Battle Royale (manga)

Battle Royale (manga)

Battle Royale (Batoru Rowaiaru) è il titolo del romanzo best-seller di Koushun Takami: pubblicato in Giappone nel 1999, il libro è divenuto in breve tempo un’opera culto da cui sono stati tratti film (il primo, del 2000, con Kinji Fukasaku alla regia e Takeshi Kitano nel cast), anime, fumetti e persino videogame.

La serie manga, realizzata grazie alla collaborazione tra lo stesso Koushun Takami e il disegnatore Masayuki Taguchi, è stata pubblicata in Giappone tra il 2000 e il 2005; in Italia è stata proposta prima da Play Press e, recentemente, da Panini Comics, ottenendo un discreto consenso in termini di vendite ma senza suscitare la medesima forte reazione registrata in territorio nipponico dove, addirittura, gli accesi dibattiti hanno provocato un’interrogazione parlamentare.

Le vicende narrate si svolgono in un contesto distopico, in un imprecisato futuro prossimo, nel territorio della Repubblica della Grande Asia che ammicca fortemente al clima politico-sociale del complesso Cina-Giappone odierno. Al pari di quanto accade in 1984 di George Orwell, opera verso la quale si avverte un legame letterario proprio in virtù dell’ambientazione, anche in Battle Royale viene ipotizzata una forma di governo repressiva, un regime totalitario di stampo fascista, retto da un dittatore supremo, l’Egemone.

La tensione sociale e il clima di oppressione sono elevati, e, per arginare sul nascere fenomeni di rivolta o di violenza, sono previste leggi quantomeno discutibili. Una di queste, il “BR Act”, impone che ogni anno venga selezionato un gruppo di studenti di terza media, all’incirca quindicenni, per partecipare al cosiddetto “Program”, una sorta di reality show in versione estrema. I ragazzi vengono rapiti e trasportati in una località segreta, e lì costretti ad ammazzarsi l’un l’altro sino a che non ne rimanga in vita solamente uno, entro un limite temporale di tre giorni. Ciascuno di loro viene gravato di un collare esplosivo (attraverso il quale è possibile controllarne conversazioni e spostamenti), e dotato di viveri e di un’arma; l’attribuzione di quest’ultima è casuale: le probabilità di venir equipaggiati con un coltello o un mitra sono praticamente equivalenti.

Agenti governativi hanno poi il compito di monitorare lo svolgimento del Program, verificando che rimanga ucciso almeno uno studente al giorno (pena l’esplosione di tutti i collari) o rendendo off-limit alcune zone del luogo in cui si svolge il massacro.

Quotidianamente, viene emesso un bollettino con i nomi dei ragazzi deceduti, divulgato anche agli spettatori e, quindi, ai familiari dei partecipanti, attestando così il livello di dominio esercitato dal regime, che può decidere in materia di vita e di morte di chiunque.

Lo sviluppo della storia procede di pari passo con lo svolgimento del Program, seguendo le vicissitudini dei ragazzi coinvolti in questa sorta di esperimento sociale degenerato, di fatto una carneficina legalizzata.

Nel manga, il mondo esterno, quello “reale” cioè, non viene particolarmente approfondito: vengono solamente accennate alcune imposizioni dettate dal regime (ad esempio il divieto di diffondere alcuni generi musicali, o di adottare comportamenti troppo in linea con i costumi occidentali), ma è sufficiente pensare alla follia costituita dal Program e alla totale assenza di ribellione da parte dei cittadini per comprendere quanto distorta e drammatica sia la situazione.

A ciascuno dei 42 partecipanti, metà maschi e metà femmine, viene dedicata qualche pagina per fornirne una minima caratterizzazione e un background, ma, per ovvie esigenze narrative, gli autori si concentrano principalmente su alcuni di loro, che divengono pertanto i protagonisti.

Troviamo Shuya Nanahara, un puro, dall’animo buono e positivo che cerca di proteggere la dolce Noriko Nakagawa e, al contempo, raccogliere attorno a sé altri studenti e studentesse per fuggire dal terribile gioco al massacro a cui sono costretti; Shogo Kawada, risoluto e pragmatico, sopravvissuto alla precedente edizione del Program, che sembra prendere in simpatia proprio Nanahara; l’ingegnoso e geniale Shinji Mimura, che vuole escogitare un modo per ribaltare la situazione e colpire il governo, lanciando un segnale di rivolta; Hiroki Sugimura, esperto di arti marziali, alla disperata ricerca di Chigusa Takako e Kayoko Kotohiki, rispettivamente la sua migliore amica e la ragazza di cui è innamorato; Mitsuko Soma, languida e letale, disposta a tutto pur di prevalere; il glaciale Kazuo Kiriyama, che trova nel Program la propria ragione d’esistere.

A modo suo, ognuno dei partecipanti è costretto ad adattarsi e a fronteggiare la situazione come meglio può, chi accettando di usare violenza verso i propri compagni, chi cercando di instaurare rapporti di reciproca collaborazione, chi impazzendo, fuggendo o tentando addirittura il suicidio. Non mancano poi gli intrecci che legano tra loro gli studenti, sia in positivo che in negativo, frutto di trascorsi vissuti assieme dentro o fuori le mura scolastiche.

Pagina dopo pagina, la situazione si fa sempre più tragica e disperata: qualcuno deve necessariamente soccombere e, inevitabilmente, ogni rapporto di simpatia e amicizia viene stravolto.

La lotta è quindi d’obbligo; essere spietati, senza scrupoli, capaci di schiacciare il prossimo e di rinnegare ogni valore etico e morale diventa il solo tramite verso la salvezza: è l’insegnamento supremo imposto da un regime che non mira alla crescita e alla realizzazione dell’individuo ma, al contrario, alimenta la competizione e le tensioni.

Il vero nemico che gli studenti protagonisti del Program devono fronteggiare è un intero sistema che, nel manga come nella realtà, annulla ogni individualità. La sfida nella sfida è quella di rimanere coerenti e puri, sopravvivere ma senza cedere alla follia imposta, cercare di stringere alleanze e legami per procedere assieme e ribellarsi al presente. Una logica e un modo di essere che fanno proprie in particolare Nanahara e Mimura, e che, qualora risultassero vincenti in un contesto fittizio ed estremo come quello proposto da Battle Royale, allora potrebbero trovare applicazione anche nel mondo reale.

Oltre a ciò, l’opera risulta provocatoria sotto molti punti di vista, in primis nel porre direttamente sulla scena dei minorenni e mostrando come, in realtà, non li si possa considerare affatto dei bambini: sono capaci di uccidere – e non solo – esattamente come gli adulti. Si dovrebbe quindi guardare a loro con occhio diverso, non solamente nelle veci di pedine, di elementi anonimi in un sistema sempre più spersonalizzato che, verrebbe da dire, non tiene nemmeno in considerazione i talenti e le capacità che ciascun di loro possiede (altrimenti, perché sprecarli in una follia quale il Program, essenzialmente, è?).

Sotto un’altra chiave di lettura, invece, l’opera può considerarsi un dito puntato contro le istituzioni, ree di provocare quei comportamenti che potano poi a violenza o ai numerosi suicidi che si riscontrano nella fascia più giovane della popolazione nipponica: non sono cioè film, musica o condizionamenti di sorta dettati dai nuovi media a traviare gli animi dei più giovani, bensì le tensioni che si vengono a creare in un mondo concentrato unicamente sull’efficienza e sul controllo.

Infine, Battle Royale può essere visto anche come un’estrema allegoria delle lotte e dei soprusi che molti studenti sperimentano all’interno del contesto scolastico e di cui, in modo più o meno serio, si accenna in svariati manga. In questo caso la violenza proposta è totalmente gratuita e fine a se stessa, collocata in un contesto volutamente primordiale e selvaggio, ma capace, al contempo, di far riflettere sul fenomeno del bullismo. In fondo, quale titolo o privilegio ottiene il vincitore di un simile incubo?

Oltre alla buona idea di base (che per certi versi caratterizza anche film come Contenders Serie 7 di Daniel Minahan) e alla discreta caratterizzazione dei personaggi, Battle Royale sa farsi apprezzare anche per la resa grafica. Le tavole proposte da Masayuki Taguchi, noto anche per opere quali Baron, Lives e Black Joke, riescono a coinvolgere e a farsi apprezzare dai lettori, amplificando e supportando quanto proposto da Takami. Grande enfasi viene posta sulle emozioni e sui sentimenti di cui sono preda i protagonisti, concedendo ugualmente largo spazio a sequenze ricche d’azione. Inutile dire che combattimenti e scene cruente abbondano, e, in tal senso, chi non ama il sangue o la violenza potrebbe trovare ostica la lettura di questo manga: in linea con lo spirito del romanzo, il disegnatore tende infatti a indugiare su particolari splatter, sulle ferite e sui colpi inferti agli studenti, talvolta prodigandosi con inquadrature e sequenze piuttosto articolate, che possono ricordare lo stile di Hirohiko Araki (autore de Le Bizzarre avventure di Jojo). Se, da un lato, questa destrezza illustrativa e l’originalità di talune trovate visuali può essere considerata un pregio del manga, al contempo può risultare pomposa, con il rischio di appesantire la narrazione piuttosto che coinvolgere.

Nulla da eccepire invece per la resa anatomica dei personaggi, anche se, probabilmente, il fisico di alcuni di loro, con particolare riferimento a Mitsuko Soma e Shogo Kawada, sembra appartenere a dei ventenni più che a dei quindicenni ancor in fase di maturazione.

Il modo di agire dei personaggi risulta infine piuttosto coerente con l’indole che l’autore gli attribuisce, e consente a ciascun lettore di individuare il proprio beniamino o, comunque, qualcuno con cui identificarsi. Non è facilmente prevedibile quella che potrebbe essere la reazione di una persona “normale” in un assurdo contesto come quello del Program, tuttavia la scelta di utilizzare un numero considerevole di studenti permette all’autore di coinvolgere le varie categorie sociali e di offrirne caricature e critiche. Takami non esita nemmeno a portare in scena situazioni scabrose o piccanti, con riferimento a brutture e nefandezze che esistono a prescindere, quali ad esempio pedofilia, plagi, stupri e abusi. Una sorta di condanna, insomma, di quello che è il “variegato” genere umano, il quale, per propria natura, al pari degli animali, sa ricorrere alla violenza e uccidere per sopravvivere, ma in modi più subdoli e sottili, creando tensioni e situazioni sociali che, alla lunga, possono divenire insostenibili.

Il finale, sebbene un po’ affrettato e semplicistico, permette di percepire un po’ di ottimismo e speranza per il futuro dell’umanità, o, perlomeno, dell’umanità descritta in Battle Royale. Malgrado uccisioni e perdite, la possibilità di cooperare e di fuggire da certe imposizioni risulta essere un’opzione praticabile e salvifica.

Nel complesso, il manga rappresenta un buon prodotto, disturbante e provocatorio, anche se, probabilmente, non adatto a tutti i palati. Richiede inoltre da parte dei lettori l’accettazione che ragazzini di quindici anni, esattamente come vengono descritti nel manga, siano in grado di essere così lucidi e preparati da poter compiere azioni normalmente “da adulti”, per esempio in termini di competenza bellica, uso di veicoli e destrezza con le armi, o risulterebbe difficile digerire molte delle dinamiche proposte.