Doraemon nel Paese Preistorico

Doraemon nel Paese Preistorico

“Io sono in grado di ritrovare un intero dinosauro fossile e se non dovessi riuscirci mangerò un piatto di spaghetti con il naso.”

Nobita parla spesso a sproposito, lo fa dal 1969. Ha iniziato a spararle grosse prima su carta, riscuotendo poco successo, per poi approdare in tv. Da allora la sua popolarità è cresciuta costantemente, ispirando un vero e proprio microcosmo che in Giappone trova la propria linfa vitale nella figura centrale di Doraemon.

L’intuizione di FUJIKO F. FUJIO – un mangaka che ha saputo parlare a due generazioni e che, nonostante la sua scomparsa (1996), ha lasciato ai posteri un’eredità di inesauribile valore – ha dato il via ad un’opera di una mole impressionante: la serie tv conta più di mille episodi, le raccolte cartacee sono innumerevoli e continuamente soggette a ristampe; in più, Doraemon è stato protagonista di diversi lungometraggi che lo hanno visto approdare ad Atlantide, esplorare lo spazio e, come quel chiacchierone di Nobita ci ha appena fatto intuire, ritrovarsi nell’Era Mesozoica durante il periodo Cretaceo.

Ogni singola avventura dentro la quale i due protagonisti principali vengono proiettati segue uno schema predefinito che, seppure a volte possa apparire ripetitivo, è comunque ben congegnato, studiato per il giovanissimo pubblico, con ironia e originalità che fungono da collante impeccabile di quelle che altrimenti sarebbero peripezie senza capo né coda.

Nobi Nobita è il bambino sfigato per antonomasia, pigro, con gli occhialoni, inetto negli sport e sempre vittima di qualche bullo. Direttamente dal futuro, dal lontano 2112, un suo pronipote gli ha inviato un gatto speciale di nome Doraemon, blu, senza orecchie, che parla e che ha una tasca in pancia. In realtà si tratta di un sofisticato robot il cui compito sarà quello di aiutare Nobita a crescere come persona migliore rispetto a quella che nel futuro danneggerà non solo se stessa ma anche i propri discendenti. Il problema è che Doraemon è stato acquistato in un mercato d’occasione, a basso costo perché difettoso.

Il gatto del futuro è come un genio della lampada per Nobita, ma da implorare fino a sfinimento anziché strofinare. Capita regolarmente che il giovane, invidioso del ricco e odioso compagno di scuola Suneo sempre propenso a vanterie di ogni sorta, lanci delle sfide assurde e prometta cose impossibili. Il suo atteggiamento inutilmente spavaldo da un lato alimenta l’ilarità generale dei coetanei e dall’altro i premurosi ammonimenti della compagna di scuola Shizuka, per la quale il piccolo occhialuto ha un certo debole.

Fatto sta che, posto di fronte all’evidenza del danno, il protagonista corre ai ripari piangendo e mendicando l’aiuto di Doraemon. L’atteggiamento irremovibile del robot, che si rifiuta di togliere dal fuoco le castagne altrui, dura giusto un paio di secondi. Con un cuore grande che del robotico ha ben poco, infila la zampa nella sua tasca quadridimensionale per materializzare l’oggetto utile ad ogni occasione: un microfono capace di far commuovere le persone, il pane della memoria per superare gli esami, il lenzuolo del tempo, uno sforna peluche… insomma tanti oggetti incredibili quanto controproducenti, poiché si rivelano sempre delle armi a doppio taglio che rendono decisamente pessima una situazione inizialmente solo brutta.

Nel lungometraggio del 1980 Doraemon nel paese preistorico, ancora una volta Nobita fa il passo più lungo della gamba: cova personalmente un uovo di plesiosauro per poi allevarlo. Ovviamente le situazioni comiche non mancano quando il cucciolo assume le dimensioni caratteristiche della propria specie e si mette a girare per Tokio. A malincuore, mamma-Nobita implora Doraemon di riportare Pinski (questo il nome del dinosauro), nel suo habitat naturale e soprattutto nella giusta era geologica. L’avventura finisce per coinvolgere sia i diretti interessati che i compagni di Nobita, i quali nel frattempo, all’oscuro di tutto, già assaporavano la scena degli spaghetti da gustare col naso.

Il robot blu ha una macchina del tempo tutta speciale: basta tuffarsi nel cassetto della scrivania e Doraemon ti porta attraverso il tempo e lo spazio. Le cose però vanno tutt’altro che lisce e, prima di poter tornare nel ventesimo secolo, la banda dovrà vedersela con le varie problematiche del caso, tirannosauro compreso. Fortunatamente, come ancora di salvezza c’è sempre la tasca magica di Doraemon.

L’apoteosi del lieto fine si ottiene con il fu animale domestico che fluttua assieme alla sua dolce metà tra le acque preistoriche in compagnia dei suoi simili.

Come capita in ogni puntata della serie animata, anche le trame dei lungometraggi si dipanano in maniera assolutamente scontata: nel primo minuto è già scritto il finale. Questo show del prevedibile va avanti in Giappone da più di trent’anni, gode di maggior fama di Mickey Mouse ed è diventato un brand a tutti gli effetti.

Eppure è semplicemente di un cartone animato che stiamo parlando, un topolino che partorisce una montagna. Ci sarà una spiegazione ad una così fortunata longevità?

Doraemon insegna ai bambini a contare attraverso fumetti pedagogici, con simpatici gadget tiene loro compagnia quando mangiano, li porta a scuola e impartisce loro delle lezioni di vita direttamente dal piccolo schermo del salotto. Nonostante il fenomeno non riguardi affatto noi europei, s’intuisce, quasi con un filo di invidia, come in questo complesso agglomerato iconico il marketing sia l’ultima ruota che tira il carro. Questo Virgilio blu, nato per stare dalla parte dei bambini e guidarli con saggezza, non ha mai risentito delle strumentalizzazioni degli adulti, come se seguendo un binario a parte avesse continuato a far da guida ai piccoli alienandosi dai giochi dei grandi.

Nobita non vive tanto a Tokio, quanto in una qualsiasi casa orientale, in un comunissimo quartiere popolato da coetanei che giocano con lui, lo prendono in giro e come lui non hanno voglia di fare i compiti il pomeriggio. Doraemon ha così la facoltà di raggiungere un pubblico estremamente vasto affrontando con intelligenza argomenti di relativo spessore. Ogni volta, partendo dal generico, riesce a curare anche i piccoli particolari: il dinosauro dell’anime in questione, per esempio, non è frutto di fantasticherie assurde, esso è rappresentato esattamente come nei libri di scienze; le ere preistoriche sono correttamente collocate con le corrispondenti flora e fauna.

A questo si aggiunge la morale contenuta in ogni episodio, elevando un onesto prodotto di svago ad opera di alto valore educativo. Fenomeno che nei palinsesti degli anni passati era tangibile realtà: abbiamo scoperto i segreti del corpo umano con una brillante serie francese (Siamo Fatti Così), che poi ha saputo raccontarci anche dei grandi momenti della storia dell’uomo (Grandi Uomini Per Grandi Idee). Ancora dal Giappone, entro le trame della struggente storia d’amore tra Oscar e André, la Rivoluzione Francese non è mai parsa noiosa.

Se è vero che in Oriente anime e manga sono come la pizza in Italia e stancarsi non è concepibile, è pur vero che per il resto del mondo si è aggiustato il tiro: l’avvento dell’informatica e del digitale hanno cullato un bambino che non sa stare fermo per più di dieci minuti e la cui attenzione va continuamente aggiornata premendo un ipotetico tasto F5 del suo cervello.

Non si tirino in ballo polemiche assurde, non si tratta di discernere il giusto dallo sbagliato, solo questione di mutamenti. Oggi Paperino, i Teletubbies e i pupazzi di Sesame Street parlano direttamente in camera, si tratta di una tv vitaminizzata che cerca un feedback continuo col giovane pubblico. In fin dei conti lo share parla chiaro: in Italia lo scorso anno Doraemon non è andato molto bene. Lo spettatore si è evoluto, a differenza di quella che il professor Sartori lapidariamente definisce involuzione da homo sapiens in “homo videns”; ma, se a questi cambiamenti si accompagnano anche programmi di qualità, come possono essere quelli di RAI Educational, non è più necesario gridare “al lupo”.

Le avventure di questo gatto anomalo pensato e disegnato in due dimensioni, se osservate da un lato prettamente emotivo, sono molto più tridimensionali delle moderne animazioni digitali.

Non ha bisogno di troppe spiegazioni l’atteggiamento dei trentenni che nostalgicamente si proclamano fan del mondo animato degli anni 70-80, e che, ignorandone il motivo, denigrano il presente dei neo-fruitori: i loro occhi hanno visto e imparato con filtri diversi, a tinte più vivide. Se poi in Giappone tira un’altra aria, forse è perché l’era tecnologica è sempre stata sotto gli occhi, senza prepotenti irruzioni; radendo al suolo ogni teoria determinista, i giapponesi hanno saputo vivere la mutevolezza dei tempi restando fedeli a sé stessi.

Una cosa è certa: i cartoni animati colorano il mondo, e da adulti, quando dominano le scale di grigio, ricordare è un divertente caleidoscopio di emozioni se in un luogo immaginario del nostro cervello facciamo spazio ad un gatto con una tasca in pancia.

Doraemon è un eroe solitario, a torto paragonato al mondo disneyano: non ha il proprio seguito come Winnie the Pooh o Topolino. E, come ogni eroe, parla ai sentimenti universali che ci contraddistinguono, ricordandoci che siamo potenzialmente in grado di fare più di quanto stiamo già facendo e di divenire persone migliori. Compie prodigi che potremmo soltanto sognare, materializza i nostri desideri ed è amico, fratello e insegnante ad un tempo, godendo di una longevità a quanto pare infinita: lo testimoniano i nuovi episodi che continuano ad essere prodotti e l’asian franchise di cui è protagonista.

C’è stato un tempo in cui girò voce che Doraemon avesse smesso di infilare le zampe nella sua tasca magica. In rete andò diffondendosi la voce che i disegnatori avessero pensato a un epilogo definitivo per lo show. Cavalcandone l’onda, un fan diede forma a questi rumors disegnando di proprio pugno un ultimo numero del manga. Le tavole erano riprodotte in maniera magistrale, fedeli allo stile degli autori, ma oltre ai disegni fu la storia che essi narravano ad incantare il pubblico.

Nobita rientrando nella propria cameretta trovava Doraemon immobile, ogni tentativo di animarlo appariva inutile. Contattando un’amica del gatto direttamente nel futuro, veniva a sapere che le sue batterie erano esaurite, ma che sostituirle avrebbe voluto dire resettare il robot che non sarebbe più stato in grado di ricordarsi di lui. Un salto in avanti nel tempo ci proietta nella casa di un Nobita ormai adulto, sposato e coscienzioso, che per tutti questi anni ha lavorato nel tentativo di riportare in funzione il proprio compagno di giochi. E quando finalmente è giunto alla soluzione, accompagnato dalla moglie (la compagna di giochi Shizuka), entra nella vecchia camera, si avvicina al robot, e lo riavvia. Le sue prime parole di Doraemon, d’impeto, sono quelle di sempre: “Nobita hai fatto i compiti?”.

L’autore del fantasioso epilogo vendette innumerevoli copie di questa versione taroccata, che tanto falsa non è visto che mantiene in tutto e per tutto le linee guida che per trent’anni sono state il filo di Arianna dell’intera serie. A dimostrazione di quanto retto sia l’insegnamento che Doraemon impartisce ai suoi piccoli allievi, basti sapere che il falso autore, resosi conto dell’errore commesso, rese alla casa editrice ogni spicciolo che il fumetto gli fruttò.