Quando nel maggio 1999 SERGIO BONELLI e LUCA ENOCH annunciarono la nascita di Gea, in una conferenza stampa tenuta nel corso dell’allora prestigiosa mostra ExpoCartoon, molti “addetti ai lavori” restarono, se non del tutto perplessi, quantomeno stupiti da questa iniziativa.
Cosa avevano a che fare Luca Enoch, autore notoriamente dedito a fumetti di forte impegno sociale e politico, nonché tipico esponente di una gioventù milanese legata al “Leoncavallo” e all’attivismo dei cosiddetti “centri sociali”, e Sergio Bonelli, da sempre editore e autore di fumetti esclusivamente avventurosi, legati a logiche commerciali di tipo quasi americano (se un personaggio va bene le sue storie si moltiplicano; se va male scompare) e caratterizzati da precisi standard nelle trame e nei disegni?
Tuttavia, a guardare con maggiore attenzione l’incontro di questi due personaggi, si scopre facilmente che le differenze appena rimarcate non sono troppo profonde, e che i punti in comune, tutto sommato, non sono poi così pochi. Tex, ad esempio, non è da sempre un fumetto schierato dalla parte dei più deboli, e questo fin da un’epoca in cui “i soli indiani buoni erano quelli morti”? Martin Mystere e Dylan Dog non passano buona parte del loro tempo a combattere il “sistema”, si tratti degli “uomini in nero” che ricorrono frequentemente nelle avventure del primo, o di mostri che altro non sono che metafore dei nostri lati oscuri e che il cosiddetto “Investigatore dell’incubo” elimina sistematicamente? E non definiremmo dei ribelli, dei disadattati quasi, personaggi come Mister No o Nathan Never?
La lista potrebbe continuare. Certamente non è un caso che Luca Enoch, dopo l’insuccesso della sua graffitara Sprayliz, passata incautamente dalle pagine dell’Intrepido a quelle di un piccolo, ma ahimè esclusivo, albo da edicola, si sia rifatto una carriera proprio con Bonelli, realizzando qualche storia di Legs Weaver e facendosi apprezzare per la brillantezza del disegno – un po’ insolito per lo standard bonelliano, ma indubbiamente superiore alla sua media – e per dei testi molto curati e non privi di umorismo.
La distanza tra Luca Enoch, nato a Milano nel 1962 e arrivato tardi al successo (nel 1990 con Eliah, storia fantasy molto cupa, e nel 1992 con Sprayliz) e Sergio Bonelli, pure milanese, ma di trent’anni più vecchio, non è quindi enorme. E così, quando quest’ultimo propone al suo più giovane concittadino di realizzare un suo personaggio, col quale, purché una certa dose di avventura sia sempre presente, sia possibile tornare ad esplorare le tematiche sociali, Enoch non ci pensa due volte e rispolvera una sua vecchia idea, Gea, accantonata qualche anno prima per far posto a Sprayliz. Per di più Bonelli lascia al suo autore il totale controllo sul personaggio: Enoch, da sempre molto geloso delle sue creazioni, rimarrà dunque il solo sceneggiatore e disegnatore di Gea dall’inizio alla fine, caso assolutamente unico nella storia della casa editrice, che da sempre gestisce “all’americana” (cioè utilizzando molti autori diversi su ogni personaggio) le sue testate. Naturalmente il prezzo da pagare è alto: le storie di Gea escono con cadenza semestrale (è il massimo che Enoch riesce a fare) e il successo non è strepitoso come quello degli altri “cavalli” della “scuderia” Bonelli; alle 200.000 e rotte copie di Tex e Dylan Dog e alle 100.000 di Julia e Nathan Never si contrappongono le misere 30.000 della nostra eroina (solo due personaggi come Mister No e Nick Raider, ormai alla frutta, vendono meno), le cui tematiche sociali, oltretutto, non riescono troppo gradite ai lettori bonelliani “medi”. Giunge inevitabile la decisione di fermare Gea, il cui orizzonte era ancora indefinito nel 1999, dopo soli 20 numeri, da poco diventati 18. Il ritmo delle storie, di conseguenza, si fa sempre più frenetico a mano a mano che la conclusione delle vicende si avvicina; gli episodi lenti, quasi autoconclusivi che avevano caratterizzato i primi 7-8 numeri lasciano spazio a storie ricche di combattimenti, che si evolvono velocemente finendo con l’emarginare i comprimari, l’umorismo e quell’impegno politico e sociale tanto caro all’autore.
Ma chi è Gea, esattamente? Come è possibile fondere avventura “bonelliana” e politica nella stessa storia? Come termineranno le avventure di questa ragazza?
A prima vista Gea è una comune ragazzina bionda, magra, di circa 14 anni, che vive da sola in un palazzo abbandonato, ma ben tenuto, alla periferia di una grande metropoli (indubbiamente americana, anche se molto italiana per certi aspetti sui quali varrà la pena di tornare); i suoi genitori, a quanto lei stessa racconta, “sono sempre in giro”. Questo non le impedisce di vivere tranquillamente, di frequentare una scuola (una specie di liceo), d’intrattenere delle amicizie, organizzare festicciole, suonare il basso, ascoltare musica… ma è tutto oro quello che luccica? Fin dalla prima uscita, Il baluardo (giugno 1999), il lettore si rende conto, attraverso alcuni sogni – o forse incubi – della protagonista, che i suoi genitori sono morti da molto tempo in uno strano incidente stradale e che un misterioso personaggio, in punto di morte, le ha trasmesso “qualcosa”. La storia non è ancora terminata che già il vero ruolo di Gea risulta chiaro: la ragazzina è un “baluardo”, vale a dire un essere umano dotato di poteri particolari, incaricato dai misteriosi “superni” (angeli, probabilmente) di vigilare sull’integrità del nostro mondo, continuamente minacciato da entità malvagie le quali, sebbene sconfitte moltissimo tempo addietro e ricacciate nella dimensione da cui erano venute, cercano in ogni modo di tornare sulla Terra portando con sé caos, terrore e ogni sorta di creature più o meno mostruose.
Queste entità malvage sono aiutate dalla “Triade”: tre creature demoniache, in grado di assumere sembianze umane, che vivono tra di noi sotto falso nome; una di loro, che diventerà la nemesi di Gea, è la cosiddetta “Ardat-Lili”, che gli umani conoscono come “la Diva”, una famosa stilista di moda: il grattacielo in cui vive in compagnia di un “Rakshasa”, un demone particolarmente pericoloso che le fa da guardia del corpo, è in realtà una specie di “antenna” che le permette di comunicare con altre dimensioni.
In questa prima storia il lettore fa dunque la conoscenza di Gea, del luogo in cui vive, e delle strane creature che l’accompagnano: un gatto (Cagliostro) sulla cui fronte appare una stella bianca ogni volta che un’entità aliena entra nel nostro mondo; tre curiosi folletti che tengono in ordine la sua casa, ma senza farsi notare troppo; e infine un misterioso “zio” che comunica con la nostra eroina per telefono e posta… pneumatica! Questo “zio”, che non si vede mai, sembra il “superiore” di Gea, forse un “superno” o un altro “baluardo”. È lui che le affida incarichi particolari e che le fa arrivare i soldi necessari alle spese di tutti i giorni.
Gea, curiosamente, non sembra mai troppo preoccupata o spaventata dai mostri che deve affrontare: armata di una spada dai grandi poteri (che dissimula all’interno del suo basso), la vediamo spesso girare nottetempo col suo motorino e fare letteralmente a pezzi i demoni più cattivi; se invece incontra delle entità non malvagie, le spedisce in un mondo chiamato “Limbo” per mezzo di una “soglia” che può essere aperta roteando la spada.
Infatti non tutti gli “intrusi” sono pericolosi, e le vicende vissute da Gea ricordano spesso quelle di Men in black: come nel film di Sonnenfeld si incontrano persino alieni che vengono “tollerati”, e a cui la ragazza consente di rifarsi una vita nel nostro mondo. Tra questi, i più curiosi sono probabilmente i “blemi”, privi di testa (ne indossano una finta, altra citazione da Men in black) ma sempre pronti a fornire a “sua eccellenza” (così chiamano Gea) informazioni utili al suo difficile compito.
Insomma, già in partenza la carne al fuoco è molta, e vengono introdotti diversi personaggi che in seguito torneranno più volte: come Paula, compagna di classe di Gea, o Luciana, assistente sociale non troppo convinta delle frottole che le racconta la ragazzina. Soprattutto compare per la prima volta Frank Diderot alias Diddly, agente di una certa “Intelligent Secret Service” a metà strada tra CIA ed FBI, convinto che mostri e demoni che affollano la serie siano degli alieni provenienti dallo spazio, e sempre indaffarato a cercarne inutilmente le prove, come Mulder in X-Files. Purtroppo per lui, in questa serie non c’è l’equivalente di Scully.
Nel primo episodio i “grandi” temi (soprattutto lo scontro tra Bene e Male) vengono appena accennati, ma in compenso fanno subito capolino gli argomenti sociali tanto cari ad Enoch: la pena di morte, applicata nei confronti di uno straniero (in realtà un alieno) che non ha commesso l’omicidio di cui è accusato, è aspramente criticata dall’autore e dai suoi personaggi; il cinismo del governatore, che chiede “quanto ci mette a schiattare?”, dopo che quattro scariche elettriche non sono bastate (ce ne vorranno dieci), è effettivamente rivoltante. Per la gioia dei lettori il coriaceo Slag (questo il suo soprannome) sopravvivrà a ben due esecuzioni e verrà infine spedito da Gea nel Limbo.
Nel novembre 1999 appare la seconda storia, Il corteo di Dioniso: più leggera della prima, ci presenta un gruppo di… satiri (proprio quelli della mitologia greca!) che si dedica a rapire ragazze da mettere incinte. Gea risolve la faccenda convertendo i feti caprini, frutto della violenza, in normali feti umani, dopo di che spedisce nel Limbo gli ingombranti “visitatori”, sulle cui tracce, tuttavia, si è messo anche Diddly: questi, sul punto di documentare l’esistenza dei satiri, viene aggredito da un orso e finisce per smarrire le prove raccolte.
Il corteo di Dioniso è importante soprattutto per l’introduzione di due nuovi personaggi che acquisteranno grande importanza nella serie: Leonardo (Leo), un giovane paralizzato dalla vita in giù, destinato a diventare amico/ragazzo/amante di Gea, e il di lui amico e accompagnatore Sigfrido, omosessuale dichiarato (e orgoglioso), giocatore di hockey, sempre calmo e imperturbabile anche nelle situazioni più difficili o imbarazzanti. Il rapporto fra Gea e Leo si approfondisce nel terzo episodio (Storie di spettri, giugno 2000), quando quest’ultimo, ad insaputa della ragazza, la vede levitare in una stanza. I poteri di Gea, infatti, tendono ad aumentare col tempo, e per la prima volta altri baluardi le chiedono di impegnarsi con loro in un combattimento all’ultimo sangue, dal momento che la Ardat-Lili, nel tentativo di rigenerare dalla decomposizione un malconcio “esarca” (un demone immensamente malvagio) che custodisce nel suo palazzo, ha aperto un varco dimensionale dal quale mostri di ogni tipo, per giunta più pericolosi del solito, cercano di irrompere nel nostro mondo. Gea e gli altri li respingeranno, non senza difficoltà.
Nel novembre 2000 esce il quarto episodio, Madre di violenza, molto più crudo e violento dei precedenti: i temi sociali tornano in primo piano, per via di un improvvisato gruppo di “vigilantes” che si dedica a raid punitivi contro immigrati di ogni razza e colore. Ma quando una delle loro vittime si rivela un’aliena dal brutto carattere, le cose per loro finiscono male. Gea, stavolta, farà ben poco, mentre a sua insaputa la Ardat-Lili e l’esarca da lei custodito continueranno in segreto a tessere le loro trame malvagie. In compenso due nuovi personaggi appaiono sulla scena: il poliziotto Ahmad, a sua volta immigrato libanese, che nel corso delle indagini sui vigilantes avrà modo d’intravedere la nostra eroina in piena azione, e Tara, misteriosa creatura dalle molte braccia che diventerà per Gea una sorta di consigliere spirituale.
Con ogni probabilità l’episodio migliore della serie è il successivo, La via del nero (giugno 2001): per la prima volta compare un baluardo “cattivo”, che agisce per interesse personale e non per devozione alla missione affidatagli. Mentre i poteri di Gea, grazie anche all’uso di certi funghi allucinogeni consigliati da Tara, aumentano ancora (adesso può teletrasportarsi e proteggersi con schermi di energia), il baluardo rinnegato continua a mietere vittime finché i suoi colleghi non mandano un “pesante” (cioè un baluardo specializzato in missioni in cui bisogna solo “menare”) a prendersi cura di lui. Questo personaggio, palesemente ispirato a JOHN BELUSHI sia nell’aspetto che nel carattere, diventa il vero protagonista dell’avventura, che si concluderà con la morte del baluardo “cattivo” e uno scontro fuori programma col Rakshasa, il demone che fa da guardia del corpo alla Ardat-Lili. Nel frattempo Leo continua a scoprire troppe cose sul conto di Gea, e il momento della verità giunge nell’episodio successivo, L’orco (novembre 2001). Gea racconta all’amico di sé e della guerra condotta contro i demoni fin dalla notte dei tempi, spiegandogli le ragioni dei conflitti passati e della difficile situazione presente. Ma a farla da padrone, nella storia, sono nuovamente le tematiche sociali: protagonista in negativo è un anziano medico dedito all’espianto di organi da bambini-cavie, da lui tenuti prigionieri in un lugubre scantinato. Diddly, Ahmad e Gea si ritroveranno, in compagnia di un mostro “buono”, nel covo di questo “orco”, destinato ovviamente a fare una brutta fine.
Nella settima storia, La crociata di Clive (giugno 2002), il protagonista è un ex-militare, specializzato in torture e interrogatori, e ossessionato dal suo passato (soprattutto dal ricordo di una ragazza che ha fatto “desaparecire”) fino al punto d’impazzire. Convinto, e ovviamente non senza ragione, che il palazzo della “Diva” sia un covo di demoni, vi si presenta armato fino ai denti e riesce a compiere una strage prima di venire ucciso. Gea, a sua volta entrata nel palazzo in cerca dell’esarca, approfitta della confusione per ucciderlo nel sonno, lasciando la Ardat-Lili nella disperazione: verrà punita ed espulsa dalla Triade? O peggio?
Il dubbio viene risolto nell’episodio seguente, Dove scorre l’acqua (novembre 2002): la Ardat-Lili viene degradata dagli altri due membri della Triade e ne diventa il meno importante, “Lilitu”; come vedremo, troverà presto il modo di riscattarsi. In questa storia, tuttavia, sono i temi sociali (o meglio ecologici) a tornare in primo piano: l’abbattimento di alcune piante abitate da una comunità di ninfe (le Naiadi), per far posto allo svincolo di un’autostrada, scatena un pandemonio a cui Gea dovrà porre rimedio. Il suo rapporto con Leo intanto diviene sempre più intenso ed intimo, fino a farle scoprire i piaceri sessuali (nonostante il compagno, per via della propria condizione, sia impotente). Ciò accresce ulteriormente i suoi poteri, che ora le permettono di viaggiare tra diversi piani dell’esistenza, talvolta portandovi anche Leo; quest’ultimo, tuttavia, scoperto dagli altri baluardi, rischia di venire ucciso perché a conoscenza del suo segreto. Ad eseguire l’ingrato compito viene addirittura mandato un “eliminatore” (chiaro riferimento a Nikita di LUC BESSON); ma Gea, decidendo di “assumere” ufficialmente Leo come proprio aiutante-schiavo, gli salva la vita.
Si giunge così, nel giugno 2003, al nono episodio, Il figlio del tuono, indubbiamente uno dei migliori: al centro della storia vi è un piccolo circo, dove creature di ogni specie, accudite con fare quasi paterno dal proprietario, si esibiscono in una “freak parade”. Ma una delle creature è un “arconte”, vale a dire un demone ancor più potente dell’esarca ormai defunto; la “Diva”, scopertane la presenza, lo “risveglia” e lo conduce con sé, riconquistando il favore degli altri due componenti della Triade infernale e recuperando il suo rango di Ardat-Lili. Vanamente, stavolta, Gea ed altri baluardi (tra i quali il “pesante” de La via del nero) cercheranno di ostacolare i loro piani: la carneficina che ne conseguirà si concluderà con la morte di uno di loro, mentre i “freak” superstiti finiranno nel Limbo.
L’intruso, del novembre 2003, vede l’incontro fra Ahmad e Diddly, che alla fine di una storia ricca di sorprese, specialmente per il primo, cominceranno a collaborare. L’intruso del titolo è un mostro un po’ particolare che, analogamente a quanto avviene ne L’alieno (film citato esplicitamente da Diddly), può introdursi all’interno di un cadavere facendolo resuscitare (ma solo in apparenza). In realtà il mostro, che Gea spedirà nel Limbo, non è affatto cattivo: i veri mostri sono degli spacciatori di droga che sfruttano gli emarginati di un quartiere nero, e fanno la consueta brutta fine. La storia, che curiosamente alterna momenti di umorismo surreale ad altri decisamente “splatter”, vede Gea e Leo avere il primo rapporto sessuale completo (forse perché qualcuno ha ricordato a Enoch che un paraplegico non è impotente), e infine recarsi nel “Limbo” in compagnia di Sigfrido –che a sua volta ha scoperto quasi tutto sul conto di Gea – e di un suo amico malato di AIDS, che in questo modo può morire serenamente.
A partire dall’episodio seguente, Il baluardo impazzito (giugno 2004), gli eventi cominciano a precipitare e la trama a incupirsi, mentre l’umorismo si fa più raro. Il baluardo del titolo non è affatto impazzito: è solo uno che ha scelto di non combattere più le entità aliene; altri baluardi, dopo aver preso Gea con loro, decidono pertanto di eliminarlo. Nascono qui i primi dubbi, le prime avvisaglie di qualcosa che “non va”: è proprio vero che i baluardi servono il bene e che gli “intrusi” sono tutti cattivi? Dal comportamento dei colleghi di Gea, anche se non tutti, si direbbe il contrario; e a mano a mano che i poteri della ragazza aumentano, cominciano ad apparirle in sogno (o in trance) strane visioni di un passato remoto, che forse nascondono una verità diversa. In qualche modo la frattura viene ricomposta, ma non senza che certe vecchie ruggini siano tornate a galla: è interessante scoprire, in questa occasione, che le molte streghe finite sul rogo per mano dell’Inquisizione altro non erano che baluardi donne, ritenute, dai loro spietati colleghi di sesso maschile, troppo indulgenti con le entità intrusive e per questo accusate di venire a patti col demonio.
Nel frattempo la situazione si complica anche per Diddly ed Ahmad: il primo scopre di essere egli stesso un alieno (ecco l’inconscio motivo della sua ossessione), e mette il secondo al corrente della sua agghiacciante scoperta: la presenza di un “fratello” che ogni tanto gli esce dalla pancia (citazione dal film Atto di forza). Contemporaneamente, l’arconte trovato dalla Ardat-Lili nel nono episodio comincia la sua maturazione… Che la decisione di chiudere Gea col ventesimo numero sia già stata presa? In ogni modo è chiaro che Enoch si sta muovendo in questa direzione.
Nel dodicesimo episodio, Il libro dei segreti svelati (novembre 2004), è in effetti evidente che la storia di Gea si sta avvicinando al momento culminante: l’arconte, ormai maturo, viene attaccato invano da tre baluardi, due dei quali rimangono uccisi, mentre la Ardat-Lili e il Rakshasa riescono a impadronirsi di un libro (quello a cui fa riferimento il titolo) che rivela il luogo in cui dorme il “Leviatano”, un essere mostruoso di incredibile potenza che solo l’arconte può ridestare. Vanamente Gea, un po’ aiutata, un po’ ostacolata da Ahmad e Diddly (ormai diventato un pezzo grosso dell’ISS dopo aver trovato e “venduto” ai suoi superiori altri alieni simili a lui), cerca d’impedire che il libro finisca nelle mani sbagliate. Intanto, dei temi sociali e dell’umorismo sempre presenti nelle prime storie non c’è quasi più traccia; persino Leo, ormai ridotto a “schiavo sessuale” della ragazza, non ha più l’importanza di prima. Sigfrido, Paula e gli altri comprimari sono diventati solo delle comparse.
La tendenza si accentua ancora nel tredicesimo episodio, La rottura del sigillo (giugno 2005), in cui l’arconte riesce a compiere la sua missione e liberare il Leviatano, una specie di verme gigante che si trovava sepolto nell’Antartide. Prima di ciò, a casa di Gea si riuniscono moltissimi baluardi, “pesanti” compresi, sotto la guida degli “scalzi”, degli esseri incappucciati e spietati che organizzano un attacco contro la Triade: il Rakshasa verrà ucciso a mani nude dalla stessa Gea, mentre gli scalzi cattureranno e uccideranno, dopo averla torturata, la “Lilu”, il demone a capo della Triade. Ma ormai, rotto il “sigillo” che teneva rinchiuso il Leviatano, la situazione volge al peggio: Gea, i cui poteri sono diventati immensi, viene scelta per recarsi con la sola scorta di due “pesanti” (uno dei due è sempre il “Belushi” apparso per la prima volta ne La via del Nero) in Antartide, allo scopo di chiudere il “portale” apertosi con la liberazione dell’enorme mostro; sarà una missione suicida? Mentre Diddly e Ahmad, che si sono vagamente resi conto di cosa sta succedendo, si dirigono a loro volta verso il Polo Sud, creature di ogni genere, non più controllare dai baluardi, invadono il mondo…
Da poco (novembre 2005) è uscito il quattordicesimo e quintultimo episodio della serie, Il crollo del portale: Gea e i due “pesanti” che la accompagnano raggiungono l’Antartide a cavalcioni di un grifone e, mentre i suoi accompagnatori tengono a bada i mostri che hanno invaso i dintorni del “portale” (un vulcano in eruzione), la ragazza raggiunge l’arconte e lo uccide. Intanto Diddly e Ahmad cercano faticosamente di seguire gli avvenimenti da una portaerei in navigazione, ma il comandante in seconda (un baluardo “in sonno” che non sembra molto in sintonia con i colleghi) lancia un attacco missilistico contro l’Antartide, attirando su di sé la vendetta di un demone particolarmente cattivo. Recuperata dai “pesanti” una Gea più morta che viva, restano ancora milioni (!) di mostri da eliminare prima di risolvere la situazione una volta per tutte…
Ancora due anni e sapremo se le vicende di questa ragazzina fotofobica (come tutti i baluardi) si concluderanno con l’inevitabile carneficina su scala planetaria, o se qualche colpo di scena dell’ultimo momento ci serberà una conclusione inattesa. Valutare la serie, in questa fase intermedia, non è cosa semplice; tanto più che ai toni leggeri della prima parte, all’umorismo surreale e ai temi sociali, politici ed ecologici delle storie iniziali si sono sostituiti scontri apocalittici, massacri, cataclismi e chi più ne ha più ne metta. E, a ben guardare, questa schizofrenia è il vero problema che affligge la serie: i contenuti sociali cari ad Enoch convivono con un’ambientazione fantasy straordinariamente ricca di particolari, ma senza mai fondersi pienamente in una trama coerente e appassionante. Ogni volta assistiamo così al dipanarsi di quelle che sembrano due storie in una, con pochi o nessun elemento di contatto, e con la protagonista che, quasi risentendo in prima persona di una trama così lacerata, appare totalmente indifferente agli eventi che la circondano. E così questa quattordicenne tormentata da un senso di inferiorità fisica (si lamenta continuamente di essere “piatta”), e ciò nonostante sessualmente scatenata, mutila, tortura, uccide e disintegra senza problemi uomini, alieni, demoni, amici e nemici. Le sue reazioni si riducono a un “keskifo” – come quando, in una scena dall’umorismo macabro e surreale, cerca di recuperare un orribile mostro insettiforme (L’intruso) dall’interno di un corpo umano ridotto a brandelli – o, al massimo, al vomitare la colazione (facendo notare ai colleghi i cornflakes che aveva mangiato) dopo aver ridotto il Rakshasa a una poltiglia di ossa sanguinanti e carbonizzate. È vero che talvolta sembra avere dei dubbi, che gli “scalzi” de La rottura del sigillo sono da lei paragonati ai nazgul tolkieniani, che ne Il baluardo impazzito cerca di opporsi alla follia omicida di alcuni suoi colleghi, e infine che non uccide mai senza motivo e preferisce spedire gli intrusi nel Limbo piuttosto che sopprimerli, ma tutto questo suona sempre artificioso, forzato, così come artificiosi sono i temi sociali che appaiono inseriti a forza all’interno di vicende con cui non hanno nulla in comune e che, traboccanti moralismo da ogni pagina e spesso scontati nelle conclusioni, diventano più fastidiosi che coinvolgenti.
E ancora schizofrenica, come se non bastasse il resto, è l’ambientazione della serie: come già accaduto con Sprayliz, Enoch non ha il coraggio di usare l’Italia come sfondo delle sue storie, e preferisce far vivere Gea in una generica metropoli americana. C’è la pena di morte, ci sono governatori e servizi segreti, ma tutto il resto trasuda Italia (e Milano in particolare) dalla prima all’ultima vignetta, dai nomi dei protagonisti (Gea, Leonardo, Sigfrido, Luciana), dall’aspetto dei palazzi e delle strade, dal latino insegnato in quello che dovrebbe essere un “liceo” americano, dagli onnipresenti centri sociali, dalla nazionalità degli immigrati (rigorosamente slavi o nordafricani piuttosto che cinesi o messicani), fino alle ideologie dei vigilantes (che sanno più di Lega che di Ku-Klux-Klan).
L’impressione che si ricava da questo incredibile miscuglio di idee e personaggi è che Luca Enoch – un bravo autore, intendiamoci – non abbia ancora trovato la sua strada e non riesca a integrarsi pienamente – ma neanche a rifiutarlo – nel mondo del fumetto all’italiana, dominato da sempre da temi strettamente avventurosi, in cui umorismo, politica e donne in ruoli importanti faticano a vendere e a fare scuola. Quello che emerge dalla lettura di Gea è invece un autore quasi “alla francese”, abile nel documentarsi, pignolo fino alla pedanteria nell’esporre i dettagli delle sue trame, dotato di immaginazione e capace di pensare in grande come pochi, ma ciò nonostante non ancora maturo e quindi incapace di sfruttare al meglio le sue capacità nella realizzazione di storie complesse e avvincenti. Umorista fine, forse troppo per i palati nostrani, appare da un lato sprecato per una testata bonelliana, ma dall’altro troppo sopra le righe nel volgere continuamente in grottesco certe situazioni: rimane comunque un disegnatore eccezionale, molto al di sopra della media, assolutamente non incline alla fretta e ai compromessi, espressivo e dinamico come pochissimi, padrone del bianco e nero, abilissimo con la grafica computerizzata e con l’uso dei retini (che utilizza, retini e PC, per disegnare sfondi).
In conclusione? Tra vent’anni, senza dubbio, nessuno ricorderà Gea. Non si tratta di un fumetto destinato a segnare un’epoca, non rinverdirà i fasti di Martin Mystere e tanto meno quelli di Tex o Dylan Dog. C’è ancora, tuttavia, la possibilità che riesca almeno a tracciare una strada, ad aprire il campo a temi fantasy che raramente vengono esplorati, qui da noi, e che pure avrebbero molto da dire e molto materiale a cui attingere. Per non parlare dell’impegno (politico, sociale, ecologico) che caratterizza tutti i fumetti di Enoch, e che in Italia non ha mai attecchito seriamente, se escludiamo le nicchie in cui sono rinchiusi autori come Altan o Staino. È un impegno di cui ci sarebbe un gran bisogno, in un’epoca che considera il ‘68 una specie di leggenda metropolitana e in cui si va a votare sempre di meno; forse la casa editrice Bonelli non è lo stagno più adatto, ma intanto il sasso è stato gettato.
Quattro numeri ancora, ventidue mesi scarsi (da quando questo articolo vedrà la luce): come diceva Dumas, non ci resta che attendere e sperare.