La vita è un susseguirsi di avventure e successi per Ben X, intrepido cavaliere virtuale. Coperto da una scintillante armatura e dotato di armi micidiali, l’eroe combatte mostri di ogni genere, lotta per ristabilire la giustizia e per affermarsi, per essere rispettato e temuto da tutti. Al suo fianco c’è la bella guaritrice Scarlite, pronta a soccorrerlo e a sostenerlo in ogni occasione.
Nell’ambientazione on-line di ArchLord tutto è facile, i rapporti umani sono sinceri, e la morte dura lo spazio di qualche ora… La vita nel mondo oltre lo schermo è invece un inferno quotidiano per il giovane Ben, l’alter ego reale dell’immaginario cavaliere. Affetto da una forma lieve di autismo, il ragazzo fatica a instaurare relazioni sociali ed è abbastanza intelligente da rendersi conto dei suoi problemi. La sua diversità crea disagio a lui e in tutti coloro che gli stanno accanto; Ben vorrebbe integrarsi nella ‘normalità’ ma è condannato a fallire dolorosamente.
Il giovane, che frequenta le scuole superiori ed è fatto oggetto di beffe feroci da parte dei compagni, intrattiene il suo unico rapporto umano, platonico, con la giocatrice che on-line interpreta Scarlite. Dopo aver subito un ennesimo atto di bullismo, Ben mette a punto un piano per vendicarsi: inscena un finto suicidio e ne diffonde le immagini in streaming, salvo ricomparire durante il servizio funebre e denunciare i colpevoli dei soprusi…
Spesso i videogiochi sono accusati di creare dipendenza, di alienare gli individui e allontanarli dai legami umani autentici. Nel caso del film belga-olandese Ben X, il mondo virtuale è invece uno strumento per mostrare una realtà utopica che accetta senza pregiudizi chiunque desideri farne parte. Qualche anno fa, un gruppo di urbanisti volle studiare il fenomeno dello sviluppo delle città virtuali ‘costruite’ e costituite dall’interazione dei partecipanti a chat e giochi di ruolo. Creò e fece gestire un eroe volutamente lontano dai modelli imposti dai media, un ‘diverso’: un demone ribelle, brutto e ingenuo. Il personaggio conquistò i cuori di molti giocatori, ovviamente ignari di prender parte a uno studio accademico. L’esperimento, oltre a fare luce sulle dinamiche sociali proprie della crescita urbana, dimostrò come on-line le eventuali discriminazioni nascano da motivi ben diversi rispetto a quanto accade nella vita di ogni giorno. L’universo fatto di pixel ignora infatti il significato di normalità o handicap, i pregiudizi legati a etnie, religioni, orientamenti sessuali. In un mondo fantastico, nessuno può essere certo dell’identità di chi si trova di fronte. Il film sostiene questa teoria. Il mondo di ArchLord accetta la diversità del giocatore, là Ben si trova a proprio agio, minimizza i propri imbarazzi e può far valere la propria abilità. Il mondo reale esce sconfitto, con i troppi suicidi giovanili, con l’alienazione che colpisce ragazzi e adulti. È la gente comune, ottusa e ignorante, ad aver problemi con l’autismo, o con qualsiasi altra forma di diversità.
Il suo avatar vincente e l’amore per la bella Scarlite donano forza a Ben, lo consolano e allo stesso tempo lo incitano a risollevarsi, a difendersi con creatività. La simulazione fantasy riesce là dove la scuola e le istituzioni, così concrete e reali, falliscono. I professori sono al corrente dei disturbi del protagonista, valorizzano il suo buon rendimento scolastico e chiudono un occhio sugli scatti di rabbia che a volte lo colgono, eppure sono impotenti di fronte alle aggressioni a cui il giovane viene quotidianamente sottoposto durante gli intervalli.
Anche gli psicologi liquidano il bullismo con un ipocrita, ‘succede, non dovrebbe ma succede’. Nel film è presente una forte critica verso gli specialisti, colpevoli di voler risolvere i disagi ricorrendo a psicofarmaci. La scienza dà un nome specifico ai disturbi comportamentali, e cerca di correggerli imponendo modelli socialmente consolidati, senza prendere davvero atto della diversità. Ben finisce dunque per diventare un emarginato, incapace di adeguarsi e di accettarsi, di sviluppare quanto di buono e potenziale c’è in lui. Può essere che le abilità del protagonista siano inutili nella vita quotidiana; ma il fatto che il rendimento scolastico sia buono suggerisce che Ben potrebbe trovare una sua valida strada, se indirizzato verso attività che assecondino la sua eccellenza. Resterebbe magari un soggetto fragile, disarmonico, chiuso in un mondo a sua misura, eppure forse sarebbe felice, potrebbe sentirsi realizzato e utile, o anzi esserlo davvero.
E quanto è diversa dalle solite teenager, Scarlite, creatura troppo perfetta per essere vera! L’uso accorto della macchina da presa, unito a un montaggio esemplare, lascia credere che la ragazza accompagni il protagonista, anche dopo il mancato incontro nella scena della stazione. Esiste davvero una ragazza che gioca insieme a Ben, ne abbiamo prova vedendo i due personaggi presenti contemporaneamente sullo schermo, leggendo i dialoghi che scambiano e anche il video messaggio sul cellulare. Dopo che la ragazza ha chiesto a Ben di incontrarsi, lo spettatore è indotto credere che rimanga accanto al protagonista. Scarlite entra in casa di Ben, dorme con lui, eppure mai viene mostrata a intrattenersi con un familiare, né mai le vengono fatte domande. Le sequenze con gli adulti o i compagni di scuola non la mostrano mai, la ragazza compare solo quando il punto di vista della macchina da presa coincide con lo sguardo allucinato del protagonista. Si tratta di un’illusione, di una creazione della mente di Ben, e lo scopriamo solamente nel finale, unico momento melenso della vicenda. Il gioco di inganni riesce grazie al forte coinvolgimento emotivo, alla bella colonna sonora e alle scelte narrative davvero appropriate.
La perdita dell’identità riguarda tutti i personaggi principali, è un aspetto doloroso della società in cui viviamo e non è conseguenza diretta solo dell’uso di Internet e dei cellulari. Trincerati dietro al monitor, è possibile inventarci un’identità diversa, diventare quello che avremmo desiderato essere, proteggendo la nostra privacy dietro una comoda finzione. Ci si smarrisce, o piuttosto l’identità individuale si ridisegna: è facile mentire sul proprio aspetto, ma è quasi impossibile tradire le nostre attitudini o inventare competenze che non possediamo. La rete riconfigura la percezione di sé e dell’altro, ridimensiona difetti e fa emergere nuove debolezze. Ben ne è la prova.
Ben X è un film che suscita emozioni contrastanti; lo spettatore ne viene conquistato, oppure rimane perplesso e nota i punti deboli, in particolare l’esagerazione di alcune situazioni. Le parti meno riuscite della pellicola sono quelle che propongono interviste a genitori e insegnanti; lì recuperano il linguaggio visivo scialbo tipico dei vecchi film verità, tanto popolari negli anni Novanta, e in parte stridono rispetto ai toni onirici del racconto. Il falso documentario insomma funziona poco.
Le parti di animazione grafica sono invece necessarie allo svolgersi della vicenda. Occorrendo mostrare gli eventi agli spettatori, talvolta ignari di cosa sia un gioco di ruolo on-line, la migliore soluzione per farlo è attraverso un contesto virtuale dalla grafica appariscente, come è appunto ArchLord, mondo medievale fantasy nato come emulo di World of Warcraft. Il logo del videogame compare in molte inquadrature e sarebbe lecito sospettare un intento pubblicitario… se non fosse per il fatto che ArchLord ha già perso la sua gara contro la concorrenza, e da tempo viene offerto gratis ai giocatori di tutto il mondo. È più corretto credere a un mutuo scambio, una pubblicità esplicita offerta in cambio di una migliore distribuzione della pellicola, che altrimenti di commerciale ha poco o nulla.
I protagonisti sono molto convincenti, anche Greg Timmermans che recita Ben, nonostante sia decisamente ‘attempato’ per impersonare un credibile studente delle superiori. Le sequenze in cui Ben viene denudato dai compagni ed esposto al pubblico scherno sono tra le più dure mai apparse sul grande schermo, paragonabili forse solo a quelle di Palla di Lardo in Full Metal Jacket. Il ruolo che interpreta Timmermans richiede una maturità artistica e umana impensabile per un adolescente, e agli spettatori non resta che accettare questa esigenza del copione; non sarà comunque un dramma, dopo aver visto Harry Potter i compagni, supposti diciottenni, interpretati da attori in età da master universitario.
Ben X, diretto e sceneggiato da Nic Balthazar (autore anche del romanzo Niets is alles wat hij zei da cui è tratto il soggetto del film) ha come sottotitolo ‘Il coraggio è tutto’, e di certo il regista ne ha dato prova, realizzando una pellicola toccante e tragica, che prende spunto da una storia vera per raccontare i disagi della società contemporanea, l’incapacità di accogliere e valorizzare le diversità, il fenomeno del bullismo che affligge il mondo dei giovanissimi. Il messaggio è forte e chiaro; è anche il punto debole di Ben X, dovuto al soggetto stesso. I film di essai coinvolgono infatti spettatori aperti di vedute e curiosi, sempre alla ricerca di storie profonde e innovative; e pure i giocatori di ruolo, per quanto alcuni possano essere superficiali, ignoranti e ingenui, tuttavia coltivano interessi specialistici, lontani dal grosso della popolazione. Al contrario – ammesso di poter fare generalizzazioni – i bulli di solito sono persone in apparenza ben integrate nella società, che cercano di uniformarsi a stili di vita condivisi, trovano forza nel gruppo e si accaniscono contro chiunque diverga dai loro modelli. La pellicola è esplicita: accanto ai carnefici, ragazzi noti per gesti di teppismo, c’è una selva di telefonini e videocamere in mano a compagni insospettabili. La visione di Ben X sarebbe pertanto utile a incrinare le certezze di questi soggetti, tuttavia il messaggio arriva a persone già sensibilizzate, piuttosto che scuotere le coscienze dei veri o potenziali bulli.
Tit. originale: Ben X
Anno: 2007
Nazionalità: Belgio | Olanda
Regia: Nic Balthazar
Autore: Nic Balthazar (dal romanzo “Niets is alles wat hij zei”)
Cast: Greg Timmermans (Ben), Marijke Pinoy (Moeder), Cesar De Sutter (Jonas), Gilles De Schrijver (Coppola), Bavo Smets (Ben a 6 anni)
Fotografia: Lou Berghmans
Montaggio: Philippe Ravoet
Musiche: Praga Khan
Rep. scenografico: Kurt Loyens (production design) | Kurt Loyens (art direction)
Costumi: Heleen Heintjes
Produttore: Burny Bos, Peter Bouckaert, Erwin Provoost, Michiel de Rooij, Sabine Veenendaal | Winnie Enghien (coproduttore) | Peter Lories (associato)
Produzione: MMG Film & TV Production