“Quando vago da sola in questo sconfinato spazio, vengo assalita dall’indescrivibile paura che il vuoto possa inghiottirmi interamente. Soltanto chi fuggì nello spazio rifiutando il sistema che era venuto a costituirsi la conosce. È trascorso molto tempo, e l’unico vero uomo in grado di sopportare un simile vuoto è ormai scomparso.”
Con queste parole, poco prima di finire catturata al comando dell’ultima nave pirata ancora in attività, l’affascinante Yuki Kei ricorda l’uomo che per anni aveva sfidato l’oppressivo e iniquo ordine costituito, ergendosi a vessillo di un’esistenza fiera, libera da ogni condizionamento: il suo nome è Capitan Herlock, di lui si sono perse le tracce da molto tempo.
L’annuncio dell’arresto di Yuki è destinato così a spegnere le ultime fievoli braci della pirateria spaziale; le leggendarie imprese compiute da Herlock a bordo della sua astronave Arcadia sono un ricordo rimasto vivo solo nell’animo di nostalgici ex pirati, sbiadito invece nella memoria dei più.
Sembra essere questo il momento del definitivo trionfo per il “Dipartimento per la Preservazione della Quiete Spaziale”, le cui galere – il satellite carcerario Panopticon – “ospitano” miseramente i resti di un’epopea ormai giunta al tramonto: criminali, ribelli, pirati, ivi compresa gran parte dell’ex ciurma dell’Arcadia.
Tuttavia, estirpata un’erbaccia, subito ne spunta un’altra. Un misterioso avvertimento, trasmesso da una fonte sconosciuta localizzata presso il pianeta Cumulo di Rifiuti, raggiunge il Primo Osservatorio di Panopticon. Il messaggio recita: “Il demone dello spazio profondo è tornato in vita. Gli esseri umani hanno toccato qualcosa che non avrebbero mai dovuto toccare! La Terra è in pericolo.”
La Terra… un pianeta abitato solo da vecchi e malati, che ha perso da tempo ogni importanza rispetto ai mondi di nuova colonizzazione.
Eppure l’allarme si dimostra veritiero: all’improvviso, inspiegabilmente, la Terra svanisce nel nulla! Le registrazioni indicano che è stata colpita da un misterioso raggio di energia, emesso da una nave spaziale identificata come la Fata Morgana, un relitto in disuso rubato dai depositi governativi.
Fatto ancor più inquietante: i cadaveri di quattro ricercatori che, alcuni anni prima, a bordo di quella stessa nave, avevano trovato la morte in circostanze non chiare durante una spedizione scientifica, si sono incredibilmente rianimati, fuggendo via.
Come se non bastasse, gira voce che Capitan Herlock si sia rifatto vivo proprio su Cumulo di Rifiuti, e che stia cercando di arruolare un nuovo equipaggio. In concomitanza, sempre su quel pianeta, viene assassinato il professor Daiba, il quinto scienziato e unico superstite del team di ricerca perito a bordo della Fata Morgana.
Al direttore del Dipartimento, Irita, spetta dunque un duplice gravoso incarico: catturare Herlock e scoprire quale mistero si celi dietro la sparizione della Terra.
Commento
Nel 2002, a ventiquattro anni di distanza dalla prima apparizione televisiva di Capitan Harlock, da lui diretta, RINTARO si cimenta nuovamente nella regia del celebre pirata spaziale, in questa serie OVA di 13 episodi che storpia una vocale al nome del personaggio ma riesce a restituirgli quel fascino cupo che le rivisitazioni precedenti, poco attinenti all’originale (come Capitan Harlock SSX) o del tutto sconclusionate (come Harlock Saga), avevano decisamente appannato.
Ancora una volta ci troviamo di fronte a una versione alternativa: in questo caso, più propriamente, a una libera interpretazione da parte di Rintaro del manga originale di REIJI MATSUMOTO, come lo stesso Matsumoto ha tenuto a precisare nella dedica che precede la sigla degli episodi. Diversamente dalle altre rivisitazioni, però, Endless Odyssey, pur variando l’ambientazione, recupera un’atmosfera consona al personaggio di Harlock prima maniera, riproponendoci finalmente il pirata come lo ricordavamo nella storica serie del 1978: un eroe solitario e disadattato, simbolo indomabile di un concetto di “libertà” che quasi sconfina in quello di “anarchia”.
Rispetto alla prima serie, il contesto vira decisamente verso l’horror, presentandoci un’umanità minacciata non più dalle algide eppur seducenti Mazoniane ma niente meno che dall’essenza stessa del Male, un’entità primigenia chiamata Noo (con pronuncia “nuu”), la cui nascita addirittura precede il primissimo istante di vita dell’universo. Questo nuovo e terrorizzante nemico si serve della paura connaturata nell’animo umano come chiave per assumere il controllo delle menti; è facile intuire quanto il tema della “libertà”, caratteristico in tutte le versioni di Capitan Harlock, qui venga perfino sublimato e assuma contorni metafisici: Noo contro Herlock, ovvero la paura – la più grande catena tra tutte quelle che imprigionano l’uomo – e la riduzione in schiavitù contrapposti alla speranza e alla più distillata personificazione di ciò che chiamasi libero arbitrio, ossia l’uomo-artefice-del-proprio-destino per antonomasia.
Complici di Rintaro nel ridare lustro in modo così fedele al mito del pirata spaziale sono lo sceneggiatore SADAYUKI MURAI, che contribuisce a tratteggiare situazioni cariche di magnetismo e tensione, e TAKAYUKI HATTORI, con le sue suggestioni musicali che spaziano dall’epica al blues.
Spettacolare anche l’apporto di NOBUTERU YUKI, il cui character design preserva la linea grafica definita da KAZUO KOMATSUBARA nella prima serie, attualizzando senza stravolgerlo lo stile di Matsumoto: il risultato è stupendo.
Oltre al Capitano più autentico, in The Endless Odyssey ritroviamo infatti tutti i protagonisti del 1978, modernizzati nel carattere e nel disegno ma perfettamente sovrapponibili agli originali: Mime (Met), eterea e misteriosa come la si sarebbe sempre voluta vedere; l’affascinante Yuki, ora divenuta comandante d’astronave e sensuale più che mai; il serafico e geniale Yattaran, qui primo ufficiale dell’Arcadia e capo dei detenuti di Panopticon; il saggio dottor Zero, che aggiunge alle sue competenze mediche una parentesi da gestore di un bar; la lunatica Masu e l’ingegnere capo Maji, quest’ultimo sempre più caricaturale come alter-ego di Matsumoto; il professor Daiba, il cui assassinio questa volta avverrà per mano di qualcuno decisamente “al di sopra di ogni sospetto”; il Primo Ministro, arrivista e irritante come al solito, lui e la sua inseparabile mazza da golf; e infine Tadashi, se possibile ancor più ribelle di come lo ricordavamo. Compare perfino Mayu, in un cameo. L’unico a mancare all’appello è il Consigliere Kirita, ma si fa solo per dire, dal momento che a sostituirlo è un personaggio a lui molto simile, sia nelle mansioni che nel nome: il direttore Irita, capo dell’organismo militare che presiede alla sicurezza della navigazione spaziale.
Per quanto riguarda l’entità che in questa serie ha il non facile compito di rimpiazzare Raflesia e le sue Mazoniane, viene raffigurata tramite i quattro scienziati-cadaveri da essa posseduti; non solo il numero ma anche la sostanza richiamano in modo quasi manifesto i quattro demoni della serie Berserk, anch’essi espressione lovecraftiana di un Male primordiale e ineluttabile che governa il Destino degli uomini e riduce il loro libero arbitrio a una mera illusione.
Il professor Daiba descrive con molta efficacia la natura di Noo: “Diavoli, dei del peccato, demoni, spiriti maligni: anche se con nomi e sembianze differenti, esseri così sono presenti nell’immaginario di ogni civiltà. Rappresentazioni del dominatore dello spazio, che risalgono a un passato ormai lontanissimo.”
La mancanza di un nemico inquadrabile nella classica forza di invasione aliena toglie un po’ di spazio a un altro degli aspetti caratteristici delle opere su Harlock, quello delle battaglie spaziali. Le torrette dell’Arcadia hanno in effetti poche occasioni per rendersi protagoniste, e i combattimenti veri e propri si limitano a quelli ingaggiati tra loro dai vascelli della flotta terrestre, nelle colonie colpite dalla follia paranoide indotta da Noo.
Alle scene dentro e fuori le astronavi si affianca comunque una gran varietà di ambientazioni: vicoli notturni e mal frequentati nelle metropoli tecnologiche, locande dal sapore western in assolati e polverosi luoghi di frontiera, biblioteche olografiche, allucinazioni kafkiane, discariche “archeologiche”…
Queste atmosfere sono il vero punto di forza di The Endless Odyssey, diversamente dalla trama che invece denuncia qualche limite. In particolare, non è del tutto convincente il modo con cui si è tentato di integrare contenuti fantastici in quella che, per ragioni strutturali, avrebbe funzionato meglio come opera di pura Fantascienza. Il risultato è l’inserimento di una fila di ostiche spiegazioni “scientifiche” delle quali, a meno di non riascoltarle più volte, si stenta a distinguere il capo e la coda. Scomodare il Tempo di Planck e il Gatto di Schrödinger per spiegare le dinamiche esistenziali di Noo è più un esercizio di retorica che di dialettica.
Non ci si trova, naturalmente, ai pessimi livelli di Harlock Saga, dove l’intero piano di lavoro aveva poggiato su fondamenta narrative incoerenti, ma resta comunque l’impressione che, relativamente a questo aspetto dell’opera, si sarebbe potuto fare di meglio.
Conseguenza diretta di questo difetto è un fisiologico cedimento di credibilità nel finale, quando, entrati nella dimensione di Noo, da un contesto inizialmente onirico costruito su mirate citazioni (dalla Divina Commedia alle leggende giapponesi), si scivola poi in una sorta di brutta copia del “nexus” (Star Trek: Generazioni). Entra in scena infatti un redivivo – o “redimorto” – Tochiro, il quale, nella sua casetta ovoidale uscita dal “Giardino delle Delizie” di Bosch, attrezzato di tutto punto neanche si trovasse in villeggiatura anziché nell’aldilà, realizza un proiettile a “matrice di densità” con cui riesce a liberare la Terra dall’universo parallelo facendo leva sul suo “spin immaginario instabile”. Traduzione: spara un colpo di pistola in aria e il pianeta azzurro magicamente – non si può certo dire “scientificamente” – ricompare.
L’infelice chiusura non cancella comunque i pregi di quest’opera, che merita un elogio per il suo impatto visivo.
Sono numerose anche le sequenze concepite in omaggio alla serie del 1978, spesso vere e proprie scene remake, altre volte semplici – ma evidentissimi – richiami; tra questi ultimi è possibile citare per esempio la piramide sulla Luna, che ricalca quella di fattura mazoniana scoperta sul fondo dell’oceano nell’originale Capitan Harlock, o la pietosa uccisione del cammello nel deserto, sequenza che, seppure in circostanze differenti, compare sia nell’OVA (episodio 2) che nella serie classica (episodio 14).
Queste deliberate corrispondenze rappresentano bene la misura della serie, che ha voluto proporre una storia diversa rispetto ai canoni di Matsumoto, ma facendo attenzione a preservare l’essenza dei personaggi originali. Non si può dire che The Endless Odyssey rispetti la continuity di Capitan Harlock, – del resto nessuno dei sequel l’ha mai fatto – ma è certamente la migliore rivisitazione tra tutte quelle finora realizzate.