Fighting American è un supereroe creato dalla penna di Joe Simon e dalle matite di Jack Kirby nel 1954, pubblicato originariamente negli Stati Uniti da Crestwood Publications. Questo lussuoso volume della Bao ripropone per intero le sue avventure: sette albi usciti negli Stati Uniti tra il 1954 e il 1955, uno uscito nel 1966 e due storie inedite. Come disse Joe Simon nell’introduzione da lui scritta nel 2011, solo due mesi prima di morire: “Il volume che tenete tra le mani contiene tutte le storie di Fighting American che abbiamo prodotto […] Qui avete la collezione completa.”
Il plot di base è sfacciatamente simile a quello del ben più noto Capitan America, creato nel 1941 – tredici anni prima di Fighting – dai medesimi autori: anche qui un mingherlino ma patriottico cittadino americano, di nome Nelson Flagg, accetta di sottoporsi a un esperimento condotto da scienziati del Governo, tramite il quale viene trasformato in una vera e propria macchina da combattimento. La ‘mente’, l’essenza vitale del nostro eroe viene ‘inserita’ nel robustissimo, agilissimo, potenziato corpo del suo stesso fratello, Johnny Flagg, giornalista e mezzobusto televisivo noto per il suo entusiasmo nel difendere l’american way of life, ‘ucciso’ da agenti comunisti.
“Non abbia paura… È semplicemente scienza, non magia nera! Vogliamo che lei abbia quel corpo! Vogliamo che lei sia suo fratello! Ciò significherà la fine dell’uomo che lei è oggi!”
Sotto i panni di un miracolosamente ‘risorto’, temerario e fortificato Johnny Flagg, l’America acquista quindi il suo nuovo paladino pronto a rischiare la vita per difendere i valori della democrazia e della libertà. Così cominciano le avventure di Fighting American – e del suo sodale Speedboy.
Mentre per Capitan America, creato in tempo di guerra, i cattivi erano principalmente i nazisti e i Giapponesi, in quest’epoca post-bellica il nemico sono invece i ‘rossi’, i comunisti, infiltratisi ovunque e decisi a spazzare via con la violenza e l’inganno il Sogno Americano. Come nella più semplice e abusata dicotomia, i cattivi sono i mostri, sia moralmente che fisicamente: questa caratteristica del nemico mostruoso, deforme, brutto oltre ogni limite verrà mantenuta da Kirby qualche anno dopo, quando, lavorando con Stan Lee, darà vita all’era della Marvel Comics.
Eroe = bello, villain = brutto: un facile, leggibilissimo dualismo che permette l’immediato riconoscimento dei Buoni e dei Cattivi. Parziali deroghe a questa regola saranno Hulk – per il quale il confine Bene/Male è sempre sfumato e ambiguo –, Bestia degli X-Men e, soprattutto, la Cosa dei Fantastici Quattro, la cui bruttezza, pur costituendo certamente un ostacolo nelle relazioni sociali, è anche un elemento di ricchezza psicologica e narrativa su cui poggiano storie memorabili e intense come la mitica Questo Uomo, Questo Mostro! (S. Lee, J. Kirby, J. Sinnott, su Fantastic Four n. 51 del 1966, in Italia per la prima volta su I Fantastici Quattro n. 47 del 9 Gennaio 1973).
Ma, al di là di poche eccezioni, nel lavoro di Kirby, per la Marvel così come per la DC, il Bene ha sempre coinciso con la rappresentazione del Bello, e il Male è sempre stato mostruoso, ripugnante, deforme, come se le caratteristiche morali avessero superato il confine psicologico per plasmare somaticamente i corpi. Verrebbe da pensare pure il contrario, ossia che un corpo deforme non possa far altro che abbracciare il Male, magari per vendicarsi della sfortuna toccatagli (gli esempi sono numerosi: dall’Uomo Talpa al Dottor Destino… anche se per quest’ultimo la deformità è stata più una scelta, un modo ulteriore, quasi mistico, per distinguersi dal volgo, dalla massa).
Comunque, senza scomodare Cesare Lombroso, questa particolare ‘fisiognomica a fumetti’ non è un’invenzione del Re, bensì il proseguimento di una tradizione forse inaugurata da Dick Tracy, il personaggio creato da Chester Gould nel 1931 (e da allora pubblicato senza soluzione di continuità negli Stati Uniti): mentre il detective dall’impermeabile giallo è bello e aitante, con tanto di mascella volitiva, i villain sono invece caratterizzati da spiccate deformità che danno loro il nome. Abbiamo così Testapiatta, Facciadiprugna e tutta una serie di criminali malvagi e orribili a vedersi.
A proposito di nomi, quelli presenti in Fighting American sono decisamente più spiritosi: come potrei rinunciare a leggere un’avventura in cui i cattivoni si chiamano Poison Ivan, Hotsky Trotsky, Invisible Irving o Space-Face!? Certo come nome, e anche come assurdità della storia, nessuno batte Super-Khakalovitch, il supereroe comunista (‘Hero of the People’) che possiede il superpotere più devastante: quello della puzza! La sua stirpe non fa un bagno da oltre tremila anni, e nessuno, neppure Fighting American e il suo pard Speedboy, possono stargli vicino senza indossare un’adeguata maschera antigas!
A parte il nonsense più azzardato, una delle storie più emblematiche, vero e proprio statement degli autori (o di chi commissionava loro i racconti), è la breve, impagabile Lettera dal Paradiso, lunga solo due tavole: in essa un ragazzino russo scrive una missiva a Speedboy, il giovanissimo sidekick di Fighting American. È una lettera apparentemente piena di insulti, nella quale il ragazzino, che ovviamente si chiama Vladimir (come Lenin), descrive quanto inutili e frivoli siano i ‘privilegi’ vissuti dai suoi coetanei americani e quanto invece sia solida la realtà collettiva al di là della Cortina di Ferro. La particolarità della storia, che la rende un capolavoro di umorismo (nero), è la differenza tra le parole scritte da Vladimir e la descrizione grafica che vignetta dopo vignetta viene spietatamente – e ironicamente – esposta al lettore. È certo una storia che oggi risulta faziosissima, politicamente scorretta, imperialistica ecc. ecc. Tutto giusto, ma è soprattutto un piccolo, corrosivo gioiellino umoristico, specchio di come si vedesse e vivesse la Guerra Fredda.
“Quindi vai in malora Speedboy… Tu e quel babbeo con i mutandoni che chiamano Fighting American! Vorrei dirti di più, in faccia, ma scommetto che non hai il fegato di venire al 3160 di via Falce e Martello vicino a piazza Miserlou nel villaggio di Paskutzva… (bussa due volte e chiedi di Vladimir).”
Ed è ovvio che Speedboy e il ‘babbeo in mutandoni’ vadano poi a liberare Vladimir e la sua famiglia dall’oppressione comunista, trasferendoli in America e facendo loro gustare il sapore della libertà. Un breve e divertentissimo saggio di ‘psicologia inversa’, quasi commovente in quella sua fanatica integrità morale e fumettistica. Assolutamente da leggere.
Un’altra caratteristica delle storie di Fighting American è il loro essere talmente eccessive, in quel rozzo manicheismo di cui sono permeate, da diventare spesso ultra-reazionarie, spacciando triti luoghi comuni come fossero Verità divine (“I vagabondi non cambiano: a loro piace essere come sono!” da Z Food, FA n. 3 dell’agosto 1954); ma è proprio quell’essere ottusamente reazionarie a renderle comicamente irresistibili: leggendole sortiscono quasi l’effetto contrario, come a considerare “ma dài, Jack e Joe non potevano dire sul serio!”.
O forse erano serissimi, ma sta di fatto che a un certo punto le storie di Fighting American e del suo giovane partner Speedboy cominciano a prendere una piega tra l’insensato e il fantascientifico. Le battute (anche le battutacce grevi, talvolta) si sprecano, e quasi non c’è tavola che non contenga almeno un paio di gustosissime assurdità, sia a livello di storia che puramente grafiche.
Inside jokes, citazioni da altri famosi comics dell’epoca e una fantasia scatenata che miscela azione pura, ideologia e ironia – quando non addirittura caustico sarcasmo –, oltre a tutto quanto detto finora, fanno di Fighting American un fumetto imperdibile per chi è già appassionato di cose kirbyane. Gli altri invece perché dovrebbero leggere questo volume, pieno di storie datate, contenenti concezioni e ideologie lontane dalla nostra realtà? Beh… appunto perché sono storie di Simon e Kirby, piene di azione al fulmicotone e di disegni che ti saltano letteralmente addosso, con colori che più pop non si può e un gran mestiere che dettò legge per lustri nella sceneggiatura e nella costruzione di storie senza mai buchi; storie che scivolano golosamente l’una dopo l’altra e procurano un divertimento raffinato, per intenditori. Come si suol dire: una festa per gli occhi!
Rimarrà sempre una gioia perdersi negli stupendi disegni di Jack ‘The King’ Kirby, seppure talvolta un po’ ‘frettolosi’, ma non di meno epici, dinamici, efficaci, spettacolari, con inquadrature sempre nuove e ardite. La cifra stilistica di Kirby e di Simon resta riconoscibile sempre, anche nei lavori cosiddetti ‘minori’ o semplicemente meno conosciuti al di fuori degli Stati Uniti.
Una menzione particolare merita la vivacissima e divertente traduzione di Francesco Vanagolli: credo non sia stato semplice riprodurre nella nostra lingua un vecchio fumetto pieno di slang, frasi idiomatiche passate di moda da decenni, scherzi verbali e filastrocche dimenticate. Francesco è riuscito a far calare chi legge nell’atmosfera dell’epoca, e questo è indice di un lavoro accurato svolto non solo da un esperto ma da un vero appassionato.
Si ringrazia Fumetti di Carta
Tit. originale: Fighting American
Anno: 1954-55/1966
Autore: Jack Kirby, Joe Simon
Edizione: BAO Publishing (anno 2014)
Traduzione: Francesco Vanagolli
Pagine: 200
ISBN: 978-88-6543-249-5
Descrizione: I due maestri indiscussi dei comics americani anni Cinquanta, Joe Simon e Jack Kirby, ci regalano questa raccolta delle storie di un personaggio a lungo dimenticato, Fighting American, in questo prestigioso volume cartonato, direttamente dagli anni del Maccartismo, imperdibile per i collezionisti del grande fumetto del passato.