedue sono esempi di isotopi del carbonio, condividono pertanto le stesse proprietà chimiche pur differendo in quelle fisiche (il secondo è più pesante).
Alcuni isotopi naturali hanno nuclei instabili, e si trasformano in altri isotopi (sia dello stesso elemento che di elementi diversi) emettendo delle particelle. In questo caso si parla di isotopi radioattivi.
Ogni emissione di particelle con successiva trasformazione viene indicata come decadimento.
L’uranio naturale è costituito al 99,3% di uranio-238 e per lo 0,7% di uranio-235, di maggior interesse per l’ottenimento dell’energia atomica. Assieme al torio-232 costituiscono i cosiddetti radioattivi naturali primari da cui si origina una serie radioattiva naturale.
Quella dell’uranio-238 è la seguente: uranio-238 àtorio-234 à protoattinio-234 àuranio-234 àtorio-230 àradio-226 àrado (Em)-222 àpolonio-218 à…piombo-206 (stabile).
La radioattività naturale prevede emissioni alfa e beta. Tutti gli isotopi artificiali sono radioattivi.
Unità di misura
Gray (Gy): unità di misura del Sistema Internazionale (SI) che esprime la dose assorbita dalla materia a seguito dell’esposizione a radiazioni ionizzanti.
Sievert (Sv): unità di misura SI che esprime la dose equivalente di radiazione, ovvero il danno provocato nell’uomo dai vari tipi di radiazioni ionizzanti. Oltre i 6 Sv la sopravvivenza tende allo 0%.
Becquerel (Bq): unità di misura SI che esprime il numero di decadimenti di un materiale radioattivo nell’unità di tempo. 1Bq equivale a un decadimento al secondo.
Kiloton: unità di misura non SI che esprime la quantità di energia prodotta da un’esplosione. 1 Kiloton = energia mille tonnellate di tritolo.
Megaton: unità di misura non SI, che esprime la quantità di energia prodotta da un’esplosione. 1 Megaton = energia di un milione di tonnellate di tritolo.
C) Radioattività artificiale e reazioni nucleari indotte
È possibile rendere radioattivo un elemento stabile alterandone la struttura nucleare. Questo può avvenire con reazioni di fissione o di fusione, il cui scopo primario è liberare e rendere sfruttabile l’energia di legame contenuta nel nucleo (energia nucleare).
Reazioni di fissione nucleare
Le reazioni di fissione − ovvero rottura – nucleare, vengono provocate bombardando nuclei stabili con particelle elementari o con fotoni; nei reattori nucleari le particelle utilizzate sono neutroni, detti veloci o lenti in base alla loro energia cinetica. Gli atomi degli elementi irradiati (generalmente uranio e plutonio) si scindono in isotopi radioattivi più leggeri emettendo raggi gamma ed energia essenzialmente termica, che nelle centrali viene recuperata attraverso un sistema di refrigerazione e poi convertita in energia elettrica.
I neutroni veloci vengono rallentati ponendoli in collisione con atomi di sostanze con le quali hanno scarsa tendenza a reagire, chiamati moderatori: le più efficaci sono grafite e acqua pesante (D2O). Da ogni atomo che si scinde, si libera un numero variabile di neutroni (2 o 3), che a loro volta possono innescare altre fissioni: si ottiene così una reazione a catena che, se non mantenuta sotto controllo come invece avviene nei reattori nucleari (o pile atomiche), è capace di liberare in un ordine di tempo misurabile in microsecondi una quantità di energia esprimibile in miliardi di kilocalorie, ovvero un’esplosione nucleare.
Reazioni di fusione nucleare o reazioni termonucleari
Le reazioni di fusione nucleare costituiscono un altro modo per liberare e sfruttare l’energia nucleare: in questo processo, due (o più) nuclei leggeri vengono uniti per formare un singolo nucleo pesante. La quantità di energia che si sviluppa è assai maggiore di quella prodotta da una fissione. Il procedimento più conveniente in termini energetici sembra essere la fusione tra deuterio e tritio (isotopi dell’idrogeno); per innescare la reazione sono però necessarie temperature elevatissime, raggiungibili peraltro utilizzando reazioni di fissione. A tutt’oggi le centrali nucleari a fusione sono ancora in fase di sperimentazione, mentre il processo ha avuto la sua realizzazione pratica con le bombe all’idrogeno, o bombe termonucleari.
II) Ordigni nucleari
Bomba A
La bomba A è un ordigno atomico a fissione, utilizzato per la prima volta durante la Seconda Guerra Mondiale, su Hiroshima (“Little Boy”, circa 13 Kiloton) e Nagasaki (“Fat Man”, circa 22 Kiloton), costituito da un nocciolo di materiale radioattivo, generalmente uranio arricchito (U-235 in maggiore percentuale, U-238 in minore percentuale) o plutonio-239. Per impedire fuoriuscite di neutroni, il nocciolo è rivestito da un guscio protettivo di metallo pesante.
La detonazione può avvenire in due modi.
A) detonazione a blocchi separati (gun-triggered fission bomb)
Il nocciolo è formato da uranio arricchito diviso in più masse sub-critiche (generalmente due): infatti, una quantità di uranio pari alla sua massa critica (quantità minima di sostanza fissile capace di innescare una reazione a catena) è estremamente instabile e quindi difficilmente gestibile.
Come innesco viene utilizzato esplosivo convenzionale, che scaglia un proiettile di uranio contro un blocco, sempre di uranio, dove è collocata una sorgente di neutroni detta iniziatore (generalmente formata da polonio e berillio). Si ottiene così il raggiungimento di una massa totale definita supercritica. Contemporaneamente, l’urto attiva l’iniziatore che comincia a bombardare tale massa con un numero elevatissimo di neutroni, innescando la reazione a catena.
La bomba Little Boy seguiva questo procedimento.
Questo tipo di arma nucleare è attualmente considerato obsoleto. I pochi modelli fabbricati sono stati, almeno ufficialmente, smantellati.
B) detonazione a implosione
Il nocciolo è formato da plutonio-239 (in quantità assai minori rispetto all’uranio del sistema precedente), in forma di sfera cava rivestita da vari strati di metalli, esplosivo tradizionale e detonatori. Al centro della sfera è collocato l’iniziatore. L’esplosione dei detonatori provoca un’onda d’urto circolare e concentrica, tale da comprimere il polonio modificandone la concentrazione − con conseguente raggiungimento della massa supercritica − e da attivare l’iniziatore; si innesca così la reazione a catena.
La bomba Fat Man seguiva questo procedimento, molto più efficace del precedente anche se più complesso nella realizzazione.
Questo tipo di arma nucleare è stato successivamente raffinato fornendo modelli più efficienti.
Bomba H
La bomba H, o bomba all’idrogeno o superbomba, è un ordigno termonucleare, prevede cioè un processo di fusione abbinato a più processi di fissione. Il tipo più classico è il modello Teller-Ulam (10 Megaton), progettato da Edward Teller e Stanislaw Ulam.
Il principio su cui si fonda il funzionamento di questo modello prevede l’utilizzo di un aggancio in stadi concatenati delle varie componenti esplosive, ciascuna delle quali fornisce energia alla successiva. Abbiamo quindi una sezione sferica primaria costituita da una bomba a fissione implosiva (trigger), e una sezione cilindrica secondaria (staging) costituita da: litio deuterato solido (LiD) come carburante di fusione (fusion fuel); uno spesso scudo di uranio-238 come schermo-tampone (tamper) che serve soprattutto a “trattenere” il nocciolo per il tempo necessario alla reazione; un tubo cavo di plutonio-239 come candela di accensione (sparkplug); il tutto è immerso in una schiuma polistirenica.
Il meccanismo d’azione è assai complesso. Semplificando al massimo, si può dire che:
1) la bomba a implosione (fissione) produce altissime quantità di energia termica, la quale provoca un aumento di pressione sul cilindro di uranio-238, frammentandolo e comprimendo il LiD;
2) si avvia un processo di fissione addizionale nel tubo di plutonio-239 con emissione di neutroni che, urtando il deuterato, provocano la formazione di tritio;
3) inizia a questo punto il processo di fusione (del tritio), con liberazione di una quantità enorme di energia, alla quale si somma quella derivante dalla fissione indotta nei frammenti di uranio-238 del cilindro;
4) il risultato è un’esplosione nucleare dell’ordine di 10 Megaton in 600 miliardesimi di secondo.
Il primo ordigno di questo tipo è stato “Ivy Mike” (10,4 Megaton, test americano del 1952). Risultati migliori sono stati ottenuti con “Castel Bravo” (15 Megaton, test americano del 1954). La più potente bomba termonucleare mai fatta esplodere è la “Tzar Bomb” (57 Megaton, test sovietico del 1961).
Nel 1968 inizia negli USA la produzione della B61, la principale arma termonucleare americana. Questo modello ha dato origine a una vera e propria famiglia di ordigni atomici.
Bomba al Cobalto
La bomba al cobalto, o bomba gamma, appartiene alla categoria delle bombe termonucleari dette salted bombs (bombe “ai sali”); soprannominata “the Doomsday device” (dispositivo del Giorno del Giudizio), è stata proposta dal fisico nucleare Leo Szilard nel 1950 come esempio di arma nucleare capace di distruggere la Terra. Il progetto riprende lo schema delle bombe a fissione-fusione-fissione, ma in questo caso il tamper è costituito da cobalto-59 non radioattivo, che viene trasformato nel suo isotopo radioattivo cobalto-60, a sua volta oggetto di decadimento beta con produzione di nichel-60 in stato eccitato. Il nichel raggiunge poi il suo stato energetico minimo (cioè si stabilizza) con emissione di radiazioni gamma.
La differenza sostanziale rispetto alle precedenti armi nucleari è nel fall-out (ricaduta di materiale radioattivo): le scorie radioattive – e il loro ingente carico di raggi gamma – oltre a coprire distanze impressionanti dall’epicentro esplosivo (anche 100 km), rimarrebbero sul suolo per un periodo di tempo lunghissimo. Questa bomba è stata ideata allo scopo di produrre il peggior fall-out radioattivo possibile, e rientra nel novero delle “bombe sporche”, ovvero armi radiologiche (radiological dispersal device) che combinano materiale radioattivo a effetto nocivo “lento” con esplosivo convenzionale a esito letale immediato.
Bomba N (armi ER, enhanced radiation bombs)
La bomba N o Bomba ai Neutroni, ideata dal fisico Samuel Cohen, è una piccola bomba a fusione nata come arma “tattica” e riferibile a una logica militare diversa: permette di distruggere l’avversario senza causare un inquinamento radioattivo particolarmente elevato o danni devastanti al territorio. Al contrario delle altre bombe atomiche, nelle quali i neutroni del nocciolo vengono trattenuti il più possibile, in questo caso vengono emessi neutroni veloci ad alta diffusione, capaci di penetrare attraverso elevati spessori. Infatti, i neutroni sono elettricamente neutri e quindi attraversano senza eccessivi danni la materia inorganica (a eccezione dei circuiti integrati dei processori), ma provocano mutazioni e/o rotture nel DNA generalmente letali per la materia organica. L’utilizzo di una bomba N provoca l’uccisione a vasto raggio di tutti gli organismi biologici, consentendo però il recupero di materiale bellico, complessi industriali ecc. Tali caratteristiche rendono questo ordigno particolarmente adatto nell’attacco a strutture metalliche o interrate: carri armati, bunker, rifugi sotterranei, edifici, navi, aerei ecc.
“Suitcase nuke”
Le “bombe portatili” sono ordigni atomici di piccole dimensioni (60x40x20 cm circa) la cui testata è formata da un tubo contenente due blocchi di uranio che, se uniti, esplodono. Un detonatore e un dispositivo a codice completano il “kit”. L’utilizzo di queste bombe non è prettamente militare ma piuttosto terroristico: sebbene il loro effetto non sia paragonabile a quello di armi nucleari con potenza dell’ordine di megaton, esse conservano una capacità distruttiva assai maggiore rispetto agli esplosivi tradizionali, soprattutto per la grande quantità di radiazioni emesse.
Inizialmente le suitcase nuke furono costruite per il KGB durante la Guerra Fredda, ma l’esempio sovietico fu subito seguito dagli Stati Uniti.
Progetto RRW: le nuove bombe
Il “Reliable Replacement Warhead” è un progetto varato negli USA da DOE (Department of Energy) e DOD (Department of Defense) con lo scopo di rinnovare le scorte di armi nucleari. L’arsenale atomico americano è composto per circa un terzo da ordigni W76 (termonucleari da 100 Kiloton), i più vecchi dei quali hanno raggiunto i trent’anni di vita: praticamente la fine del loro ciclo operativo, a causa del decadimento radioattivo del nocciolo.
Le W76 nascono durante la guerra fredda nei laboratori di Los Alamos (New Mexico), e attualmente si trovano stoccate in vari depositi e sui sottomarini nucleari: se il progetto del governo americano seguirà il suo corso, saranno sostituite da una nuova atomica, la RRW1, che funzionerà come ogni altra bomba a fusione. Questa proposta ha suscitato varie critiche; molti osservatori (per esempio il JASON, formato da scienziati indipendenti) mettono in dubbio la necessità di produrre nuovi ordigni nucleari, considerando che il decadimento del nocciolo di plutonio è in realtà più lungo di quello stimato: almeno un secolo. Inoltre, le “vecchie” W76 possono essere sottoposte a procedure di rigenerazione, attualmente già in corso. La NNSA (Nuclear National Security Administration), divisione del DOE, ha presentato varie motivazioni pro RRW: la scarsa necessità di ulteriori test atomici, poiché la RRW1 è basata su armi ampiamente testate, la possibilità di usare materiali meno tossici e di inserire migliori sistemi di sicurezza, i rischi connessi alla “riparazione” dei vecchi ordigni.
Le implicazioni politico-socio-economiche che ruotano attorno al RRW Project sono ovviamente enormi, ma ciò che colpisce sono alcune posizioni degli addetti ai lavori: il concetto di una bomba nucleare quasi ecologica, con la possibilità di “eliminare un processo di fabbricazione che produce il 96% di scorie tossiche radioattive” [Bruce Goodwin, direttore del Livermore Laboratory, vincitore dell’appalto], come se quelle liberate dopo un’esplosione nucleare fossero trascurabili, si pone in una logica piuttosto inquietante.
Accanto alla RRW1 sembra sia all’esame la realizzabilità di una RRW2, ottimale per il lancio dagli aerei, in sostituzione della W78, altro “vecchio” ordigno in uso. E forse, nell’ottica di un necessario deterrente “forte” nel quadro del riarmo mondiale, ne seguiranno altre; in fin dei conti è lo stesso John Harvey, direttore della pianificazione della NNSA, a dire che scienziati e ingegneri vanno tenuti in esercizio.
III) L’esplosione nucleare
A) Effetti della deflagrazione di un esplosivo nucleare, a quantità standard di massa utilizzata, pari a 1 Megaton
Onda termica (35% dell’energia prodotta): si forma una palla di fuoco, la cui energia luminosa provoca un lampo di luce tale da provocare cecità temporanea e danni permanenti alla capacità visiva. La quantità di calore sviluppata porta la temperatura a valori dell’ordine di milioni di gradi Celsius, con conseguenze concentriche: vaporizzazione immediata di ogni cosa nel raggio di 10 km dall’epicentro, ustioni di terzo e quarto grado nel raggio di 10-15 km, di secondo grado nel raggio di 15-20 km, di primo grado nel raggio di 20-25 km, sviluppo di incendi nel raggio di 15 km. Nel caso di un’esplosione in superficie, in corrispondenza dell’epicentro si ha rimozione del suolo e degli altri materiali presenti: si forma quindi un cratere le cui dimensioni variano a seconda dell’altezza alla quale l’ordigno viene fatto esplodere.
Onda d’urto (50% dell’energia prodotta): l’enorme pressione generata dall’esplosione produce, dopo una frazione di secondo, un’onda d’urto (un muro d’aria fortemente compressa) con velocità elevatissima, che a sua volta provoca la distruzione di ogni cosa nel raggio di 1500 metri, danni enormi agli edifici, morte di chiunque si trovi nel raggio di 10 km, a meno che non trovi riparo in appositi rifugi sotterranei. Dopo appena 1,8 secondi dall’esplosione, il fronte dell’onda d’urto ha coperto una distanza di 800 m. Nel caso di una deflagrazione in aria, a questo si associa l’effetto Mach: l’onda d’urto primaria colpisce il suolo, contribuendo alla formazione del cratere, viene riflessa e origina un’onda secondaria. Ad una certa altezza dal suolo le due onde uniscono i propri fronti, formando l’onda di Mach (rinforzata). A 11 secondi dall’esplosione, l’onda di Mach ha percorso 5,1 km.
Fungo Atomico: l’elevata temperatura provoca la formazione di masse gassose sotto pressione, tali da formare una palla di fuoco che si estende per centinaia di metri attorno all’epicentro dell’esplosione, con emissione di raggi UV, IR, calore e luce visibile. Essa possiede una velocità ascensionale di circa 170 km/h e trascina con sé i residui della bomba e detriti vari. Si forma perciò la cosiddetta “nuvola radioattiva”, che raggiunge la sua altezza massima dopo pochi secondi, si stabilizza, e continua a crescere in larghezza, prendendo la caratteristica forma a fungo. Il suo calore (considerato a prescindere dall’onda termica) verrebbe avvertito a 8 km di distanza; inoltre, gli strati esterni risucchiano aria, provocando un ciclone capace di spazzare via tonnellate di materiale dal terreno sottostante. Questi venti estremamente violenti sono un efficiente mezzo di propagazione per incendi su vasta scala. Il colore della nuvola radioattiva è inizialmente rosso o marrone rossiccio, dovuto alla presenza di vari composti colorati (acido nitrico e ossidi di azoto) sulla superficie. Questi composti sono prodotti di reazione fra azoto, ossigeno e vapore acqueo in aria, che si combinano a causa delle alte temperature e dell’influenza delle radiazioni nucleari. Quando la palla di fuoco si raffredda e subentrano fenomeni di condensazione, il colore vira al bianco, probabilmente perché si formano piccole gocce d’acqua come in una nuvola qualsiasi.
Onda radioattiva (15% dell’energia prodotta): raggi gamma e neutroni. Nel caso di una bomba N, l’irraggiamento supera i 100 km. A questo si associa l’Effetto NIGA (Neutron Induced Gamma Activity): se la sfera primaria, cioè la zona dove avvengono le reazioni nucleari, entra in contatto con il suolo, lo irraggia con neutroni rendendolo fortemente radioattivo.
Effetto EMP (Electro Magnetic Pulse): l’enorme quantità di radiazioni genera un immediato campo elettromagnetico, tale da annullare su vasta scala qualsiasi sistema elettrico o elettronico non schermato.
Effetto Fall-out (due ore circa dopo l’esplosione): la ricaduta in tempi differenti di materiale radioattivo, sollevato in quota dall’esplosione. I detriti aspirati dal fungo atomico vengono a contatto con i prodotti di fissione, e diventano a loro volta radioattivi. Essendo composti da sostanze di natura diversa, ricadono al suolo – sotto forma di polvere e ceneri − con velocità direttamente proporzionale alle rispettive masse. Si parla quindi di fall-out primario con ricaduta veloce e di fall-out secondario con ricaduta da sei a trenta ore dopo l’esplosione. La pericolosità del fall-out (ovvero la sua radioattività) è massima nella fase iniziale e diminuisce poi fino a stabilizzarsi. La distribuzione e la durata del fenomeno dipendono anche dalla potenza dei venti in alta quota.
Le particelle microscopiche possono giungere sino alla troposfera e ricadere poi con le piogge. Se finiscono scagliate nella stratosfera, e quindi sotto l’influenza dei venti stratosferici, possono restarvi per mesi o anni e compiere più rivoluzioni attorno al globo terrestre (fallout globale). Ricadono solo quando trovano correnti discensionali o transitano sopra le zone polari.
I prodotti di ricaduta più comuni (e insidiosi) sono il cesio-137 e lo stronzio-90: si ritrovano anche nel pulviscolo radioattivo del fall-out stratosferico e possono contaminare zone immensamente vaste.
B) Fenomeni climatici conseguenti: inverno nucleare ed estate nucleare
Con il termine inverno nucleare si intende la situazione atmosferica, conseguente a un conflitto atomico globale, ipotizzata dall’astrofisico Carl Sagan nel 1982 nella relazione denominata TTAPS. Pubblicata nel dicembre 1983 su Science, questa visione assai apocalittica di un futuro “dopo la Bomba”, è stata, negli anni successivi, aspramente criticata ma anche ripresa in vari lavori scientifici: i più recenti sono datati 2007 (Journal Geophysical Research).
La causa scatenante della deformazione climatica descritta sarebbe non tanto l’enorme quantità di polveri scagliate nella stratosfera da una esplosione atomica, quanto i prodotti degli inevitabili incendi globali: la combustione di vaste aree − soprattutto urbane e industriali – porterebbe infatti alla formazione nella stratosfera di uno strato di fumi neri e ceneri capace di schermare la luce del sole. Ciò provocherebbe una sensibile diminuzione della temperatura terrestre per diversi anni, con conseguenze facilmente immaginabili. È stata infatti ipotizzata una nuova glaciazione, associata a una marcata diminuzione delle precipitazioni atmosferiche (circa il 45%) che interesserebbe tutte le principali aree attualmente impegnate nelle coltivazioni e produzioni a scopo alimentare.
L’estate nucleare consiste invece nel fenomeno opposto, uno scenario assai differente ma comunque catastrofico: dopo l’inverno nucleare, la superficie terrestre sarebbe oggetto di un massivo “effetto serra” provocato dalle radiazioni solari che, una volta arrivate sulla Terra, non sarebbero più in grado di uscirne, a causa delle grandi masse gassose (soprattutto CO2) prodotte dagli incendi globali e dalla decomposizione di materia organica. L’innalzamento della temperatura causerebbe lo scioglimento dei ghiacciai, l’aumento di vapor acqueo nell’atmosfera e, oltrepassato un certo limite, la produzione di metano dai fondali oceanici: tutti elementi che accrescerebbero il surriscaldamento del pianeta. Inoltre, gas come l’ossido di azoto, liberato nella stratosfera dalle esplosioni atomiche, provocherebbero una vasta estensione del buco dell’Ozono, i cui effetti si andrebbero a sommare ai precedenti.
Bibliografia:
Chimica generale – Lamberto Malatesta
Chimica, Principi e Proprietà – Michell J. Sienko, Robert A. Plane
http://www.princeton.edu/~globsec/publications/effects/effects.shtml
http://www.remm.nlm.gov/nuclearexplosion.htm
http://fas.org/
http://nuclearweaponarchive.org/Nwfaq/Nfaq1.html#nfaq1.6
http://it.encarta.msn.com/encyclopedia_761554852/Fallout_radioattivo.html
http://www.zonanucleare.com/scienza/radioattivita.htm
http://www.newapocalypse.altervista.org/effetti_esplosioni_nucleari_e_scenari_di_guerra_nucleare1.html
http://www.cddc.vt.edu/host/atomic/nukeffct/airburst.html
http://www.iaea.org/index.html
http://www.atomicarchive.com/index.shtml
http://geopolitica.myblog.it/
http://en.wikipedia.org/wiki/Mushroom_cloud
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http://en.wikipedia.org/wiki/Nuclear_Weapon
http://www.eoearth.org/article/Nuclear_winter
http://nuclearweaponarchive.org/Nwfaq/Nfaq8.html#nfaq8.1.4
http://www.agu.org/pubs/crossref/2007/2006JD008235.shtml
http://www.pynthan.com/vri/nwaos.htm