XXI secolo: la sovrappopolazione e lo scriteriato sfruttamento delle risorse naturali hanno messo a rischio la sopravvivenza dell’umanità. Sotto la direzione del geniale biologo marino Jung Zorndyke, viene allora varato il progetto “Blu”, finalizzato alla protezione ambientale, alla colonizzazione delle distese oceaniche, e alla bonifica e sfruttamento delle aree polari e desertiche.
In seguito a un tragico lutto familiare, tuttavia, gli intenti di Zorndyke improvvisamente si ribaltano. Dopo essersi impossessato della Stream Base (l’habitat modulare mobile che dovrebbe rappresentare la speranza di rinascita per la Terra) e dell’impianto di smantellamento delle armi nucleari, ambedue situati al Polo Sud, lo scienziato utilizza le nuove tecnologie di controllo climatico, da egli stesso ideate, per incrementare l’effetto serra, causando il parziale scioglimento delle calotte polari.
Tre anni dopo, il pianeta è con l’acqua alla gola. Il livello dei mari è notevolmente salito, sommergendo parte delle vecchie terre emerse, mentre gli oceani sono divenuti dominio delle ostili razze ibride create in laboratorio dall’ormai folle Zorndyke. A contrastare la minaccia da esse rappresentata è la Flotta Blu, organismo militare sovranazionale istituito per mantenere la sicurezza nei mari.
MISSION I: BLUES
Mayumi Kino, 18 anni, ufficiale, attualmente assegnata all’unità da guerra Blue 6. Il suo compito: rintracciare e riportare in servizio Tetsu Hayami, esploratore sottomarino, ex-militare, un asso nel suo mestiere.
Hayami vive in un fatiscente palazzo nel porto di Shinju-ku Bay (Tokyo), un’area urbana ormai in sfacelo semi-sommersa dalle acque. Il degrado che lo circonda dev’essergli penentrato anche in corpo, magari dalla siringa che Kino calpesta prima di uscire a mani vuote dal suo “appartamento”. Trovarlo infatti è stato facile, convincerlo a tornare al “Numero 6” lo è molto meno. Ci riesce solo un improvviso attacco al porto da parte delle forze di Zorndyke, che costringe Hayami a intervenire in salvataggio di Kino. Suo malgrado, l’esploratore si trova nuovamente coinvolto in quella guerra che, tempo prima, lui stesso aveva stabilito non più riguardarlo.
A bordo del Kogame, il grampus (sottomarino leggero) di Kino, Hayami partecipa alla battaglia, affondando diverse unità nemiche. Eppure in lui manca il desiderio di vendetta che divora invece i marinai della Flotta (Mayumi Kino compresa), e nell’apatico fatalismo che riempie il suo cuore c’è ancora posto per la pietà umana: prima di risalire a bordo del N. 6, soccorre uno dei piloti avversari, una femmina di ibrido myutio.
Nella battaglia, il Blue Submarine 6 respinge l’attacco e “affonda” un muska (enorme cetaceo biomeccanico) nemico.
MISSION II: PILOTS
Grazie al sacrificio del sommergibile di appoggio Narushio, il Blue 6 scampa a un nuovo attacco portato dalla “Nave Fantasma”, l’ammiraglia della flotta di Zorndyke. L’obbiettivo di Berg, spietato comandante dell’armata nemica, potrebbe però essere più sottile: del materiale organico si attacca infatti allo scafo del sottomarino, seminando una scia facilmente rintracciabile…
Ignaro d’essere seguito, il N. 6 raggiunge il Blue Dome, Quartier Generale della Flotta Blu, trascinandosi dietro l’armata di Berg. La battaglia che segue è disastrosa: il Dome viene distrutto e la Flotta Blu patisce ingenti perdite. Hayami risulta fra i dispersi.
I precedenti piani del Comando di Flotta miravano a un’offensiva in grande stile contro le forze di Zorndyke al Polo Sud, allo scopo di prevenire l’insana intenzione dello scienziato di provocare un “pole shift”, una brusca inversione dei poli magnetici terrestri. Se ciò avvenisse, la naturale presenza del campo magnetico del pianeta verrebbe compromessa, con esiti catastrofici.
Perso il Dome, alle unità superstiti della Flotta Blu, sparse per i mari, non resta che attenersi a quei piani e procedere al rendez-vous nell’Antartico.
Obiettivo: atomizzare la Stream Base.
MISSION III: HEARTS
Katsuma Nonaka: l’ex-caposquadra di Hayami. Insieme, avevano costituito una formidabile coppia di esploratori sottomarini, fino a quando, inviati dal Direttivo Blu a trattare la pace con Zorndyke, erano stati intercettati prima di poter raggiungere la Stream Base, e Katsuma era stato catturato, sottoposto a esperimenti genetici e infine restituito orribilmente mutato alla Flotta Blu.
Ora si trova a bordo del Blue 6, prigioniero in una capsula di contenimento…
Sbalzato dal canotto di salvataggio, in balia delle onde nel mare in tempesta, Hayami ricorda quella tragica missione.
Sul punto di affogare, viene soccorso dalla myutio salvata nel primo episodio, e in seguito preso “a bordo” da un muska senziente. Proprio l’altruismo dell’enorme ibrido, che si lascia colpire e uccidere dai siluri dell’ignaro N. 6 pur di avvicinarglisi a sufficienza per riportarvi Hayami, il pilota può far ritorno al sommergibile.
Dal muska, Hayami ha appreso notizie importanti: il nemico ha previsto con largo anticipo l’attacco alla Stream Base, e sta già aspettando in forze l’arrivo della Flotta Blu.
Intanto, in avvicinamento al Polo Sud, il Blue 6 ha recuperato uno scafo Typhoon nascosto, contenente testate nucleari e in grado di lanciare un attacco missilistico.
MISSION IV: NEL PROFONDO
Hayami riesce a convincere il comandante Iga a lasciargli liberare Katsuma e a tentare una nuova missione di pace.
A bordo del Kogame, raggiunge insieme a Kino la Stream Base, divenuta un’isola lussureggiante popolata da mutanti. Scortati al cospetto Zorndyke, i due si trovano di fronte un uomo disilluso, stanco e malato, che ha finito per odiare la propria condizione di essere umano al punto da condurre esperimenti devastanti perfino su se stesso. Mostra il petto cavo dal quale il cuore è stato espiantato. Quel cuore è adesso il fulcro di controllo del macchinario che dovrà scatenare il “pole shift”.
Zorndyke rivela una sconcertante verità: occorre maggiore energia per innescare la reazione distruttiva, e a fornirla sarà proprio l’attacco atomico… se la Flotta lo sferrerà. Il destino della Terra, dunque, dipende esclusivamente dall’Uomo.
Rimessa in altre mani ogni responsabilità, lo scienziato aspira semplicemente alla grazia della morte, ed è ciò che, su sua stessa preghiera, il riluttante Hayami gli concede.
Nel frattempo la Flotta Blu vince la battaglia decisiva, e il N. 6 riesce addirittura ad affondare la potente Nave Fantasma. A pochi istanti dal lancio dei missili nucleari, la voce di Kino irrompe nelle cuffie dell’addetto alle comunicazioni del sommergibile e blocca il conto alla rovescia; il nemico ha accettato si sospendere le ostilità, a condizione che venga rispettata la sua sovranità sulla Stream Base. La minaccia è sventata e la Terra è salva.
In un ultimo, drammatico confronto con Berg in persona, Hayami capisce che l’unica opzione di sopravvivenza è il reciproco rispetto tra le razze. Berg gli risparmia la vita ma ostinatamente rifiuta quest’ideale di fratellanza; anzi, ben deciso a non avere più rapporti con gli umani, si strappa il collare che gli consente di tradurre in parole i suoi inintelligibili grugniti, e sparisce in mare tra le braccia della myutio “occhi rossi”.
La myutio e Hayami: sono loro i primi ad aver superato le barriere razziali. Nello sguardo d’amicizia e affetto che si scambiano, prima di lasciarsi, è racchiusa la vera speranza per il futuro.
COMMENTO
Ao no roku go, datato 1998, costituisce uno dei primi tentativi di fondere insieme animazione tradizionale e grafica computerizzata. Si può quindi definire un’opera sperimentale, ben equipaggiata di tutti i vantaggi e gli svantaggi della categoria, in particolare quelli derivanti dall’uso di tecnologie digitali giovani (rispetto all’epoca di impiego) e ancora da affinare.
Per questo motivo, le scene “artificiali” risultano fatalmente ben distinguibili da quelle “disegnate”, dando l’impressione d’essere eccessivamente invasive. Tutte le sequenze sottomarine, per esempio, esplodono in un tripudio di “effetti speciali” molto ostentati: siluramenti, deflagrazioni e scie di bollicine lasciate da sommergibili che sfrecciano nell’elemento liquido come se si trovassero nell’aria; facile allora che questa continua girandola d’azione in 3D in alcuni punti finisca per disorientare un po’ lo spettatore.
Ad ogni modo, nevrotico e disomogeneo quanto si vuole, l’esito rimane spettacolare.
Del resto, a partire dall’attacco a Shinju-ku Bay, minuto numero 9, diviene chiaro quali siano le priorità di quest’opera: non sarà certo la trama, piuttosto essenziale e prevedibile (nel 2000, forse molto meno negli anni 60 quando fu redatto il manga originale), a costituirne il punto di forza.
Si parte da un cliché, quello dello scienziato folle e malvagio impegnato a pianificare lo sterminio dell’umanità, per arrivare alla variante, a sua volta diventata cliché, del folle e malvagio che non è poi così folle né così malvagio. Qui però il passaggio dall’uno all’altro ha un raccordo molto esile.
Lo Zorndyke che la sceneggiatura ambirebbe creare, padre di una generazione di ibridi immacolati da contrapporre alla corrotta umanità, è da scartare a priori perché gli ibridi in questione sono l’esatta replica di vizi (Berg e la grottesca combriccola dei suoi sottoposti) e virtù (la myutio “occhi rossi” e il muska senziente) umani; mentre lo Zorndyke aspirante alla convivenza fraterna tra uomini e mutanti, proposto nel finale, è in palese contraddizione col suo ruolo fin lì ricoperto, cioè di colui che ha scatenato la guerra. In definitiva, l’unico Zorndyke credibile fino alla fine è proprio quello iniziale: lo scienziato magari non del tutto malvagio ma folle senz’altro, e neanche poco.
Pure lo spunto scientifico che fa da sfondo alla vicenda – la minaccia d’inversione dei poli magnetici con “conseguente” scomparsa della fascia di Van Halen ed estinzione dell’umanità a favore delle razze ibride – presenta qualche incongruità. Si può assecondare la finzione scenica e dar per buono che un eventuale capovolgimento della polarità della Terra (evento ricorrente nella storia del nostro pianeta) possa stavolta comportare la perdita della magnetosfera, ma logica vorrebbe che gli effetti del fenomeno si ritenessero nocivi tanto agli umani quanto agli ibridi (e alla vegetazione). A meno che i secondi – ma non lo si dice e niente lo fa pensare – “respirino aria cosmica” o siano un “miracolo di elettronica”.
Accanto a queste lacune nella trama, si segnalano poi almeno un paio di errori di sceneggiatura. Il primo riguarda la myutio “occhi rossi”: nella sua apparizione iniziale parrebbe acquatica (tant’è che Hayami la salva dal soffocamento riportandola al mare), ma nelle successive si dimostra perfettamente anfibia; il secondo concerne la trovata finale, che pone Zorndyke nell’impossibilità (non intenzionale) di scatenare da solo il “pole shift”, subordinando l’innesco del fenomeno all’uso delle bombe della Flotta Blu, senza tenere quindi conto del fatto che più volte è stato menzionato e perfino mostrato un arsenale atomico anche in campo ibrido.
Si tratta però di dettagli, perché i veri punti forti di questa serie sono altri: la spettacolarità, come anticipato, e l’atmosfera.
L’opera originaria del disegnatore SATORU OZAWA è uno shonen manga, un fumetto dedicato a un pubblico maschile di bambini o adolescenti; è stato quindi molto prezioso il lavoro di adattamento da parte del regista, MAHIRO MAEDA, che ne ha tratto un anime meno ingenuo riferito a spettatori decisamente più adulti, rivisitando sia il primo manga degli anni 60 che Shin ao no roku go, il nuovo realizzato sempre da Ozawa in contemporanea con la lavorazione degli OVA.
Dal lato tecnico sono splendidi i colori, accesi e brillanti; creano un suggestivo gioco di contrasti nelle ambientazioni. Si rincorrono infatti i cieli tersi e i tramonti infuocati a illuminare la decadenza delle città semi-sommerse, o i mari azzurri e liberi nei quali cavitano gli angusti scafi dei sommergibili, o ancora le giungle rigogliose della Stream Base (novella “Isola del dr. Moreau”) nascoste dalle cupe nebbie della spiaggia.
L’animazione è molto fluida, e il design dei personaggi (RANGE MURATA per gli umani, e TAKUHITO KUSANAGI per gli ibridi) elegante e delicato.
La parte da leone la fanno come accennato gli “effetti speciali”, e determinante è il ruolo autonomo e creativo di SUSUMU FUKUSHI e di AKIRA SUZUKI alla direzione della grafica computerizzata.
I protagonisti ai quali è dedicato un certo approfondimento psicologico sono i quattro principali (Hayami, Kino, Zorndyke e Berg), gli altri restano comprimari o semplici comparse. Ma la misura è adeguata, perché in una serie OVA di soli 150 minuti complessivi una sovrabbondanza di caratterizzazioni avrebbe generato più che altro confusione. Peccato solo per il personaggio di Katsuma, che sembrerebbe ideato per sostenere un ruolo importante, ma che in ultima analisi viene invece relegato a una breve apparizione.
Nel mulinello delle scene d’azione se ne inseriscono alcune di riflessive e drammatiche, ben costruite e di grande effetto; vale la pena ricordare quella in cui Hayami restituisce la myutio “occhi rossi” al mare, e la sequenza del Muska senziente che, dopo aver salvato Hayami ed essere stato ripagato col siluramento da parte dell’ignaro N. 6, muore inabissandosi nell’oceano rosso del suo sangue.
Esiste una morale antimilitarista e antirazzista che si sviluppa in queste e in diverse altre scene, soffusa ma tenace lungo tutta l’opera. Racchiude una constatazione di filosofico cinismo purtroppo attuale e destinata a restarlo chissà ancora per quanto: quando la guerra ha ormai accumulato un tale retaggio di odio e rancore da rendere superflui torti o ragioni e incompatibili fra loro i contendenti, parlare di pace perde semplicemente significato. I conflitti, pare ammonire questa serie, tendono a “elevarsi” a uno stato “perfetto”, autoalimentato, orientandosi verso un punto di non ritorno oltrepassato il quale divengono irreversibili. E allora l’unico modo per chiuderli è che qualcuno, chiunque, li vinca (o li perda). Il concetto aberrante si sintetizza in modo esplicito nelle inquietanti parole di Iga, il comandante del Blue Submarine: “La brama reciproca di sangue è troppa ormai, ci rimane una sola via, o noi o loro.”
In conclusione, si tratta di un anime costruito molto sull’impatto visivo, che alterna ritmi da videogame a momenti più posati e “cerebrali”, non del tutto risolto nella trama ma interessante in rapporto alle finalità tecniche che si proponeva. A confronto con anime più recenti, specialmente cinematografici, potrà forse far storcere il naso l’integrazione ancora sofferta tra 2D, 3D e disegni presenti in Blue Submarine no. 6, ma occorre riconoscere a questa serie una funzione di precursore, pur con i suoi difetti (alcuni dei quali, però, per essere obiettivi fino in fondo, con un po’ più di attenzione e criterio avrebbero potuto essere eliminati).