Dune

Dune

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Dune è un classico della fantascienza, sebbene gli manchino molti elementi tipici del genere: non ci sono alieni, non ci sono robot o computer (banditi dopo una grande guerra)… tuttavia si viaggia nello spazio tra pianeti. L’universo conosciuto si regge su un sistema feudale, con casate nobiliari e un imperatore.

È un mondo pericoloso, anche per i nobili, dove l’assassinio politico è così frequente da essere legalizzato secondo un codice. Esistono migliaia di veleni e tipi di coltelli, ognuno con una specifica funzione atta a raggiungere un diverso obbiettivo; uccidere diventa quasi un’arte.

In questo mondo si combatte con spade, pugnali, pistole, laser, scudi energetici, e pericolosissime armi atomiche che ogni grande famiglia possiede, in un eterno clima da “guerra fredda”. Dune è calato in un contesto marziale e rigido, che ricorda l’epica; si direbbe quasi che lo scopo ultimo dei personaggi sia la guerra, la supremazia, la distruzione. Gli eserciti fremono, i politici sorridono con un coltello costantemente nascosto addosso.

Il centro d’equilibrio dell’impero è la spezia, una droga che dà una dipendenza totale (chi se ne separa muore), ma dona una lunga vita, estende i sensi, permette ai misteriosi navigatori di far viaggiare nello spazio le astronavi. La preziosissima spezia si trova solo ad Arrakis, noto agli indigeni come Dune, un pianeta totalmente desertico, pericoloso, popolato da giganteschi vermi delle sabbie, dai rudi Fremen, e dalla ricca e crudele famiglia nobiliare che controlla il “feudo” e raccoglie la spezia: gli Harkonnen.

Per decisione dell’imperatore, la famiglia nemica da secoli degli Harkonnen, gli Atreides, viene mandata su Arrakis a sostituire i rivali nella raccolta della spezia e nella gestione del pianeta. È un complotto: il Duca Leto Atreides verrà ucciso, e la sua casata “ufficialmente” distrutta. Si salveranno però il giovane Paul (figlio del duca e unico erede) e sua madre Jessica, che fuggiranno nel deserto, a vivere con i Fremen.

Jessica Atreides è una Bene Gesserit, seguace cioè di un potentissimo ordine monastico-religioso di sole donne, le cui adepte, addestrate da giovanissime, posseggono doti formidabili, come la capacità di “sentire” la menzogna nelle parole degli altri, o vedere sprazzi di futuro, controllare il proprio corpo fino ad arrestare il battito del cuore o neutralizzare i veleni. Alcune sono in grado di dominare le menti tramite la Voce. Queste qualità ne fanno preziose consigliere di molti uomini di potere, ambite, ma al tempo stesso temute: la loro fedeltà al proprio ordine è totale, i loro scopi segreti, il loro aiuto mai disinteressato.

È grazie alla spezia, e all’addestramento Bene Gesserit impartitogli dalla madre, che Paul – col suo nuovo nome fremen di Muad’Dib – acquisisce la dote della preveggenza, e con essa capacità di pilotare gli eventi e adattarsi perfettamente al ruolo del messia che, in base a un’antica leggenda, i Fremen attendono da secoli. Guidando il suo nuovo popolo alla conquista della libertà, sbaraglierà le truppe dell’imperatore e degli Harkonnen, scatenando una Jihad e ribaltando l’ordine stesso dell’impero.

Una miscela di elementi che Herbert riesce a condurre in modo semplice ma realistico, evitando complicate spiegazioni scientifiche per soffermarsi semmai sull’aspetto umano e psicologico delle vicende, spesso dissacrando temi e generi. La leggenda del messia ne è un esempio; si tratta di una mistificazione, volutamente impiantata dalle Bene Gesserit nella cultura dei Fremen allo scopo di meglio controllarli. Sono le azioni ragionate di Jessica e di Paul, unite al caso e all’autosuggestione dei Fremen, a renderla vera. In questo contesto la figura di Paul Muad’Dib resta ambigua: da un lato potremmo odiarlo, perché studiatamente sincronizza la propria vita per farla collimare con profezia e ottenere quindi la devozione dei Fremen, dall’altro sembra voler affiancare ai propri scopi personali una più altruistica attenzione per i sogni del suo popolo, impegnandosi a ottenere per esso l’agognata libertà, e a trasformare Arrakis in un pianeta verde e fiorito.

Dune è un mondo incredibilmente evocativo e curato, un mondo meraviglioso sebbene crudele, un romanzo senza eroi o mali assoluti ma il cui centro è anzi il profondo dell’uomo, con le sue contraddizioni. L’elemento filosofico e religiooso in Dune è una fusione che unisce spiritualità diverse (coerenti con l’ottica di una civiltà galattica multietnica), mescolando il misticismo delle Bene Gesserit, (una sorta di vestali con poteri paranormali) col primitivo animismo (in certi tratti romantico in altri fondamentalista) dei Fremen, che vivono all’insegna della ferocia e dell’onore guerriero, ma al contempo rincorrendo ideali di lealtà e onestà, col rispetto per tutto ciò che è “grande”. Come i vermi delle sabbie, come il deserto.

I Fremen, in effetti, meritano un’analisi particolare. Herbert ha passato molto tempo a studiare il comportamento del deserto, dei climi aridi e delle popolazioni che li abitano, la loro cultura e la loro considerazione dell’acqua. Non a caso, il popolo di Dune ha moltissime parole per indicare il prezioso liquido, ognuna con le sue sfumature. La società fremen è basata sull’acqua, e con il tempo ha inventato ingegnosi sistemi per ricavarla e risparmiarla. La religione è incentrata sui vermi delle sabbie, i “creatori” o Shai-Hulud, spine nel fianco per chi vive raccogliendo la spezia (queste colossali creature hanno la pessima abitudine di predare tutto ciò che si muove, macchine comprese), presenze invece fondamentali per i Fremen, che li considerano dèi, e ne fanno i più svariati usi (da mezzi di trasporto, a materia prima per ricavare i coltelli rituali kryss).

I Fremen non temono la morte, anzi la venerano a modo loro, e ne parlano come parlassero del tempo atmosferico. Per essi freddezza e forza sono basilari: i capi-tribù diventano tali sfidando e uccidendo i predecessori. Nella loro essenza, i Fremen tracciano la linea che si stende tra “violento” e “malvagio”, tra “arretrato” e “brutto”.

Densa di elementi affascinanti, come appunto i Fremen, la trama, pur seguendo un archetipo classico che non eccelle in originalità, è godibile e appassionante. Non si tratta una semplice storia epica, è di più. Addirittura Herbert usa Dune per demitizzare l’epica, per scavare nella mente umana e profanare le radici della morale e della religione, sfatandole, analizzandole con occhio realista e razionale. La narrazione è abbastanza fredda e lenta, con grandi salti temporali. Le scene d’azione sono scandite nel tempo, mai esagerate o coreografiche, anzi sempre funzionali alla storia. I dialoghi variano dai convenevoli dei nobili alla cruda e violenta schiettezza dei Fremen.

Questo romanzo è il primo e il più godibile della serie, un’opera che non può deludere chi ama letture serie e appassionanti.