Dopo essere stato l’apripista nel 2007 per i romanzi a fumetti editi dalla Sergio Bonelli, a giugno Dragonero è tornato nelle edicole con una nuova serie che lo vede protagonista. Serie firmata naturalmente dagli autori che avevano realizzato a suo tempo l’albo formato libro, gli stessi Luca Enoch e Stefano Vietti che, conosciutisi diversi anni fa presso la casa editrice milanese, avevano subito condiviso una profonda passione per il genere fantasy. Anche alle matite è stato riproposto lo stesso autore, Giuseppe Matteoni, che è ormai il terzo padre naturale di Dragonero. Il formato è quello ormai storico della Sergio Bonelli, negli anni rivisto nella grafica ma sempre identico ai vecchi albi di Tex, Zagor e Mister No, tanto per fare qualche nome.
Nuova è invece la sinergia che gli autori hanno voluto creare tra il classico prodotto a fumetti e gli strumenti multimediali. Infatti sono già on line un blog su cui sarà compilato il diario di viaggio di Dragonero e una pagina Facebook dedicata al personaggio, indispensabile per stabilire un contatto tra i lettori e gli autori. Dalle avventure fumettistiche nascerà anche un gioco di ruolo che uscirà a novembre per le Wyrd Edizioni. Infine da alcuni mesi è disponibile sull’iBooks Store di Apple una ristampa digitale del romanzo del 2007, ormai esaurito nel formato cartaceo.
Le scelte adottate la Enoch e Vietti per definire il loro protagonista a livello caratteriale appaiono il punto di arrivo di un lungo cambiamento che ha interessato negli anni i personaggi Bonelli. Dragonero ha ben poco del classico eroe dei fumetti, stereotipo che era già stato attenuato nelle nuove serie dalla rivoluzione iniziata con Tiziano Sclavi nel suo Dylan Dog. Ma se quest’ultimo – come Martin Mystère, Brendon, Napoleone, Julia fino a Brad Barron – al semplice coraggio di Zagor e Tex aggiunge sentimenti e comportamenti che lo rendono più umano senza però mai rinunciare a un ruolo predominante, è proprio tale caratteristica che sembra invece mancare a Dragonero. Certo, da questo primo albo risulta chiaro che il protagonista è lui, ma nel suo operare lascia ampio spazio ai compagni, che nelle loro imprese non gli sono da meno.
Viene spontaneo il confronto con l’altra nota serie fantasy della Bonelli, Brendon, ideata e scritta da Claudio Chiaverotti, dove alle ambientazioni classiche del genere si affiancano comportamenti e vicende che ricordano lo stile narrativo dei personaggi classici della Sergio Bonelli. Dragonero, al contrario, si annuncia come una serie molto più legata al modello narrativo del cinema fantasy, con lunghe storie e ruoli predominanti affidati a vari personaggi.
A livello grafico non manca da parte di Matteoni la ricerca nella rifinitura dei particolari, che ha contraddistinto la produzione della casa editrice milanese negli ultimi trent’anni dando la possibilità ai suoi disegnatori non solo di crescere come numero ma di superare anche tante ingenuità che apparivano nelle produzioni degli anni Sessanta e Settanta, dovute all’eccessivo carico di lavoro che i grandi maestri come Galleppini e Ferri dovevano accollarsi.
Negli inseguimenti si nota lo stile del fumetto americano, con inquadrature vertiginose e la necessità di rendere da una vignetta all’altra la sensazione di movimenti estremamente audaci e veloci.
La storia del primo albo (intitolato ‘Il sangue del drago’ con un chiaro riferimento alle vicende del romanzo a fumetti dove il protagonista acquisiva i suo poteri bevendo il sangue proprio di un pericoloso drago da lui ucciso) inizia a Baijadan, capitale orientale delle satrapie nomadi. Qui lo scout imperiale Dragonero insieme ai suoi compagni (l’orco Gmor, l’Elfa Sera e la sorella tecnocrate Myrva) stanno investigando sullo strano passaggio di navi mercantili senza carico lungo i porti. I quattro compagni sospettano che dietro questi movimenti inconsueti si nasconda un traffico d’armi e, proprio nel momento in cui stanno discutendo di questa possibilità, entra in scena una contrabbandiera fakhry, sicuramente legata al commercio clandestino. La sgradita ospite, inseguita da Myrva e Dragonero, cerca di scappare in una spettacolare corsa sui tetti delle abitazioni cittadine, fino a quando per far perdere le proprie tracce si getta in mare. Ma una volta in apnea uno strano composto che nasconde nella casacca inizia a prendere fuoco bruciandola.
Dragonero ha già visto un esplosivo del genere, il fango pirico (capace di incendiarsi anche nell’acqua), che era stato utilizzato da Moravik, margravio della zona centrale del Margondàr, per sconfiggere gli orchi. In quell’avventura il protagonista aveva ritrovato l’amico Gmor e, insieme ad altri due scout imperiali (una bella tecnocrate e un valoroso guerriero), aveva indagato sull’origine di quell’arma – pericolosissima nelle mani di un esaltato come Moravik – scoprendo la zona vulcanica dove si celava il laboratorio alchemico in cui veniva prodotta.
Comincia così un lungo flashback che comprende circa metà dell’albo, in cui Dragonero racconta la sua storia nel Margondàr, e che si conclude solo quando i quattro compagni decidono di abbandonare la città di Baijadan per raggiungere, attraverso un lungo tragitto nei boschi, l’anziano mago Alben dell’ordine dei Luresindi, per chiedere la sua alta opinione sulla vicenda che ha legato il traffico delle navi da carico vuote con il fango pirico.
Per il resto c’è poco da dire: la vicenda prosegue nel secondo numero che si intitola ‘Il segreto degli alchimisti’. Come è inevitabile nel genere fantasy, le storie di Dragonero non possono concludersi nello spazio di un solo albo e, da questo punto di vista, la Bonelli sembra intenzionata a riproporre con il nuovo eroe l’andamento narrativo che contraddistingue le serie classiche.