Nato come racconto breve nel 1977 rielaborato e ampliato in forma di romanzo prima e saga a puntate poi, vincitore della doppietta Hugo e Nebula Award per due anni consecutivi, il Ciclo di Ender di Orson Scott Card – vagamente conosciuto nello Stivale – è ormai considerato nel mondo anglosassone un classico della letteratura per ragazzi (e non solo), tanto da rientrare in numerose liste dei migliori libri del Novecento e nelle letture scolastiche estive.
Letto oggi, però, Il Gioco di Ender (Ender’s Game, 1985), primo libro di questa serie formata da cinque romanzi e svariati racconti, dimostra di essere invecchiato precocemente, per motivi esterni al testo. Provo invidia per chi lo lesse al momento della prima pubblicazione, ma anche per la me stessa che ne scorreva le pagine in un’edizione tradotta circa un decennio fa. Nel frattempo la storia crudele dei fratelli Wiggin è stata sottoposta più o meno intenzionalmente a quanto già capitato in ambito cinematografico a un’altra grande saga, quella di John Carter.
Un passo indietro: se a Orson Scott Card è stato riconosciuto di aver creato una storia avvincente e dirompente, è anche vero che gli è stato sempre rinfacciato di averla scritta in maniera tremenda. Il cuore narrativo nella sua essenza è di altissimo livello: è la narrazione di una società adulta votata all’educazione di uno stratega assoluto, pronto ad attuare lo xenocidio più micidiale, l’eliminazione della razza aliena dei Buggers, dall’intera galassia, mondo dopo mondo. Il lettore assiste alla creazione del killer perfetto, il killer innocente, ma anche alla delineazione della più marcata differenza tra gli adulti e i soggetti potenziali su cui avviene l’addestramento, ossia i bambini: capacità manipolatoria spinta fino alle estreme conseguenze, stress psicologico, distorcimento emotivo e dei rapporti interpersonali più intimi… ogni cosa pur di mantenere il promettente candidato Andrew ‘Ender’ Wiggin in un costante stato d’isolamento e imminente pericolo, affinché sviluppi al massimo grado le sue abilità.
La parte migliore del libro è senza dubbio quella derivata direttamente dal racconto breve, integrato con un veloce incipit. Il vero merito di Card è di aver creato una miscela di addestramenti militari, prove al limite dell’umanamente sopportabile, deliri onirici e crudeli realtà virtuali, tutto per documentare minuziosamente il contraccolpo di ogni tattica dei generali sulla psiche di Ender. La descrizione del continuo oscillare tra bisogno di affetto e terrore della debolezza, tra speranza in un’autentica sponda nel mondo adulto e inarrestabile diffidenza verso chiunque, fino all’ossessione (più che giustificata) per ogni minima forma di manipolazione, è così cristallina e veritiera che il libro è diventato una delle letture consigliate per l’addestramento dei futuri Marine.
Il Gioco di Ender è un racconto di guerra tanto più realistico quanto più viene data importanza alla vittoria, in quella che è una simulazione per istruire le giovani reclute. Un gioco che Ender comincia a giocare ben prima dei sei anni (età in cui approda alla Battle School orbitante). E, quando completa l’addestramento, poco più che undicenne, ha già compreso l’insensatezza di questa ossessione per la vittoria; ma sa di essere condannato a vincere, pena la vita.
Sulla Terra invece, in un mondo ancora diviso tra Alleati e Patto di Varsavia, si consuma un gioco perfino più sottile, quello dei due blocchi mondiali, uniti nel combattere l’improvvisa minaccia aliena ma pronti a scannarsi a vicenda non appena questa dovesse scomparire. Qui si muovono nell’ombra gli altrettanto geniali fratelli di Ender, il sadico Peter e la dolce Valentine, che attuano un progressivo condizionamento dell’opinione pubblica. Un gioco più ampio che configura i Wiggin come una sorta di trinità. Se i ruoli inizialmente sono ben definiti, più il libro avanza più le parti di vittima, persecutore, complice e protettore sfumano tra i tre, rendendone sempre più ambigua la relazione.
Purtroppo però, sia le premesse sulla guerra aliena sia questo mondo distopico – in cui sono bandite le religioni, e il controllo sulle nascite è talmente stretto da creare coercizione e derisione sociale sui ‘Terzi’ nati, come Ender – non occupano che un ruolo marginale, quasi una cornice appena abbozzata, come nel più trito dei libracci con cui molti identificano la fantascienza tutta. Questo il limite di Card, insieme a uno stile di scrittura semplice se non semplicista, asciutto, persino affrettato. Lo stesso cuore narrativo, nelle mani di una penna più abile, ci avrebbe consegnato un capolavoro immortale, anziché ‘solo’ un ottimo libro dirompente nel suo periodo, con un finale poco coeso ma forse necessario a rendere ancora più amaro il game over di Ender, ‘colui che porta a termine’, appunto.
L’invecchiamento precoce del libro è dovuto maggiormente al suo ruolo di padre putativo degli ‘young adult’, o meglio, della letteratura giovanile come genere nettamente ed economicamente recintato rispetto al resto della produzione letteraria. In modo più o meno consapevole (e se chiedete a me, più), con l’avvento di questa nicchia editoriale i suoi autori sono andati a pescare a grandi mani in questo che ora è considerato un classico per ragazzi, sia nello stile di scrittura che nelle tematiche. Impossibile non notare il filone distopico di giovani adolescenti chiusi da qualche parte e costretti a fare qualcosa contro la loro volontà, uniti e divisi dai giochi di potere degli adulti.
Ciò che rende Il Gioco di Ender distintamente superiore ai suoi epigoni è l’approccio. Ingiustamente, l’intreccio del libro di Card è andato via via logorandosi a mano a mano che veniva preso in prestito da altri, incapaci di crearne uno proprio. Così le vicende di Ender oggi risultano quasi familiari, quasi ovvie, prive della crudezza che potevano avere anche solo un decennio fa.
Tuttavia questo romanzo a mio parere risulta superiore ai suoi successori, anche ai più celebri e blasonati, per lo stesso motivo per cui ritengo che incentivare la divisione in adult e young adult sia un errore. Orson Scott Card ha come protagonisti degli adolescenti per uno scopo ben preciso legato alla storia, ma non li identifica e non li insegue come pubblico. Ender funziona come funziona L’Isola del Tesoro, altro classico per ragazzi che però contiene uno dei personaggi moralmente più ambigui della letteratura moderna. Non sono libri tagliati suoi giovani, bensì libri dalla voce così limpida e potente da saper muovere anche i sentimenti dei giovani. A differenza dei lettori di primissima età, non ritengo che i giovani abbiano bisogno di essere particolarmente guidati; sono loro stessi, coi loro gusti e la loro soglia d’interesse, a selezionare le loro letture. Un bell’esempio di questa teoria è Among Others di Jo Walton (2011), dove la protagonista legge fin al più ‘scabroso’ libro a portata di mano, ricavandone le sue personalissime riflessioni.
Nella quasi totalità degli young adult più celebri invece si decide di affrontare di petto temi ‘alti’ o difficili, come la morte, la malattia, la guerra, la sofferenza (vedi tutte le distopie), ma l’approccio spesso non è sincero fino in fondo e raramente viene portato alle sue naturali conseguenze. Letti con gli occhi di un adulto, molti si rivelano essere libri quasi monchi, restii a tirare le fila del discorso, a volte forzatamente ottimisti. Non credo che i lettori meritino questo, né da adulti né da giovani.
Orson Scott Card è stato più volte accusato da critici e saggisti di descrivere un novello Hitler, di essere costantemente impegnato ad assolvere Ender dal peso morale di quanto compie. Il punto a mio parere è proprio questo: viene sfruttata la giovane età e l’empatia di Ender per crearne il killer perfetto, che nel contesto del gioco risulta il più spietato di tutti, libero come può essere un undicenne dalle implicazioni morali e dai rimorsi che uno stratega veterano non può non affrontare. Ender è un innocente nelle intenzioni, ma paga amaramente per ogni vittoria conseguita. Come osservano i suoi compagni Alai e Dick, loro non sono veramente bambini, sono anziani veterani di guerra innestati troppo precocemente in corpi che cominciano da poco a fare i conti col ‘dopopartita’. Il libro è costruito per creare un innocente colpevole, per mostrarcene il contraccolpo.
Al contrario, nella maggior parte delle distopie giovanili contemporanee, i protagonisti sono costantemente trattenuti dal compiere un atto di vera violenza (di cui è costellata la vita di Ender) o, se lo compiono, sono più che giustificati dall’autore stesso e non ne pagano le conseguenze se non in minima parte. Katniss quanto uccide nell’arena degli Hunger Games? Mai, ogni sua azione criminale è dettata dall’assoluta necessità. Pur trovandosi in situazione di vita o di morte, l’autrice Suzanne Collins trova sempre il modo di non farle sporcare troppo le mani. La giovane assiste a morti terribili di innocenti (molte delle peggiori sono però riservate a personaggi moralmente compromessi), ma le viene consentito di scardinare il sistema, di uscirne abbastanza bene, di vincerlo riportando un numero di perdite accettabile, almeno nelle prime fasi della trilogia. Orson Scott Card non concede questo lusso a Ender, a cui non è mai permesso di fuggire davvero dal gioco, anzi, più viene a conoscenza degli antefatti più se ne scopre colpevole.
Non che Card sia un faro luminoso di coerenza intellettuale. Difficile però non aspettarsi le sue sparate omofobe, data la sua stretta aderenza alla chiesa mormone (e molti suoi ragionamenti scorrono a basso voltaggio anche in Ender, di pari passo a uscite sorprendentemente liberali).

Tit. originale: Ender’s Game
Anno: 1985
Autore: Orson Scott Card
Ciclo: Ender’s Universe, sottociclo Ender Wiggin, #1
Edizione: Editrice Nord (anno 2013)
Traduttore: Gianluigi Zuddas
Pagine: 392
ISBN-10: 8842923346
ISBN-13: 9788842923343
Dalla copertina | L’ultimo attacco alla Terra da parte degli alieni risale a ottant’anni fa, tuttavia la guerra non è finita. Per scongiurare la possibilità che, un giorno, la razza umana venga cancellata da una nuova e ancor più devastante invasione, sono state costruite armi sempre più potenti e ideati vari sistemi di difesa. Inoltre, per sfruttare le straordinarie capacità di alcuni bambini, è stata creata una Scuola di Guerra, destinata a formare un’elite di geni militari. Ed è in questo luogo altamente competitivo, in cui si simulano al computer azioni belliche di ogni tipo e si elaborano tattiche e strategie di grande complessità, che viene portato Andrew “Ender” Wiggin: ha soltanto sei anni e lo aspetta un addestramento feroce in un ambiente spietato, ma lui è un genio tra i geni, nato con le doti di un superbo comandante. Ed è l’unico in grado di vincere tutte le “partite” combattute nella Sala di Battaglia. Ma qual è il prezzo da pagare per essere davvero il migliore? E dove finisce il gioco e comincia la realtà?