Nel 2000, a quattro anni di distanza dall’uscita della serie televisiva I Cieli di Escaflowne, le vicissitudini di Hitomi su Gaea sono state rivisitate nel lungometraggio animato Escaflowne.
La storia è piuttosto differente: Hitomi, una ragazza sola e introversa, viene trasportata sul pianeta di Gaea ritrovandosi all’interno dell’Escaflowne, uscita dal quale incontra Van, Allen e la loro compagnia in lotta contro il Clan dei Draghi Oscuri comandato da Folken; quest’ultimo manda il fido Dilandau a rapire la ragazza, riconosciuta come Dea delle Ali, ovvero colei che può risvegliare l’Escaflowne e guidare il destino di Gaea.
Van la libera, e ripara con lei ad Adon, la terra di cui non aveva potuto diventare re a causa del tradimento del fratello Folken. In seguito, grazie al potere di Hitomi di evocare l’Escaflowne, il giovane riesce a sconfiggere definitivamente Dilandau.
La sete di vendetta rischia di tramutare Van in un mostro, ma il ragazzo rinsavisce grazie ai sentimenti che lo legano a Hitomi e, a bordo dell’Escaflowne mutato in Drago, giunge al cospetto di Folken per la resa dei conti.
Nonostante la trama sia per forza di cose meno articolata rispetto a quella narrata nella serie televisiva, il lungometraggio risulta comunque avvincente e l’azione è ben bilanciata con le pause. Il film si presenta sostanzialmente come un fantasy, piuttosto convenzionale nei suoi punti chiave: un personaggio disadattato che si ritrova in un mondo parallelo dove è viceversa considerato un eletto, un pugno di irriducibili che tenta di ostacolare un despota, un’armatura magica collegata a doppio filo al visitatore terrestre e alla sua controparte “locale”. A dispetto di questa semplicità nella struttura, gli eventi non mancano di destare e mantenere viva l’attenzione dello spettatore, grazie anche al fatto che l’atmosfera è molto cupa e suggestiva, spesso velata da un alone di tristezza e mistero che mette in risalto sia l’epica lotta di Van che la personalità di Hitomi.
L’inevitabile confronto con la serie può mettere in evidenza quelli che sono i limiti di questo lungometraggio, oltre alla succitata semplificazione della trama: di quelli che erano stati i vari elementi portanti (le carte di Hitomi, i robot, la Macchina di Modifica del Destino), alcuni sono assenti e altri sono presentati solo di sfuggita; delle tematiche rimane ben poco, essendo tutto ricondotto al (classico) contrasto tra la catartica distruzione del mondo e la sua conservazione; infine, dei molti personaggi, soltanto Hitomi e in misura minore Van sono in qualche modo sviluppati e approfonditi, mentre gli altri rimangono appena abbozzati (Millerna diventa addirittura una guerriera seguace di Allen).
Meglio evitare di rammaricarsi vedendo Allen e Dilandau confinati nel ruolo di semplici combattenti, e semmai apprezzare, ad esempio, il fatto che Folken, pur avendo perso quasi del tutto il suo spessore psicologico, è rivestito di un’epica statura drammatica nella sua disperata solitudine.
Anche la ferocia di cui Van dà prova già nella prima scena è pressoché sconosciuta al personaggio della serie televisiva. Hitomi poi è trasognata, in fuga dalla realtà, disillusa, cinica ed estranea alla vita; per lei l’arrivo su Gaea corrisponde in qualche modo a un ciclo di morte e rinascita. In seguito, il personaggio evolve scoprendo l’altruismo e la solidarietà verso Van (piuttosto che l’amore) come rimedi all’egoismo e alla solitudine, mentre il ragazzo accetta e ricambia l’affetto di lei rinunciando all’odio e alla vendetta.
Questo lungometraggio può vantare (e neanche questo deve troppo sorprendere) una realizzazione grafica superiore, soprattutto nei dettagli, nelle animazioni e nel disegno dei personaggi (che sono più “adulti”, più credibili). Altre sono poi le novità che diversificano e arricchiscono il film: i poteri psicocinetici di Van, Folken e Dilandau (ormai di moda negli anime recenti), il ruolo più in evidenza ricoperto dalle razze metà umane e metà animali (come nell’importante scena in cui Jajuka reca con sé il cadavere di un altro umanoide sacrificato nella guerra degli uomini), ma soprattutto la radicale e dolorosa fusione con l’Escaflowne a cui è costretto Van (e parimenti Dilandau col proprio robot). Il mezzo meccanico infatti (molto più magico che tecnologico), pur mantenendo il suo cuore pulsante, può muoversi solo se il sangue del pilota viene prelevato e infuso nel suo corpo corazzato.
La storia personale di Hitomi è inserita quindi nella vendetta di Van contro Folken, che ha al suo centro, oltre alla ragazza, il mitico Escaflowne. Nonostante il possente robot non compaia sulla scena che due volte soltanto, la sua caratterizzazione è tale da renderlo protagonista: essere senziente, biomeccanico, legato a un oggetto magico, circondato dal mistero di antiche leggende e dall’impressione che suscita il suo potere, ad esso e alla volontà delle uniche persone che possono guidarlo (Hitomi e Van) è legato il destino di Gaea.
Nella soluzione positiva del finale, l’Escaflowne, tramutato in Drago, sembra quasi mostrarsi come il dio protettore del pianeta.
Infine, una buona parte dell’atmosfera cupa e drammatica (ancora più terribile in alcune sanguinose scene di violenza) che aumenta l’impatto e la suggestione della storia – in confronto al tono generalmente più edulcorato della serie – è dovuta al personaggio di Folken: spietato tiranno, feroce sterminatore della sua stessa famiglia, persecutore del fratello, mago ingannatore che alterna castighi e lusinghe, determinato a trascinare il mondo con sé nel funesto compimento della sua cupio dissolvi; la sua fine, frutto del rancore che egli stesso ha seminato, è l’espiazione necessaria a salvare Gaea dalla distruzione e il cuore di Van dall’odio.