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Prologo
Nave da ricerca Icefall
Oceano Atlantico
88 miglia dalla costa dell’Antartide
Karl Selig si appoggiò meglio al parapetto per osservare bene l’enorme iceberg attraverso le lenti del binocolo. Si staccò un nuovo pezzo di ghiaccio e cadde in mare, mostrando un’altra sezione del lungo oggetto nero. Sembrava… un sottomarino. Ma non poteva essere.
«Ehi, Steve, vieni un po’ a vedere».
Steve Cooper, l’amico d’infanzia di Karl, finì di legare una boa e raggiunse il compagno sull’altro lato della nave. Prese il binocolo, diede una rapida occhiata e si fermò su un punto. «Cavoli! Che roba è? Un sottomarino?»
«Forse».
«Cosa c’è sotto?».
Karl riprese il binocolo. «Sotto…». Esaminò la zona sotto l’oggetto. C’era qualcos’altro. Il sottomarino, se era un sottomarino, sporgeva da un secondo oggetto metallico, grigio e molto più grande. A differenza dell’altro, l’oggetto grigio non rifletteva la luce, e ricordava quelle specie di onde che si scorgono tremolare all’orizzonte di un’autostrada surriscaldata o di una vasta distesa di deserto. Ma non era caldo, quantomeno non stava sciogliendo il ghiaccio che lo circondava. Subito sopra la struttura Karl notò i resti di una scritta sulla fiancata del natante: “U-977” e “Kriegsmarine”. Un sommergibile nazista. Che sporgeva da… una struttura non meglio definita.
Karl abbassò il binocolo. «Sveglia Naomi e preparati all’attracco. Andiamo a controllare».
Steve corse di sotto e Karl lo sentì chiamare Naomi da una delle due cabine della piccola imbarcazione. La società che aveva sponsorizzato il suo viaggio aveva insistito perché prendesse con sé anche lei. Alla riunione Karl aveva accettato e in cuor suo si era augurato che non gli fosse d’impiccio. Gli era andata bene. Quando, cinque settimane prima, erano partiti da Città del Capo, in Sudafrica, Naomi era salita a bordo con due cambi d’abito, tre romanzi d’amore e abbastanza vodka da ammazzare un esercito di russi. Da allora non l’avevano praticamente più vista. “Questo viaggio dev’essere una noia mortale per lei”, pensava Karl. Per lui era l’occasione di una vita.
Alzò il microfono e osservò ancora una volta la montagna di ghiaccio che circa un mese prima si era staccata dall’Antartide. Quasi il novanta percento dell’iceberg era sott’acqua, ma la parte emersa misurava comunque più di 120 chilometri quadrati: una volta e mezzo le dimensioni di Manhattan.
La tesi di laurea di Karl trattava l’influenza dello scioglimento di iceberg di recente formazione sulle correnti marine planetarie. Da quattro settimane lui e Steve collocavano intorno all’iceberg boe high-tech che misuravano la temperatura del mare e il rapporto acqua salata/acqua dolce, oltre a effettuare periodici rilevamenti sonar della forma in perenne mutamento della montagna di ghiaccio. Lo scopo era di conoscere più a fondo il modo in cui gli iceberg si disintegravano dopo aver lasciato l’Antartide.
L’Antartide contiene il novanta percento del ghiaccio del mondo e, quando si fosse sciolto nei secoli a venire, avrebbe travolto completamente il mondo intero. Karl sperava che la sua ricerca aiutasse a prevedere meglio in che modo.
Appena saputo di aver trovato i fondi necessari, aveva chiamato Steve. «Devi venire con me… No, fidati». Lui aveva accettato di malavoglia ma poi, per la gioia di Karl, man mano che raccoglievano dati durante il giorno e discutevano ogni sera dei primi risultati ottenuti, il vecchio amico aveva iniziato a entusiasmarsi. Prima del viaggio, la carriera accademica di Steve era progredita con la stessa svogliatezza con cui procedeva l’iceberg che stavano seguendo, al punto che Karl e i suoi altri amici, guardandolo vagare da un argomento all’altro nella scelta di una tesi, si erano chiesti se alla fine non avrebbe abbandonato definitivamente gli studi.
I dati che avevano raccolto fino a quel momento nella loro ricerca erano interessanti, ma adesso avevano trovato qualcos’altro, un oggetto davvero straordinario. Da titoli a caratteri cubitali sulla stampa. Ma che cosa avrebbero detto? Sommergibile nazista trovato in Antartide? Non era plausibile.
Karl sapeva che per i nazisti l’Antartide era stato un’autentica ossessione. Nel 1938 e 1939 vi avevano inviato delle spedizioni arrivando a rivendicare una parte del continente come nuova provincia tedesca con il nome di Neuschwabenland. Durante la seconda guerra mondiale, alcuni sommergibili nazisti non erano mai stati recuperati e non risultava che fossero stati affondati. Secondo i teorici del complotto, un sommergibile nazista aveva lasciato la Germania poco prima della caduta del Terzo Reich, portando in salvo i più alti gerarchi e tutto il loro tesoro, compresi gli inestimabili capolavori sequestrati in Europa e tecnologia top-secret.
Nella mente di Karl prese forma una nuova idea: la ricompensa. Se a bordo di quel sommergibile c’era un tesoro nazista, doveva avere un valore straordinario. Non avrebbe mai più dovuto preoccuparsi di trovare fondi per le sue ricerche.
Ma prima di tutto c’era il problema di attraccare all’iceberg. Il mare era agitato e solo al quarto tentativo riuscirono finalmente a ormeggiarsi a pochi chilometri dal sommergibile e dalla strana struttura dalla quale sporgeva.
Karl e Steve si vestirono e presero l’attrezzatura da arrampicata. Il primo impartì a Naomi alcune istruzioni elementari, che si potrebbero riassumere in un «non toccare niente», quindi si calò con Steve sulla sporgenza di ghiaccio sotto il parapetto.
Per i quarantacinque minuti successivi camminarono sul ghiaccio deserto dell’iceberg senza scambiarsi una sola parola. All’interno il fondo era più accidentato e furono costretti a rallentare, Steve più di Karl.
«Non possiamo tirarla troppo per le lunghe, Steve».
Lui si sforzò di non restare indietro. «Scusa. Un mese di navigazione mi ha messo fuori forma».
Karl lanciò un’occhiata al sole. Quando fosse tramontato, la temperatura sarebbe precipitata e con tutta probabilità sarebbero morti assiderati tutti e due. Lì le giornate erano lunghe. Il sole spuntava alle due e mezzo del mattino e tramontava dopo le ventidue, ma ormai restavano poche ore. Karl allungò un po’ più il passo.
Dietro di sé sentì Steve arrancare sui suoi ramponi nel disperato tentativo di stargli dietro. Dal ghiaccio salirono rumori strani, prima un mugolio basso, poi un rapido martellare, come se l’iceberg fosse stato assalito dai becchi di mille picchi. Karl si fermò ad ascoltare. Si girò e il suo sguardo incrociò quello dell’amico nell’istante in cui sotto i suoi piedi si apriva una ragnatela di crepe sottili. Steve guardò giù con orrore e un attimo dopo partì di corsa verso Karl e il ghiaccio solido.
Per Karl fu come assistere a una scena surreale che si svolgeva quasi al rallentatore. Sentì se stesso correre verso l’amico e lanciargli la corda che si era staccato dalla cintura. Steve l’afferrò una frazione di secondo prima che l’aria fosse scossa da un crepitio assordante e il ghiaccio sotto di lui si aprisse in una voragine gigantesca.
La fune si tese immediatamente, sollevò Karl in aria e lo fece piombare bocconi sul ghiaccio. Sarebbe precipitato con Steve nel crepaccio. Tentò di impuntarsi con i piedi, ma la trazione della corda era troppo forte. Allentò la presa delle mani e lasciò che la corda gli scivolasse tra le dita rallentando il trascinamento. Piantò con forza i ramponi nel ghiaccio davanti a sé e finalmente riuscì a fermarsi mentre veniva investito dalle scaglie di ghiaccio scalzate dalle punte d’acciaio. Strinse di nuovo la fune che si tese sul bordo della voragine, emettendo una strana vibrazione, quasi come la corda di un violino.
«Steve! Tieni duro! Ti tiro su…».
«Non farlo!», gridò l’amico.
«Cosa? Sei impazzito?»
«C’è qualcos’altro qua sotto. Calami giù, adagio».
Karl rifletté per un momento. «Cos’è?»
«Sembra una galleria o una grotta. C’è del metallo grigio. Non si vede bene».
«Va bene, tieniti. Ti faccio scendere un po’ di più». Karl sfilò tre metri di corda e, quando non ricevette ulteriori istruzioni da Steve, altri tre.
«Ferma», gridò l’amico.
Karl sentì uno strattone. Forse Steve si era messo a dondolare? Ma la fune si allentò all’improvviso.
«Ci sono», disse l’amico.
«Cos’è?»
«Non sono sicuro». Ora la voce di Steve gli giungeva ovattata.
Karl strisciò fino al ciglio per guardare giù.
L’amico mise la testa fuori della grotta. «Sembra una specie di cattedrale. È enorme. Ci sono delle scritte sui muri. Simboli che non ho mai visto prima. Vado a vedere».
«Steve, non…».
Quello scomparve di nuovo. Passò qualche minuto. Un’altra lieve vibrazione? Karl tese l’orecchio. Non la udiva, ma l’avvertiva. Ora il ghiaccio vibrava sempre più velocemente. Si alzò in piedi e si allontanò di un passo dalla voragine. Il ghiaccio sotto di lui si crepò e alla prima spaccatura se ne aggiunsero altre, a velocità sempre maggiore. Corse più forte che poté verso la fessura che si andava allargando. Saltò… e quasi atterrò dall’altra parte, ma non del tutto. Si aggrappò con le mani al bordo di ghiaccio e rimase appeso così per un lungo istante. Le vibrazioni diventavano sempre più violente. Karl vide il ghiaccio intorno a sé che si sgranava e cascava a pezzi, poi il tratto a cui era agganciato si staccò e precipitò nell’abisso.
*
A bordo della nave di ricerca, Naomi guardò il sole scomparire dietro l’iceberg. Accese il telefono satellitare e compose il numero che le era stato dato.
«Mi aveva detto di chiamare se avessimo trovato qualcosa di interessante».
«Non dire niente. Resta in linea. Ti localizzeremo entro due minuti. Ci rifacciamo vivi noi».
Naomi posò il telefono sul banco, tornò ai fornelli e riprese a mescolare i fagioli.
*
Quando sullo schermo lampeggiarono le coordinate del GPS, l’uomo all’altro capo del telefono registrò i dati e cercò rilevamenti in tempo reale nel database della sorveglianza satellitare. Un risultato.
Aprì lo stream e inquadrò il centro dell’iceberg, dove si vedevano le macchioline nere. Zoomò ripetutamente e, quando l’immagine andò a fuoco, lasciò cadere il caffè per terra, uscì di corsa dalla stanza e si precipitò nell’ufficio del direttore in fondo al corridoio. Irruppe interrompendo un uomo dai capelli grigi che, in piedi, stava parlando con entrambe le mani alzate.
«L’abbiamo trovato»…
Tit. originale: The Atlantis Gene
Anno: 2013
Autore: A. G. Riddle
Ciclo: The Revelation Saga #1
Edizione: Newton Compton (anno 2015), collana “Narrativa Newtn” #842
Traduttore: Tullio Dobner
Pagine: 521
ISBN: 8854174912
ISBN-13: 9788854174917
Dalla copertina | Più di 70.000 anni fa l’umanità è stata sul punto di estinguersi. È miracolosamente sopravvissuta, ma nessuno sa come. Ora è pronta per compiere un nuovo passo verso un livello evolutivo superiore, ma il tempo stringe. La dottoressa Kate Warner, brillante genetista, è convinta di aver trovato la cura contro l’autismo, invece ha fatto una scoperta ben più pericolosa per lei, e per l’intera razza umana. Intanto, in Antartide, una missione scientifica ha identificato un sommergibile nazista sepolto all’interno di un iceberg e difeso strenuamente dagli agenti dell’Immari, misteriosa e potentissima organizzazione globale, suddivisa in tante sottosezioni con diramazioni in ogni campo e in tutto il mondo. L’agente David Vale ha passato gli ultimi dieci anni a tentare di comprendere cosa questa organizzazione protegga con tanta tenacia, ma ormai è troppo tardi: gli uomini dell’Immari sono sulle sue tracce e lo stanno braccando. L’unica persona al mondo che può aiutarlo è proprio Kate Warner. Insieme, lei e David dovranno cercare di sventare una minaccia globale e capire cosa nasconde il gene di Atlantide e quali sono le vere origini dell’uomo. Ma gli agenti dell’Immari sono disposti a tutto, persino a uccidere il 99.9% della popolazione del pianeta Terra, pur di fermarli.