George è un cavaliere che se ne torna dalle crociate in compagnia del moro Tarik. Mentre quest’ultimo è diretto in Spagna alla ricerca di un famoso mercenario, El Cabillo, George rientra nella sua Inghilterra desideroso di ritirarsi in una tenuta a passare il resto dei suoi giorni come possidente terriero. Giunto a casa, George riabbraccia l’anziano padre, trovandolo però mutilato delle gambe; il vecchio afferma di essersi ridotto in quelle condizioni combattendo contro un drago.
Il racconto lascia George perplesso, e i dubbi permangono fino a quando, dopo essersi recato da Re Edgaar per comperare della terra, e aver lì appreso che la figlia del sovrano, Lunna, è scomparsa, egli si aggrega al gruppo destinato a cercarla. Non immagina che la principessa, scappata volontariamente per non maritarsi con il cavaliere Garth, durante la fuga si è imbattuta proprio in un drago e nel suo uovo…
FENDENTE, PARATA IN CONTRASTO… ODDIO, DOPO CHE C’È?
Sembra d’essere saliti sulla macchina del tempo, e piombati… no, non nel Medioevo, ma in un film in costume degli anni Cinquanta, in un chiassoso parco tematico americano oppure in una sagra paesana ispirata alla lontana all’Età di mezzo. Nel film George and the Dragon (2004) domina il kitsch, ogni scena esaspera gli elementi più appariscenti dell’immaginario hollywoodiano medievale, sacrificando ad essi ogni verosimiglianza o coerenza.
Le vistose scenografie sono di cartapesta. Gli interventi della grafica computerizzata sono minimi, limitati di fatto ai draghi. È un Medioevo da fiaba, con costumi coloratissimi e appariscenti che mescolano epoche e stili con facile disinvoltura; altrettanto avviene per le armature, che riassumono trecento e più anni di evoluzione tecnologica militare, indossate giorno e notte come si trattasse di pratiche t-shirt, e senza protezioni imbottite per non rendere la figura meno fotogenica. Perfino il vecchio padre, costretto su una specie di sedia rotelle, indossa il suo usbergo! Le spade sono lucide in ogni occasione, prive di tacche o segni d’usura, come appena uscite dalla forgia; qualche lama ha fattura fantasy, con l’elsa in metallo dorato come carta da cioccolatini, mentre su altre s’intravede il marchio di fabbrica.
I combattimenti sono spettacolari, come è giusto che sia, ma hanno il sapore inverosimile delle risse di Bud Spencer e Terence Hill. I protagonisti reagiscono in ritardo ai colpi, sbattono la lama di piatto o la fanno vorticare in aria, involontariamente goffi, come se avessero dimenticato la sequenza di attacchi e parate della coreografia e, incapaci di improvvisare, cercassero di farsela tornare in mente. Mentre le controfigure si sfidano con arte, i nostri eroi ricordano l’episodio medievale di Superfantozzi.
Il montaggio rimedia in parte alle inesperienze, ma ad una seconda visione viene da rimpiangere il buon Errol Flynn Jr che, come Fred Astaire, imparava le coreografie e non voleva che l’abilità del montatore si sostituisse alle sue capacità interpretative. Quanto alla recitazione dei protagonisti, c’è da accontentarsi, o strozzare la principessa.
MENTALITÀ FUORI EPOCA
Il film ricorda le pellicole del passato anche nella pretesa di attribuire a personaggi di un’epoca tanto lontana la mentalità di uomini e donne del terzo millennio. Di introspezione se ne vede poca, e il comportamento dei protagonisti segue stereotipi importati dall’ottica contemporanea.
George, per esempio, ha pochi pregiudizi nei confronti del moro Tarik, e la gente non si spaventa a vedere un nero gigantesco, come se i paesani di un villaggio inglese fossero cresciuti in una società multietnica; sarà forse passato Robin Hood con Azeem a dargli qualche ragguaglio. Poi un nobile cavaliere che preferisce lo status di villico benestante al proprio, o che reagisce con noncuranza alla perdita di spada e cavallo, e rimarca le sgradevolezze del maneggio delle armi anziché declamare con orgoglio i valori della cavalleria… o un giovane arciere popolano che aspira a diventare nobile, o ancora una principessa ecologista e capricciosa che pretende di scegliersi lo sposo: tutte cose poco realistiche in un vero Medioevo.
Quanto al lato fantastico, riguardo i draghi George non farà quanto da secoli ci raccontano le tele dipinte, si capisce non appena si vede l’uovo.
La conclusione è altrettanto fuori epoca: le rare donne in armi o erano nobili che difendevano in prima persona le proprietà, o facevano parte di eserciti mercenari, e facevano di tutto pur di sembrare maschi e mimetizzarsi col resto della truppa!
La leggenda di San Giorgio e il drago è qui rielaborata, avvicinata alla sensibilità moderna, ma purtroppo è anche privata di tutti quei significati che l’umanità del tempo le attribuiva. Si assiste insomma a tutta una serie di situazioni improbabili.
FANTASY PER BAMBINI
Uno dei maggiori pregi di George and the Dragon è comunque la mancanza di pretese rispetto a titoli famosi. Fin dalle prime inquadrature lo spettatore è avvisato: trascorrerà un’ora e mezza in un mondo fiabesco, verrà intrattenuto con garbo, uscirà dal cinema rassicurato e felice. In questo senso, il regista Tom Reeve assolve pienamente il suo compito, crea un onesto B-movie che si preoccupa poco di essere tale. La pellicola funziona grazie al ritmo vivace e a una buona dose di ironia e sentimento. Le gag abbondano, forse per differenziarsi da altri fantasy che si prendono molto sul serio.
Il regista usa un linguaggio semplice, e si limita ad inserire qua e là citazioni da Robin Hood – Principe dei ladri, Dragonheart, Shrek… riferimenti in realtà troppo espliciti per stuzzicare l’interesse dei cinefili.
La trama è lineare, non ci sono parolacce o violenza estrema, quasi fosse un film rivolto a bambini e ragazzi. Le battute non sfiorano i toni della parodia, risparmiando oscenità e doppi sensi, l’umorismo è leggero e innocuo. Probabilmente l’intento è di divertire tutta la famiglia, e il regista compie ogni scelta possibile per venire incontro anche ai più piccoli. George and the Dragon viene presentato come un film per tutti.
I combattimenti passano da toni seri e impacciati, a sgangherate mischie. La violenza è privata delle sue sgradevoli conseguenze. I protagonisti sono interpretati da attori di bell’aspetto, che accontentano l’occhio adulto.
Il finale vede George e Lunna fuggire verso nuove avventure: forse è la trovata più bella di tutta la pellicola, finalmente trasgredisce alle solite conclusioni stereotipate e lascia ai due il compito di divenire eroi, invece di invecchiare in un piccolo feudo, oppressi dalla noia e dai ricordi di giorni migliori. Una conclusione che compiace anche i più piccoli… e non perdete i titoli di coda!
In ultima analisi George andthe Dragon è un pastiche recitato alla meno peggio, condito da pochi effetti speciali datati, ma è anche uno dei rari casi in cui un regista prova davvero a rivolgersi ai più giovani, senza scendere a troppi compromessi con il gusto adulto. Scorre e si lascia vedere, a patto di nutrire nei suoi riguardi aspettative eccessive.
Tit. originale: George and the dragon
Anno: 2004
Nazionalità: USA
Regia: Tom Reeve
Autore: Tom Reeve, Michael Burks (scritto da)
Cast: James Purefoy (George), Piper Perabo (Principessa Lunna), Patrick Swayze (Garth), Michael Clarke Duncan (Tarik), Bill Treacher (Elmendorf), Jean-Pierre Castaldi (Padre BernardRollo Weeks (Wryn), Paul Freeman (Sir Robert), Stefan Jürgens (Bulchar), Phil McKee (McNally), Caroline Carver (Sorella Angela), Simon Callow (Re Edgar), Joan Plowright (Madre Superiora)
Fotografia: Joost van Starrenburg
Montaggio: Misch Bervard, Jonathan P. Shaw
Musiche: Gast Waltzing
Rep. Scenografico: Peter Powis (Production Design) | Keith Slote (Art Direction) | Colin Thurston (Set Decoration)
Costumi: Uli Simon
Produttore: Todd Moyer, Romain Schroeder | Alex Marshall (co-produttore ed esecutivo) | Michael Cowan, Jan Fantl, Jason Piettem (co-produttore) | Adam Betteridge, Michael Burks, Frank Hübner, Omar Kaczmarczyk, David Rogers, Jeremy Saunders, Steven Saxton (esecutivi) | Meinir Stoutt (di linea)
Produzione: Centurion, ApolloMedia Distribution, Ravenhouse Entertainment, The Carousel Picture Company