Capitan Marvel
“Dai lontani recessi dello spazio è giunta un’astronave con il compito di studiare il pianeta Terra in segreto! Un membro del suo equipaggio alieno travestito da terrestre deve testare le difese del nostro mondo… da solo!”
Ho conosciuto Capitan Marvel moltissimi anni fa, precisamente alla fine di ottobre del 1971: il capitano della flotta interstellare Kree divenne il comprimario della testata de I Fantastici Quattro, con il numero 15. L’albo, così come tutti gli altri fumetti della Marvel, erano editi in Italia dalla mitica Editoriale Corno, direzione editoriale di Luciano Secchi e con la cura editoriale e le traduzioni affidate per la maggior parte a Grazia Perini.
Non mi piaceva Capitan Marvel, non mi piacevano quei disegni di Gene Colan, così pieni di ombre, scuri, cupi, disegni nei quali in molti volti non si vedevano gli occhi; tutto quel nero… e viso e corpo dei personaggi erano così diversi dallo stile di Jack Kirby! Le linee erano meno definite, più sfumate di quelle del Re, i volti dei protagonisti e delle protagoniste erano così… adulti!
Il salto dalle – da un certo punto di vista – ‘scanzonate’ avventure dei Fantastici Quattro a quelle così ‘serie’ di Capitan Marvel non era indolore: per me era come passare da un fumetto (i FQ) pensato e creato per me e per i ragazzini come me, ad uno (Cap Marvel) creato e pensato per gli adulti e dunque di più difficile comprensione. Ok, lo ammetto: spesso l’ultima parte dell’albo, quella con Cap Marvel, non la leggevo proprio…
Le mie impressioni di ragazzino erano ingenue, ma avevano un fondo di verità: nello stesso albo venivano infatti proposte due tipi di storie un po’ differenti tra loro e temporalmente ‘distanti’ (nei fumetti, quattro anni possono essere un’eternità…); le storie di Capitan Marvel erano realmente un po’ più cupe e adulte e i disegni del decano Colan – che di lì a pochissimo tempo sarebbe diventato uno dei miei disegnatori preferiti (e lo è tutt’ora) – erano davvero diversi rispetto a quelli del Re Kirby.
Ci volle quindi qualche anno perché potessi apprezzare in pieno le storie di Capitan Marvel, personaggio dalla vita editoriale frammentaria, ma non per questo meno ricca, ed estremamente variegata, che ha avuto molte incarnazioni e del quale si sono occupati molti autori.
Nel 2014 Panini Comics ha finalmente stampato l’Omnibus delle sue prime avventure…
La base di partenza della storia, cominciata da Stan Lee e affidata già dal secondo numero a un giovane Roy Thomas – figura destinata a diventare di primissimo piano all’interno della Marvel – forse non è il massimo dell’originalità, ma è drammatica e coinvolgente.
Mar-Vell (questo il vero nome del protagonista) è l’aitante capitano di una delle flotte imperiali Kree, popolo imperialista altamente tecnologizzato che domina su un’immensa galassia. L’incarico di Mar-Vell è pericoloso: deve verificare come una razza debole come quella terrestre sia riuscita a sconfiggere la potente Sentinella Galattica 459 (gigantesco robot semi-senziente che i Kree avevano piazzato sulla Terra secoli addietro), ed eventualmente punirla. In realtà, questa missione è manipolata dal perfido colonnello Yon-Rogg, il quale, ‘innamorato’ della bellissima dottoressa Una, fidanzata di Mar-Vell, spera di provocare la morte di quest’ultimo senza risultarne ufficialmente il colpevole. Sia Mar-Vell che Una sono però al corrente del malvagio piano…
Le prime avventure del “più grande dei nuovi supereroi” (così lo strillo di copertina del numero di Marvel Super-Heroes n. 12 del dicembre 1967 su cui compare la prima storia di Capitan Marvel) sono quindi incentrati, oltre che sulle violentissime battaglie di Mar-Vell – ribattezzatosi nel frattempo Capitan Marvel e diventato subito un eroe per i terrestri –, su questa drammatica contraddizione tra il vero scopo dell’alieno (punire i terrestri) e la sua sempre maggiore affezione al nostro pianeta con la conseguente, tragica solitudine dell’eroe. Senza dimenticare la tragedia degli amanti crudelmente separati dalle macchinazioni di Yon-Rogg. Ci sono cioè tutte le premesse per la costruzione di avventure appassionanti e ricche, per l’epoca, di sfumature psicologiche.
L’assioma di base della Marvel di Lee e Kirby è rispettato: supereroi con superproblemi; una crescente potenza ostacolata dai problemi che il mondo e la propria interiorità pongono di fronte ai supereroi, definiti non solo come ‘superumani’, ma anche come ‘più umani degli umani stessi’. Sentire di poter dominare il mondo, ma non riuscire a ottenere quanto si ha di più caro o più si vorrebbe. Ossia… la metafora dell’adolescenza!
“Per gli abitanti della Terra – pensa un disperato Mar-Vell nella prima vignetta della sua sesta avventura (pag. 110 dell’Omnibus) – il nome di Capitan Marvel è quello di un eroe! Ma solo io […] conosco la sconvolgente verità… che un giorno potrebbe essere mia la mano a dare il segnale d’attacco contro questo mondo ignaro… che potrebbe essere la mia voce a decretare la sua totale distruzione!”
Come ogni supereroe che si rispetti, a maggior ragione se alieno, anche Mar-Vell si premunisce di fornirsi di un’identità fittizia ed ecco che, senza il suo elmetto e il costume bianco e verde, diventa il dottor Walter Lawson, esperto in missilistica e reclutato alle dipendenze del bonario generale Bridges nella base del Capo, nella quale lavora come responsabile della sicurezza Carol Danvers (quest’ultima rivestirà una certa importanza nel Marvel Universe negli anni a venire…).
A proposito di Carol Danvers: è l’unica persona ad avere fortissimi sospetti sulla segreta identità terrestre di Mar-Vell, quel dottor Lawson che il suo intuito le dice non essere chi dichiara di essere. Il ‘triangolo’ che si viene a formare tra Mar-Vell, Una e l’intraprendente Carol permette agli autori di sfruttare un altro cliché abusato, ma evidentemente irrinunciabile e gradito a lettori e lettrici dell’epoca, ossia quello della ragazza che s’innamora dell’eroe in maschera ignorando che sotto quella stessa maschera si trova la persona che ella più detesta al mondo, proprio come Peter Parker/Spider-Man e Gwen Stacy, Hal Jordan/Lanterna Verde e Carol Ferris e i precursori di tutto ciò: Clark Kent/Superman e Lois Lane.
L’introspezione psicologica cui accennavo è differente da quella che possiamo trovare nei fumetti moderni: in Capitan Marvel si tratta di un sottotesto usato per aumentare parossisticamente la drammaticità, ma che è presente in misura molto minore delle violente e onnipresenti scazzottate.
Nei primi numeri del fumetto assistiamo a una formula ripetitiva, per quanto efficacissima all’epoca: il combattimento tra il Capitano e il nemico di turno, e meglio ancora se tra i due, oltre alle botte, si frappongono dei fraintendimenti, vedi ad esempio la battaglia con Sub-Mariner o con l’orrendo e tragico Metazoide di ‘oltrecortina’ (cortina di ferro: siamo pur sempre in piena Guerra Fredda).
Interessante, e un po’ inquietante, l’incontro col primo super-villain già noto, Quasimodo (un computer vivente creato dal Pensatore Pazzo, un abituale nemico dei Fantastici Quattro), perché nella storia – datata novembre 1968 – si parla di un collegamento in rete di più computer, si parla cioè di… Internet!
“Aspetta pazzo! Abbiamo usato una rete di computer lontani collegati tra loro! Questa è solo una frazione della rete!”
“E tu li collegherai di nuovo… così potrò assorbire tutte le loro emissioni energetiche!”
Le prime avventure del Capitano sembrano collocarsi al di fuori o ad un limite estremo dell’Universo Marvel più conosciuto, in quanto, a eccezione del breve e violento incontro con Namor il Sub-Mariner, nei primi numeri non s’incontrano altri supereroi della Casa delle Idee. Questa situazione in realtà è una caratteristica comune ai nuovi personaggi che la Marvel lanciava continuamente sul mercato negli Anni ’60 e ’70: lo stesso iniziale ‘distacco’ dal resto del popolatissimo universo Marvel, accadde anche per Thor, Ant-Man, Ghost Rider ecc. Poi, a un certo punto, sempre come capita agli altri personaggi, anche il nostro Capitano comincia a interagire con gli altri character di proprietà dell’editore newyorchese, fino a diventare parte integrante della continuity generale, meccanismo irrinunciabile per ogni universo narrativo supereroistico che si rispetti.
Ciò va di pari passo con un frenetico alternarsi di autori che di volta in volta prendono le redini della testata.
Le storie di Roy Thomas e Gene Colan durano sei splendidi numeri; quindi il timone passa allo sceneggiatore Arnold Drake e ai disegni di un Don Heck in ottima forma. I due mantengono le storie sul binario originario, con forzutissimi nemici, sempre dalle fattezze mostruose, e con i piani del Colonnello Yon-Rogg sempre più malvagi, così come viene mantenuta quella leggera e gradevole componente da spy story.
Gli autori si susseguono com’è tradizione Marvel, e così per un paio di numeri troviamo alle matite un Dick Ayers un po’ legnoso e non particolarmente ispirato. Anche un Tom Sutton niente male fa parte del club dei disegnatori di Capitan Marvel.
Ma è con Gary Friedrich ai testi e Frank Springer ai disegni che il nostro eroe entra in un vero e proprio ‘trip alla Dottor Strange’, con splash-page roboanti zeppe di colori accesi, forme astratte e scenari cosmici e ‘mistici’. Qualche grosso buco di sceneggiatura non impedisce di godere di uno dei cicli più fuori di testa dell’intera produzione Marvel di quegli anni.
Ammiriamo Rad-Nam, la città natale del Capitano, raffigurata con una fantasia ingenua e lontana anni luce da quelle che diventeranno in seguito le più seriose e drammatiche rappresentazioni della mitologia e degli scenari Kree.
Siamo già nel 1969 e, grazie all’ingresso di Archie Goodwin ai testi e al ritorno di un Don Heck sempre più in forma e a suo agio, assistiamo alla comparsa dell’Intelligenza Suprema, figura che ancor oggi ha un ruolo importante tra le grandi ‘Entità’ Marvel.
C’è anche un epocale cambio di costume che dall’originario bianco e verde passa a una bellissima e aderentissima tuta che – con gioia di Roy Thomas che lo dichiara nell’introduzione – contiene i colori primari rosso e blu, con un piccolo tocco di giallo.
Proprio Roy Thomas torna a scrivere le gesta di Mar-Vell coadiuvato da un meraviglioso Gil Kane ai disegni. Le storie prendono subito un respiro più moderno e dinamico. Dialoghi e didascalie entrano di prepotenza nei Seventies e inizia quel lungo ciclo nel quale Mar-Vell sarà legato al giovane Rick Jones, ex amico di Hulk, ex ‘spalla’ di Capitan America ed ex ‘quasi-Vendicatore’, benché sprovvisto di poteri.
Con una trovata narrativa a metà tra il geniale e il… beh, e il meno-geniale, diciamo, Capitan Marvel e Rick Jones si troveranno a dover condividere una sorta di doppia identità. Quando l’uno è sulla Terra, l’altro è confinato in una forma semi-ectoplasmatica in una Zona Negativa, e viceversa. Per invertire il processo, far cioè riapparire sulla Terra chi è temporaneamente nella Zona Negativa, è necessario sbattere con forza i polsi ai quali sono posti due potentissimi quanto misteriosi braccialetti alieni impossibili da rimuovere, chiamati nega-bande. I due personaggi comunicano tra loro a livello telepatico e possono vedersi reciprocamente come degli ‘spettri’.
“È successo qualcosa quando ci siamo… scambiati gli atomi! Una specie di… fusione! E adesso lui è parte di me… come io lo sono di lui!” (Rick Jones)
“Rick Jones è un giovane terrestre straordinario! Quanti adulti sarebbero stati in grado di adattarsi alla nostra relazione così… unica? Una relazione che nemmeno io comprendo appieno!” (Cap. Marvel)
Questo presupposto un po’ buffo permetterà di concepire una serie di avventure non banali e psicologicamente interessanti.
E siamo giunti quasi al termine del poderoso e coloratissimo volumone di oltre cinquecentotrenta (530) pagine, Capitan Marvel Omibus, che si chiude con due storie del 1972 entrambe con i disegni di Wayne Boring, per i testi di Gerry Conway la prima e di Marv Wolfman la seconda. Due storie non esattamente memorabili (ma con due splendide copertine!).
Finisce così il volume e mi lascia una gran voglia di leggere altre avventure del Capitano, storie bellissime come La Vita e La Morte di Capitan Marvel, che credo proprio riprenderò volentieri in mano.
Capitan Marvel Omnibus è un fumetto vintage che non nasconde gli anni che ha, ed è proprio questo uno dei motivi principali che me lo fanno amare così visceralmente. La concezione generale – storia, dialoghi, disegni, storytelling… – è molto diversa da quella attuale, né ‘migliore’ né ‘peggiore’, semplicemente diversa, così com’era diverso all’epoca il fumetto supereroistico e direi anzi tutto il fumetto nel suo insieme.
Forse a non tutti i giovanissimi lettori e lettrici di oggi questo Capitan Marvel potrà piacere, ma certamente piacerà a chi apprezza il fumetto ‘antico’ e a chi è sufficientemente duttile per immergersi in atmosfere rétro e lasciarsene beatamente conquistare.