La celebrazione di un mito
Esattamente 35 anni fa usciva nelle sale il primo capitolo, intitolato semplicemente Phantasm (Fantasmi, nella versione italiana), di una serie di film a basso costo ideata da un regista ventitreenne all’epoca praticamente sconosciuto, Don Coscarelli, il quale, usando mezzi di fortuna e con l’ausilio di amici e parenti, creò quello che contro ogni aspettativa era destinato a divenire uno dei più grandi successi horror di sempre.
Anniversario a parte, esistono almeno altri due validi motivi per ricordare proprio in questo periodo l’opera di Coscarelli.
Il primo è una recente notizia che non poteva lasciare indifferenti gli amanti della serie: poche settimane fa il regista ha annunciato al mondo la tanto attesa realizzazione del quinto capitolo della saga. Varie volte in passato voci incontrollate di un possibile nuovo sequel erano circolate per poi essere smentite. Oggi possiamo affermare, senza più ombra di dubbio, che un nuovo Phantasm è in arrivo. Con ben sedici anni di ritardo sul quarto capitolo della saga. Si intitolerà Phantasm: Ravager e potrà vantare la presenza di tutto il cast originale, incluso il leggendario Angus Scrimm, oggi 88enne, negli usuali panni del terrificante ‘Tall Man’.
Il secondo motivo è ancora legato all’attualità: il 21 aprile scorso è uscito un libro dedicato alla fortunata serie, Intitolato Phantasm Exhumed: The Unauthorized Companion. 268 pagine impreziosite da oltre 260 fotografie inedite e da una prefazione scritta dallo stesso Angus Scrimm: il volume è un’incredibile testimonianza dell’immenso lavoro di ‘making of’ che Coscarelli e company hanno compiuto dal 1979 a oggi. La firma è di Dustin McNeill, uno dei maggiori esperti in materia e owner del blog Phantasmarchives.
Un ragazzino e i suoi fantasmi
Prima di parlare nello specifico delle pellicole, volevo cercare di capire con voi i motivi per cui Fantasmi è divenuto il mio film di culto – e quindi i motivi per cui lo è diventato anche per molti spettatori allora giovani come me – provando a magari a mettere un po’ d’ordine tra i ricordi sbiaditi di quel ragazzino che ero nel 1979 e la lucidità (o presunta tale) della versione adulta dello stesso. Una delle cose che più adoravo del cinema a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 era la particolare predilezione a proiettare, almeno una domenica su due, film horror. Passavano titoli che sarebbero in seguito divenuti dei cult assoluti, come lo Zombi di Romero o il Fog di Carpenter; passavano i goduriosi film sugli animali killer, come Lo Squalo di Spielberg o L’Orca Assassina di Michael Anderson. Ma ciò che veniva proiettato con maggior frequenza era il trash più trash che memoria d’uomo ricordi, come quei clamorosi, farlocchissimi, zombi-sequel diretti da Lucio Fulci, e altra roba che oggi fortunatamente ho rimosso. Ma, tra tutti quei fotogrammi che scorrevano freneticamente davanti ai miei occhi, ce ne sono stati alcuni che ancora oggi rivedo con un certo disagio e una inspiegabile angoscia. Fantasmi, naturalmente, appartiene proprio a questa categoria.
La storia narrata da Coscarelli vede come protagonista l’orfano tredicenne Mike (Michael Baldwin) che, persi i genitori, vive nel timore perenne che anche il fratello maggiore, Jody (Bill Thornbury), possa abbandonarlo. Questo è il primo punto su cui riflettere. Il tema della perdita e dell’abbandono è un classico della psicanalisi e se, come ha fatto Coscarelli, lo materializziamo nel corpo di un ragazzino, ecco che subentra inevitabile l’identificazione. Secondo punto: il giovane Mike si accorge che il becchino (Angus Scrimm) trafuga cadaveri dal cimitero cittadino. Ecco un altro tema interessante: la paura della morte o, più nello specifico, la paura di ciò che accadrà al nostro corpo dopo la morte. Terzo punto: Mike comincia a indagare, e ciò che scopre porta in superficie un’altra paura, quella sul destino dell’anima, se mai ne esista una. Quarto punto: il rapporto tra i due fratelli appare per taluni aspetti, come dire, quasi morboso. Orfani, come detto, di entrambi i genitori, si inseguono, cercando di proteggersi a vicenda, ma allo stesso tempo si respingono. Il tema qui è quello della famiglia vista come l’unica possibile difesa dalle forze del male.
Non mi resta che proiettare sul me stesso bambino i quattro temi del film… Come dicevo, il redattore che oggi trovate qui a scrivere era, in quegli anni, un coetaneo del Mike-personaggio. Un ragazzino come Mike ma con una differenza sostanziale, cioè quella di essere figlio unico. Mi immagino già orde di psicanalisti pronte a indicare nella mancanza di fratelli e sorelle il nocciolo della questione. Resta il fatto, qualcuno osserverà, che forse non è del tutto normale che un ragazzino di tredici anni se ne vada al cinema da solo la domenica pomeriggio a guardare film dell’orrore.
Per quanto riguarda la paura della perdita, penso fosse un concetto troppo prematuro per poterlo considerare. Si può dire che in quegli anni vivevo al riparo dalle brutture del mondo reale. È vero, avevo già le mie piccole fregole pre-adolescienziali, i miei piccoli traumi da innamoramenti randomici non corrisposti, ma non c’era nulla che mi spaventasse davvero, almeno a livello conscio.
A livello inconscio, beh, di quello credo si possa anche parlare. Sebbene la morte non avesse mai bussato direttamente alla mia porta, sentivo, sia pure in modo vago, che qualcosa di terribile sarebbe potuto un giorno capitarmi. Quei cimiteri, dove talvolta mi capitava di venire portato in visita ad antenati mai conosciuti, mi mettevano nella condizione di farmi delle domande. Cosa ci faceva tutta quella gente sotto quelle lapidi? Chi erano prima di finire in quel posto? Erano come me? E poi stavano davvero là sotto, oppure erano ‘in cielo’ come mi si diceva? Ma se erano in cielo, allora là sotto cosa c’era? Ripensandoci adesso, credo che il succo del discorso sia tutto qui. Il film di Coscarelli aveva dato forma alla mia domanda ‘proibita’, al mio incubo più segreto: cosa ne sarà di noi? Oggi, trent’anni dopo, non l’ho ancora capito.
Phantasm, l’origine della specie
Ripartiamo adesso dall’inizio. Cosa rispondereste, di primo acchito, se qualcuno vi chiedesse il nome di una celebre saga horror? Alla maggior parte di voi verrebbe in mente Nightmare, oppure Hellraiser, o Halloween, o ancora Venerdì 13. Qualcuno se ne verrebbe forse fuori con Scream, e magari alcuni originaloni potrebbero citare addirittura il Chucky de La Bambola Assassina.
La ragione per cui di getto non viene in mente l’opera di Coscarelli è molto semplice: nonostante il successo del primo film, e sebbene con il trascorrere degli anni la serie si sia elevata a stato di cult – perlomeno secondo l’opinione di ristrette schiere di fan – ciò che innegabilmente non possiamo dire di Phantasm è che sia, appunto, celebre. Le domande senza risposta allora sono: cosa trasforma una serie horror in un cult universale? E cosa è mancato a questa, che è invece rimasta relegata ai confini dell’Olimpo?
Eppure è facile notare delle evidenti analogie con saghe come le già citate Halloween e Nightmare: analogalmente a quelle, Phantasm rientra nel sottogenere horror conosciuto come slasher, secondo le cui regole, precise e immodificabili, un inarrestabile villain mascherato (spesso orrendamente sfigurato) si diletta a far strage di adolescenti idioti poco inclini alla sopravvivenza. Gli slasher, per loro stessa natura, nascono già con la prospettiva della serializzazione: come ben sapete, infatti, il cattivone di turno, anche se ucciso, sbudellato, decapitato, tritato o maciullato, risorge inevitabilmente (e soprattutto inspiegabilmente) nell’ultima scena prima dei titoli di coda, preannunciando il proprio ritorno grosso modo nel giro di un anno (tanto quanto serve per raccogliere quattro soldi e produrre l’ennesimo sequel). È forse questa la chiave del successo? È solo questione di una… come dire… sapiente strategia di marketing?
Quando Don Coscarelli diede alla luce Fantasmi non c’era in effetti alcuna intenzione di realizzarne un seguito, sebbene il finale aperto possa oggi lasciare più di un dubbio. Inoltre i temi che venivano affrontati non erano immediati, e la loro presentazione sullo schermo, con quelle atmosfere claustrofobiche, oniriche, e con alcuni ben dosati sprazzi di surrealismo, era tutto fuorché un viatico per il successo. Il successo però arrivò, sorprendendo per primo lo stesso regista. Forse arrivò addirittura per motivi diversi da quelli da lui immaginati, ma resta il fatto che dal baco di una piccola autoproduzione uscì un’elegante farfalla.
Il termine ‘onirico’ ben si adatta alla pellicola, perché la genesi di Fantasmi si dice deriverebbe da un sogno dello stesso regista, un incubo in cui egli fuggiva lungo interminabili corridoi inseguito da una minacciosa sfera metallica. Il risultato è un film ricco di incongruenze – e quale sogno non lo è? – che miscela sapientemente – qualcuno direbbe maldestramente – diversi generi, un po’ horror, un po’ fantascienza, un po’ tante altre cose.
Come già accennato, la storia vede come protagonista Mike (Michael Baldwin), un tredicenne insicuro che, dopo la morte dei genitori, vive con il fratello maggiore, Jody (Bill Thornbury). Un giorno, dopo aver assistito al funerale di un amico di famiglia, il giovane Mike si accorge che il becchino (Angus Scrimm), finita la cerimonia, quando tutti si sono allontanati, anziché terminare di sotterrare la bara la carica nuovamente sul carro funebre e se la porta via. Ma non è quello l’unico aspetto inquietante della situazione: ciò che fa rabbrividire Mike è soprattutto il fatto che l’uomo abbia sollevato una cassa di due quintali da solo, senza il minimo sforzo.
Il ragazzo inizia una sua personale indagine, sebbene deriso da Jody con il quale aveva tentato di confidarsi, e riesce a introdursi nottetempo nel cimitero alla ricerca di indizi da presentare all’incredulo fratello. Gli indizi non si faranno attendere: Mike, nel giro di pochi minuti, farà la conoscenza di alcuni sinistri nani incappucciati, di sfere metalliche volanti in grado di uccidere tramite lame retrattili che si piantano nei crani dei malcapitati, e naturalmente del ‘Tall Man’, l’inquietante figura-simbolo di tutta la saga, quel becchino, magistralmente interpretato dall’eterno Angus Scrimm, che aveva agitato i sonni dell’ex bambino che qui scrive.
Il film si immerge nelle paure più recondite dell’essere umano. Quel maestoso mausoleo che il Tall Man ha scelto come sua dimora terrena è veramente terrificante: i suoi lunghi e labirintici corridoi rivestiti di marmo, sui cui lati si affacciano centinaia di loculi (quelli che noi chiamiamo colombari), e quella minacciosa sfera metallica che si aggira alla ricerca di vittime. Sarà proprio in questo scenario che Mike, Jody e il loro amico Reggie (Reggie Bannister) scopriranno il segreto che si cela dietro il becchino, una specie di custode infernale che preleva i cadaveri dalle loro sepolture e li trasforma in piccoli nani, peraltro molto simili a quelli, più noti, del quasi contemporaneo Guerre Stellari di George Lucas.
Laddove c’è un custode infernale non può mancare una porta, solo che in questo caso la porta è un passaggio spazio-temporale per un inferno completamente estraneo ai soliti canoni: l’aldilà sembrerebbe una specie di pianeta alieno nel quale i nani vengono utilizzati come schiavi. Ho detto sembrerebbe perché a noi non è concesso che un solo fugace sguardo verso quel mondo ultraterreno.
Realtà? Fantasia, sogno, visione? Il finale del film non chiarisce tutti i punti. Si direbbe quasi che la storia non sia stata altro che un sogno. Mark si sveglia e si trova sulla tomba di Jody, anche lui forse morto tempo prima assieme ai genitori. Ma a un passo dai titoli di coda ecco un nuovo twist da far saltare sulla sedia. Il Tall Man ci sta aspettando? Sta aspettando noi tutti? “If this one doesn’t scare you, you’re already dead”, diceva la locandina nella hall del cinema.
Ho accennato poco fa a quell’incubo che innescò l’idea di Fantasmi: in seguito a quell’avvenimento il giovane regista si ritirò per diversi mesi nella solitudine di una baita in montagna lavorando a un soggetto che potesse svilupparsi da quell’idea di base e includere anche quelle che erano le sue paure infantili, prima tra tutte la paura della morte: la decisione di ambientare Fantasmi in un cimitero fu quasi naturale. Una volta realizzato il soggetto, non disponendo di mezzi sufficienti a girare, al nostro autore non restava che chiedere aiuto ad amici e parenti. Il padre Donald sr racimolò il denaro necessario per la produzione, e la madre Kate si occupò delle scenografie, del make-up e dei costumi. Per il ruolo dei protagonisti furono reclutati gli amici più cari, tra i quali il già citato Reggie Bannister, che già aveva aiutato Coscarelli nei suoi primi esperimenti di regia.
Tit. originale: Phantasm
Anno: 1979
Nazionalità: USA
Regia: Don Coscarelli
Autore: Don Coscarelli (scritto da)
Cast: A. Michael Baldwin (Mike), Angus Scrimm (Tall Man), Bill Thornbury (Jody), Reggie Bannister (Reggie)
Fotografia: Don Coscarelli
Montaggio: Don Coscarelli
Musiche: Fred Myrow, Malcolm Seagrave
Rep. scenografico: Kate Coscarelli (production design) | David Gavin Brown (art direction)
Produttore: Dac Coscarelli | Paul Pepperman (coproduttore)
Produzione: New Breed Productions Inc.