Writer's Block,di Scherbius

Ciak, l’Autore in Cabina di Regia

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Lo scrittore è il dio del suo mondo. Determina la sequenza degli eventi, decide chi vive e chi muore, crea le atmosfere in cui si muovono i personaggi, fotografa momenti di vita e li riproduce a uso e consumo della sua storia. Tutto questo mi fa ricordare una frase di Karen Blixen: “Bisogna scrivere una storia semplice con la massima semplicità possibile. Nella semplicità di una storia ci sono già abbastanza complessità, ferocia e disperazione”.

Sono perfettamente d’accordo con la scrittrice danese. Partire da una trama complessa può generare fastidiose digressioni in corso d’opera, tanto da far perdere di vista l’obiettivo finale. Personalmente m’è capitato spesso, anche con autori famosi, di interrompere la lettura pensando: “vieni al punto, maledizione!”

Veniamo al punto del nostro articolo facendo prima una digressione. Appositamente, così ci capiamo. Curiosando tra i testi che trattano di scrittura creativa, mi sono imbattuta in esempi ed esercizi utili a collaudare se la stesura di un testo risulta più efficace in prima persona piuttosto che in terza, al presente o al passato…

Dal punto di vista pratico, la scelta della forma narrativa dovrebbe ricadere su quella più congeniale. Inutile forzare la mano, soprattutto se si è alle prime armi. Tuttavia sarà pratico tenere ben presente alcuni dettagli. Il narratore onnisciente, pur offrendo la possibilità di far conoscere al lettore ciò che i personaggi non sanno, a volte può creare un fastidioso inserimento dell’autore all’interno della vicenda. Chiariamo. L’autore è ovunque, come dicevo prima è il dio del suo mondo, tuttavia non credo sia sano sottolinearlo troppo. Ricordo che al mio esordio come scrittrice (avevo usato la terza persona onnisciente), amici e parenti mi dicevano “ma come scrivi bene, mentre leggevo sentivo proprio la tua voce nella mia testa!”. In un primo momento mi sembrò un gran complimento. Poi mi resi conto che le cose non stavano così. In rete ho trovato una frase di Susanna Tamaro che secondo me rende molto bene l’idea di ciò che intendo: “Io sono convinta che la scrittura non serva per farsi vedere ma per vedere”. Naturalmente l’atto di vedere non è appannaggio esclusivo dell’autore. E infatti Herbert Spencer diceva che “Leggere è vedere per procura”. Vedendo per procura, il lettore aggiunge sempre qualcosa di proprio, se non altro il suo stato d’animo.

Il narratore onnisciente può diventare molto fastidioso, soprattutto quando il ‘delirio da onnipotenza’ si manifesta quale deus ex machina. Che poi la frase latina è una trasposizione dal greco e originariamente indicava una divinità che compariva sulla scena per sciogliere una situazione non risolvibile secondo i canoni classici. Non mi sembra il caso di ‘finire in tragedia’.  Posso scherzarci impunemente sopra solo perché ci sono passata.

Il racconto in prima persona ha indubbiamente il suo fascino. Sappiamo sempre cosa pensa il protagonista e ci permette di approfondire la sua personalità pescando perfino nel ricordo delle sue esperienze personali in maniera diretta. I vantaggi appena descritti, comportano dei limiti. Ad esempio non è possibile raccontare fatti non vissuti dal protagonista se non riportati da terzi. Stessa cosa per quanto riguarda eventuali sensazioni e pensieri di comprimari. Si offre al lettore una storia vista da un unico punto di osservazione. In buona sostanza non si può rendere manifesto ciò che supera la percezione sensoriale del protagonista.

Anche il tempo narrativo ha i suoi perché. In modo semplicistico possiamo dire che il passato ci condurrà attraverso una vicenda che sappiamo essersi già conclusa, mentre il presente ci fa vivere l’azione nel suo svolgimento. Scegliere a tavolino tra queste modalità non è facile. Non esiste un valore assoluto cui fare riferimento. Il metodo giusto è quello che funziona meglio per l’autore. Oltre alla padronanza delle tecniche, tutto dipende dall’effetto che desideriamo ottenere.

Notevole digressione. Però ci sta, perché, venendo al punto, quanto sopra è necessario.

Predisporre un buon ‘canovaccio’ da seguire è importantissimo. Faccio volutamente riferimento al ‘canovaccio’ della commedia dell’arte, cioè la traccia su cui gli attori inserivano le loro improvvisazioni senza perdere di vista l’obiettivo. Ecco perché, come diceva la Blixen, è importante scrivere storie semplici in modo semplice. Ogni personaggio ha un suo personale vissuto in base al quale reagisce, ogni sfondo scenografico subisce un’evoluzione determinata anche dal solo scorrere del tempo, cambiano i contesti in cui si svolge la vicenda perché tutto si muove contemporaneamente e non necessariamente nella direzione che si era preventivata. Per gestire tutte queste cose ci vuole polso, oltre a una grande chiarezza di idee.

Immaginiamo per un momento di trovarci all’interno di una cabina di regia. I monitor ci mostrano le immagini di più fatti che avvengono contemporaneamente e che in qualche modo sono legati tra loro. Per ricavarne un film dobbiamo selezionare gli episodi significativi e montarli in modo da ottenere una sequenza organica, logica e ben strutturata. Considerare i tempi narrativi. Di azione e reazione. Dare il senso dello scorrere di minuti, ore, giorni e anni. Osservare attraverso gli occhi del protagonista e dare la visione dell’insieme. Analessi (o flashback, se preferite), prolessi (flashforward), interruzioni del flusso naturale della storia per dare spessore alla scena proposta, ai personaggi.

Non basta. Il cameraman va opportunamente istruito in base all’effetto che vogliamo ricavare. In alcuni momenti daremo l’ordine di eseguire dei primi piani per mettere in risalto alcune espressioni del volto o gesti. Potremmo aver bisogno di panoramiche a campo lungo, dello zoom su alcuni particolari, di mettere in risalto la presenza di alcuni oggetti o di determinati colori e luci, di puntare su fenomeni atmosferici.

Ho descritto il montaggio di un film muto. La colonna sonora non va trascurata. In cabina di regia si scelgono musiche e rumori di sottofondo. Tra le molte scene ripetute, verrà utilizzata quella che unirà il massimo della perfezione possibile tra suono e immagine. I toni usati dai personaggi devono essere quelli giusti.

Sicuramente un regista aggiungerebbe molte altre cose a quanto ho indicato. Noi però ci occupiamo di scrittura. Bene, quando programmiamo la nostra storia, ci comportiamo in parte come dei registi, passando attraverso tutte le esperienze sensoriali. Più che raccontare, dobbiamo vivere e far vivere la storia tenendo ben presente quali sono i suoi punti salienti, il messaggio che vogliamo far passare e il tipo di linguaggio che vogliamo usare.

Un duro lavoro quello di domare parole, personaggi, sentimenti, eventi e quant’altro. Narrare storie semplici. Descrivere normali reazioni umane con naturalezza per riprodurre artificialmente qualcosa di vero. Concludo l’articolo con un invito alla riflessione sulle parole dello scrittore Francis Scott Fitzgerald: Gli scrittori non sono esattamente persone. O, se sono qualcosa di buono, sono un intero gruppo di persone che cerca davvero duramente di essere una persona”.