Fondazione ID (1981), di Gilda Musa
PRESENTAZIONE
È la prima volta che mi capita di scrivere la presentazione a un mio libro. I miei precedenti volumi, cinque di narrativa e sette di poesia, sono stati presentati, di volta in volta, da prefatori diversi.
Anche per «Fondazione Id» pensavo che l’Editore si rivolgesse a qualche critico. Invece, un giorno mi ha telefonato e mi ha detto: — Non le sembrerebbe una cosa simpatica scrivere lei stessa qualche pagina di apertura, qualcosa di immediato e spontaneo, quasi un dialogo fra lei e i suoi lettori?
— Credo di sì—gli ho risposto. — Posso provare.
Perciò, eccomi qui a parlare di «Fondazione Id», un romanzo impostato su un doppio binario narrativo, cioè contemporaneamente in un luogo vicino, una convulsa ma iper-programmata megalopoli terrestre, e in un luogo remoto dello spazio galattico, nell’ambito del gruppo stellare Sfinge d’Avorio, per l’esattezza attorno al prezioso e conteso pianeta Héteros.
Le due traiettorie parallele proseguono, a scene alternate, fino a che convergono e si incontrano, mentre, da altre direzioni, provengono linee narrative che si concentrano su Héteros, dove si svolgono e si scatenano gli eventi.
Quattro razze diverse — quattro civiltà – si incontrano e si scontrano, si combattono o si alleano secondo esatte strategie politiche e psicologiche: ma i quattro gruppi, mentre valgono come agglomerati d’insieme e di affinità, si differenziano al loro interno negli individui e, anzi, acquistano pluralità di significati proprio attraverso i personaggi, i singoli caratteri.
Fra i Terrestri, che sono di varie nazionalità, la protagonista femminile è Nereide, una esobiologa neo-laureata che vuole porre la propria vita e il proprio lavoro al servizio di creature aliene; è una donna forte, idealista, che odia la violenza, il condizionamento e la sopraffazione, che fa di tutto per difendere la naturalità propria e degli altri, ma che sarà costretta a imbracciare le armi. Il protagonista maschile è Basil, un simpatico e fantasioso giovanotto che vive di ingegnosi espedienti ai danni del prossimo e che i drammatici eventi porteranno a coraggiose azioni altruistiche. Nell’affollata colonia terrestre, emergono altri caratteri: il coscienzioso e malinconico professor Morosini; il consapevole tenente Rakeni; i giovanissimi sergenti Lou e Phirpo, opposti emblemi della fortuna e della sfortuna; la bella e materna Ariadna; la patetica Giòsselyn.
Fra gli esseri alieni, i protagonisti sono il nativo abitante della foresta Rek-Alex, dal primitivismo in evoluzione; e, appartenente ad altra razza e civiltà, la enigmatica e affascinante Hills, un’inafferrabile creatura di sogno: tutti e due, in maniera diversa, sono figure-fulcro fondamentali per i rapporti con i Terrestri e per lo sviluppo delle vicende.
Invece, la quarta razza, quella incombente dei Quun, viene rappresentata nel suo collettivo agire e reagire, restando in un alone di alienità misteriosa.
Nessun personaggio – nessuna razza – è completamente «buono» o completamente «cattivo»: male e bene sono amalgamati, e la spinta all’agire è data dalla necessità, secondo varie motivazioni, significati, sfumature.
Immagino, a questo punto, che il lettore si domandi: — Perché il romanzo si intitola «Fondazione Id»?
Rispondere con esattezza sarebbe come svelare il nucleo narrativo del romanzo: toglierei il piacere della scoperta. Posso dire che Id – come è noto – è il termine usato nella psicoanalisi per indicare la sfera psichica primaria, sorgente inesauribile degli istinti, delle forze inconsce: l’ho impiegato proprio in questo senso e l’ho utilizzato secondo variazioni d’implicazioni tecnologiche e psicologiche fino a conseguenze estreme, sia individuali sia collettive.
Il lettore potrebbe porsi un’altra domanda: — Si tratta di una storia di pura avventura oppure l’autrice ha voluto simboleggiare altri significati?
Preferirei che fosse il lettore a estrarre i significati di «Fondazione Id», anche perché ognuno scopre in un libro ciò che gli è più congeniale. Però, posso dire che da questo romanzo emergono alcuni argomenti tipici della società odierna: ad esempio, la critica all’esasperata tecnologia, il problema energetico, la tematica della violenza, il sopruso fisico e psichico.
Aggiungo che ho trattato questi e altri temi attuali incorporandoli sempre nell’azione e nel comportamento dei personaggi, perché, prima di tutto, ho voluto scrivere per i miei lettori una storia interessante e coinvolgente. Credo che ne sia uscito un romanzo dalle vicende serrate, dotato di suspense, di sorprese e di colpi di scena, e imbevuto di quel «senso del meraviglioso» che è l’affascinante ingrediente essenziale in un’opera di fantascienza.
Ma il giudizio resta ai lettori, che invito a scrivermi impressioni o analisi e ai quali rivolgo il mio saluto amichevole e il mio ringraziamento.
Gilda Musa
Anteprima testo
I
Per tre giorni di seguito, Nereide aveva tentato di entrare nel palazzo del CERIL. La prima volta, era arrivata giusto in tempo per una sgradevole sorpresa: la sirena-orario sibilava e la voce di cornacchia meccanica di un altoparlante ripeteva: — Chiusura anticipata. Chiusura anticipata. — Forse erano guaste le cabine-terminali. Le altre due volte, la folla era così fitta che Nereide non era nemmeno riuscita a introdursi nel salone.
Era al suo quarto tentativo. Anche quella mattina, davanti al palazzo del CERIL, si era radunata una folla che debordava fino a metà piazzale. Appena i portali si spalancarono, la gente si mosse, ondeggiò, si spinse avanti per entrare.
Nereide venne premuta e trascinata dalla calca, gomito a gomito con sconosciuti che erano arrivati da ogni parte della megalopoli o dai quartieri-satellite, spesso a piedi o con mezzi di fortuna, perché i marciapiedi mobili non funzionavano, forse per un’avaria alla Centrale Trasporti, forse per un sabotaggio. Erano in maggioranza giovani, ragazzi e ragazze che, come Nereide, erano costretti dalla legislazione territoriale a rivolgersi al CERIL.
Nel tempo che aveva trascorso in attesa davanti al palazzo, Nereide aveva visto, come in un rispecchiamento di se stessa, facce stanche ed eccitate, ombre scure che segnavano gli occhi, tracce di insonnia, di nevrosi irrisolte, di speranze. Anche lei aveva sperato in un approdo che, questa Volta, si illudeva fosse raggiungibile. Ma adesso, coinvolta nelle convulsioni della folla, avverti il cedimento di quelle speranze. Non volle arrendersi, e si lasciò trasportare dalla fiumana di gente che s’incanalava nel corridoio, correva, sfociava nell’enorme salone dei computer.
Lungo le pareti si allineavano oltre duecento cabine-terminali. Erano parallelepipedi dalle pareti trasparenti, a tenuta stagna, antirumore e antivibrazione. La folla si disgregò e si scatenò verso le cabine: ognuno cercava di raggiungere, prima degli altri, un terminale. Anche Nereide si mise a correre guardandosi in giro: era ansiosa di mettersi in contatto col computer centrale del CERIL e dare avvio a un rapporto uomo-macchina dal quale poteva dipendere il suo futuro, tutta una vita.
In pochi minuti, ogni singola cabina venne occupata da una persona che si sistemava alle apparecchiature e che iniziava la ricerca. Gli altri aspettavano fuori, in gruppi irrequieti, premendo contro le porte. Nereide continuò a vagolare e a guardarsi attorno.
Verso il fondo del salone, si accese una lite: un uomo e una donna sbraitavano e s’ingiuriavano a vicenda. Uno degli agenti-androidi accorse a dividerli. Sul lato opposto, altre persone si disputavano la precedenza, poi passarono ai fatti, scambiandosi manate e pugni. Gli androidi intervennero a sedare la rissa.
Nereide si accorse che una ragazza stava uscendo da una lontana cabina d’angolo un po’ nascosta, davanti alla quale, miracolosamente, non c’era nessuno. Si diresse in fretta da quella parte: procedeva a serpentina, per non rivelare la direzione scelta, decisa a conquistare quel terminale. Fu allora che due giovani si slanciarono avanti, raggiunsero e superarono Nereide, ciascuno gridando di avere visto per primo il posto libero. Avevano già ostruito la porta e si spintonavano alzando i pugni. La ragazza si mise a protestare che spettava a lei la precedenza.
I due giovani, ormai, si picchiavano alla cieca, con ferocia, sfogando rabbie e umiliazioni lontane. Non udirono nemmeno la voce dell’androide che ordinava loro di uscire dal salone. L’automa afferrò per la collottola il ragazzo più smilzo, agguantò l’altro per un braccio e, tenendoli quasi sollevati dal pavimento, se li trascinò via, urlanti, verso l’uscita.
Nereide sgusciò dentro la cabina libera e chiuse la porta che si autosigillò con la maniglia magnetica. Finalmente, anche lei poteva dare inizio alla ricerca.
***
A bordo dell’astronave ammiraglia, l’attività aveva raggiunto ritmi quasi insostenibili. Nella sala del Servizio Contatti, uomini e congegni elettronici lavoravano in perfetta sincronia, raccogliendo e coordinando i dati che provenivano dai novecento punti-radar disposti lungo la superficie esterna dell’astronave.
Il tenente Rakeni, capo della Squadra Cinque, si chinò sul monitor, come se avesse difficoltà a decifrare la serie di numeri e sigle che si accendevano a intermittenze. — Immediato passaggio della Quattro Blu a diciotto gradi sul piano del sistema — disse con espressione secca e funzionale.
Gli rispose la voce musicale del giovanissimo sergente Lou che gli sedeva accanto. — Deviazione della Quattro Blu in cabrata obliqua su diciotto gradi.
La computerizzazione delle notizie avveniva in una frazione di millesimo di secondo. Con la stessa rapidità, dovevano procedere i riflessi del tenente Rakeni e dei suoi collaboratori, costretti a uno stressante lavoro di selezione, decisione e invio di direttive che potevano determinare, nel volgere di attimi, le sorti della battaglia. Il destino di migliaia di uomini era affidato alle sinapsi cerebrali del tenente Rakeni e dei suoi tecnici. In quelle circostanze, il comandante della nave si trasformava in puro esecutore di ordini scaturiti dalla simbiosi uomo-macchina.
— Immediato sganciamento della Uno Blu. Rischia la manovra avvolgente della Sette Verde.
Blu e Verde erano vocaboli convenzionali. La fraseologia militare aveva previsto il termine Blu per designare le navi terrestri e il termine Verde per indicare le navi dei Quun. Ogni singola unità, inoltre, aveva un numero progressivo che mutava a seconda delle rispettive posizioni nello spazio. La freddezza terminologica serviva per sdrammatizzare le azioni belliche. Il tenente Rakeni e i suoi collaboratori, del resto, erano stati assuefatti da tempo a mantenere i loro nervi a un livello di nonemozionalità quasi identica a quella dei circuiti elettronici.
— Ricevuto — disse la voce del Comandante. — Ordine eseguito. Rakeni, attento a non avvicinare la zona di Héteros. Per nessun motivo dobbiamo entrare nell’orbita del pianeta.
— D’accordo — rispose Rakeni. — Comandante, come giudica la situazione?
— Ti sembra il momento di chiedere il mio parere?
Rakeni rimase zitto. Aveva ragione il Comandante. La battaglia era in pieno svolgimento, e non era il caso di tentare pronostici o di elaborare previsioni. La domanda gli era sfuggita unicamente per allentare la tensione mentale. Il lavoro al Servizio Contatti aveva tutte le caratteristiche di un gioco. Ma era un gioco che logorava rapidamente le riserve psichiche.
Il tenente coordinò i movimenti dell’ammiraglia, che si trovò di fronte a due astronavi Verdi e che, beccheggiando improvvisamente, con una manovra un po’ troppo spericolata, apri il fuoco con tutte le batterie. Ma le due navi Verdi, prevedendo la mossa, si erano prontamente avvoltolate su se stesse, riducendo al minimo il bersaglio.
Ci fu un attimo di rallentamento nelle operazioni. Rakeni e i suoi uomini respirarono.
— Le navi dei Quun sembrano collane di smeraldi — disse il sergente Lou. Stava fissando, sul gigantoschermo, la conformazione delle unità Verdi, filamenti sinusoidali ai quali erano incastonati gli scafi, simili a grumi di acciaio rilucente come cristallo; i diversi scafi erano collegati fra loro da condotti snodabili.
— Io parlerei piuttosto di serpenti — disse un altro tecnico, il sergente Phirpo. — Si raccolgono, si distendono, procedono con i movimenti degli anaconda. Mi fanno venire il voltastomaco.
— Phirpo, non preoccuparti dello stomaco — ribatté il tenente Rakeni. — Quegli anaconda possono mandarci in frantumi entro pochi minuti. Attenti ai segnali! Sembra che spunti qualcosa, da dritta.
Il gioco tecnologico riprese.
Nel settore dominato dalla stella variabile Mira Ceti, infuriò di nuovo la battaglia spaziale. Le due formazioni si fronteggiarono in ordine sparso, ancora a notevole distanza, ma in fase di rapido avvicinamento. Tracce luminose, seguite da…
Tit. originale: Fondazione ID
Anno: 1981
Autore: Gilda Musa
Edizione: Editrice Nord (anno 1981), collana “Cosmo Argento” #116
Pagine: 140
Dalla copertina | Dopo la battaglia, il massacro e la distruzione, sul pianeta Héteros scende la pace. E scendono i carghi spaziali che trasportano ingegneri, tecnici, operai per l’insediamento del primo nucleo umano. Precedenti spedizioni hanno accertato che sul pianeta alieno esiste una rarità assoluta del Cosmo: il plasma non radioattivo che si forma durante le tempeste magnetiche. I globi di plasma nascono nel deserto pietrificato, lungo le creste delle dune: ma chi andrà a raccogliere i globi di fuoco? Su Terra, intanto, migliaia di persone si rivolgono alla Fondazione Id, un Ente specializzato in ricerche quasi sconosciute sulle profondità della psiche. Tra la folla, c’è Nereide, una ragazza disposta a qualsiasi rischio pur di mutare il corso della propria esistenza. Ma per quale motivo Nereide dovrà firmare una dichiarazione che solleva la Fondazione Id da ogni responsabilità? Sul filo di questi due interrogativi si sviluppa il romanzo: due elementi, il privato e il pubblico, si intrecciano con esiti drammatici e imprevedibili, sullo scoccare di una continua tensione narrativa che offre al lettore, a ogni capitolo, emozioni profonde e impressioni inattese. Con questo romanzo, Gilda Musa riconferma la sua vocazione all’«insolito», al «senso del meraviglioso» e a quei valori profondi che sono da un lato culturalmente ineccepibili e, dall’altro, rappresentano un profondo scandaglio nella psiche dell’uomo e nel suo destino. Con il romanzo Fondazione Id, Gilda Musa ribadisce la sua fama di autrice di valore europeo e, come ha affermato tutta la critica, di creatrice di moderne mitologie nello stesso tempo poetiche e avventurose.