In nome di Dio
le anime impure dei morti viventi
siano condannate alla dannazione eterna.
Amen.
Se da un lato vi ritrovate un tipo che pare la copia sputata di Boy George, e se dall’altro ci mette del suo un altro tizio non ben definito in abiti da prete, ci sono ottime possibilità che in seguito ad inspiegabili eventi fantascientifici siate ritornati agli albori della disco dance anni ottanta. L’opzione “effetto allucinogeni” è da considerarsi.
Sicuramente il fatto che un specchio non farebbe altro che confermare la prima ipotesi non è d’aiuto: una mise da poliziotta sexy vi calza come un guanto. Eppure non state cantando YMCA. Vi chiamate Victoria e francamente la disco dance è l’ultimo dei vostri pensieri: si dà il caso che stiate per raggiungere il mondo dei più.
È logico che, a conti fatti, l’unica soluzione plausibile al rebus si celi in una parola: giapponesi. Perché solo loro possono essere architetti di realtà fantastiche tanto pittoresche, e rendere accattivante e di spessore un fotogramma o una tavola con un protagonista vestito di pizzi e merletti e cappello a falde larghe (insomma, il Boy Gorge di poco fa). Il nome di quest’ultimo poi è tutto un programma, “Alucard”, che segue la stessa filosofia della scritta sul cofano dell’ambulanza, con una sottile differenza: se v’incontrate prima col tipo tutto trine, l’aznalubma non vi serve più.
È ben armato, ignora totalmente la pietà e disconosce sua sorella misericordia; è di natura sanguinaria poiché non potrebbe essere altrimenti: è rossa come l’abito che indossa la sua ragione di non-vita, il sangue. L’Impalatore ha da tempo messo su casa in quel di Londra… anche se si fa per dire, visto che egli è in ogni luogo (come la sua nemesi del resto).
ORDER 01: Il dono della sintesi?
Sono passati diversi secoli da quando Alucard non era ancora Alucard e la Transilvania non conosceva gli abusivi dalle metodiche decisamente poco ortodosse in campo trasfusionale. Ma tutto ciò non ci è dato saperlo visto che lo STUDIO GONZO, riprendendo le pagine del manga di HIRANO KOTA, ci tiene ad allontanare il più possibile l’icona Dracula dal suo anime che, con grande amarezza di chi qualche immagine e qualche parola in più l’avrebbe di certo gradita, sintetizza troppe cose in tredici episodi da venticinque minuti l’uno. Fortunatamente di questa netta decurtazione non è stata vittima la qualità tecnica del prodotto che si esprime in molteplici sfaccettature. L’animazione non gode di troppo vitalismo, è piuttosto statica, ma l’uso intelligente di cromatismi altamente descrittivi fa perdonare tale mancanza. Dominano toni cupi, dove l’unico guizzo di luce è dato da un rosso invadente che tende a rafforzare i momenti significativi che vedono interessati i protagonisti. Una menzione d’onore va riservata al vero tocco di classe da parte dei realizzatori: il commento sonoro, un parto ben riuscito dal primo all’ultimo episodio. Ogni puntata si apre con la stupenda Logos Naki World, che passa comunque in secondo piano se paragonata alla sigla finale, Shine, firmata Mr. Big. Una colonna sonora rock ben articolata fa da spalla ad ogni scena splatter dell’anime; ogni battuta musicale diviene un valore aggiunto alle azioni dei personaggi che, in questo modo, riescono a trovare un limbo felice tra le sbarre invisibili dell’afonia date dalle pagine di un manga e la riduzione troppo drastica attuata dalla produzione televisiva. E con Hellsing si divertiranno non poco quelle orde estremiste di estimatori delle V.O.S. (voci originali sottotitolate), poiché pare che in Italia non vi sia uno straccio di doppiatore che abbia deciso di prestare la propria voce al diavolo, il che è semplicemente un eufemismo per dire che i diritti dell’anime sono stati acquistati, ma che per motivi di censura (voci di corridoio) le nostre emittenti televisive tentenneranno ancora un bel po’ prima della messa in onda. Solo Mtv, in tempi recenti, in occasione di una giornata dedicata all’animazione nipponica si è concessa uno strappo alla regola trasmettendone un assaggio. Oltre a questo per ora niente di nuovo sotto il sole.
ORDER 02: Uomini A Caccia di Vampiri… e Di Altri Uomini
Sicuramente non è facile condensare in tredici episodi un intreccio complesso come quello che Kota ha regalato ai lettori di tankobon, proprio per questo il personaggio apparentemente secondario di Seras Victoria è la chiave narrativa più adeguata nel fare da tramite tra lo spettatore e la vicenda. Ne consegue che per tutto l’anime sarà attraverso i suoi occhi che la trama acquisirà a mano a mano un senso. Chi meglio di un’umana vampirizzata sotto i nostri occhi può introdurci in questo vortice di violenza? Sarà proprio Alucard ad “abbracciarla”, sottraendo la giovane poliziotta all’uccisione da parte di un vampiro avversario. La metamorfosi della ragazza si rivelerà intimamente dolorosa, poiché doloroso sarà dover scendere a patti col proprio lato bestiale: una vera violenza auto inflitta bere il primo sorso di sangue per non cedere al sonno mortale… nell’accezione umana del termine.
In più occasioni Victoria avrà modo di mostrarci il forte legame col proprio maestro, e di farsi leggere negli occhi, ormai iniettati di sangue, il disappunto nello scoprire un vampiro di secolari origini alla mercé degli uomini.
Alucard, nel presente, è infatti un vampiro “addomesticato” che presta il suo potere e i suoi servigi alla corona britannica con meticolosa dedizione. In realtà egli serve solo la propria padrona, legato a lei da un patto di sangue stabilito in tempi passati. Lady Integra, l’altra metà di quel patto, ultima discendente del casato degli Hellsing da sempre cacciatori di vampiri, è a capo di un’organizzazione paramilitare che, perpetuando le abitudini dei natali, sfoggia grande professionalità e nessun segno di umanità… quasi fosse un demone a sua volta. La sua freddezza fa da contrappunto alla spontanea simpatia suscitata dal maestoso Alucard.
Forse merito degli abiti azzardati e delle enormi pistole magnificamente brandite, o forse per l’alone di mistero e malinconia che lo avviluppano, certo è che il risultato si esprime in un carnefice impietoso indicibilmente travolgente.
“Mostro!” gli inveiscono contro; e col sorriso a fior di labbra ecco il suo sussurro: “Me lo dicono spesso!”
Il resto è sangue, versato non tanto per il bene dell’umanità, quanto piuttosto in nome di un fondamentalismo che è dolorosamente vecchio quanto antica è l’umanità stessa, quello religioso. Lady Integra, coadiuvata dal suo esercito, non si fa solamente carico di una battaglia contro i vampiri, ma si auto elegge paladina di un protestantesimo portato all’esasperazione, tanto che ogni sua frase termina con un formalissimo “Amen”.
Non è da meno la sua controparte, rappresentata dalla fazione cattolica inviata dal Vaticano per direttissima, gli “Iscariota XIII”, che annoverano tra le proprie fila preti decisamente sopra le righe, più simili a dei Terminator di ultima generazione che a ministri del culto.
In questo fanatismo estremo è tacitamente nascosta la sintonia che nasce e si alimenta scena dopo scena tra lo spettatore e il feroce braccio destro dell’Hellsing: come rapportarsi ad uomini che in nome di Dio pensano di meritarsi il cielo scannandosi vicendevolmente? Scegli il male minore, scegli il demone, che se deve commettere peccato mortale per lo meno lo fa per una causa divina: se stesso.
ORDER 03: Servo Di Nessuno
In troppi “Amen”, in tante croci portate al collo come simbolo di un dogma più dovuto che sentito n nel profondo, nelle parole incise sull’arma del protagonista (Jesus Christ Is In Heaven Now), vi è l’anticamera della beffa di cui cadono vittime tutti i personaggi, dal primo all’ultimo: unico superstite è lo “schiavo”, ormai ad un passo dal potersi liberare di quelle catene invisibili che lo legano all’uomo.
L’errore per l’ennesima volta è di umana fattura: il pensare di combattere il male sfruttando il male stesso come arma. È la dipartita l’unica conclusione immaginabile, perché il fine non giustifica i mezzi, perché Lady Integra si trova costretta a lasciar libero Alucard di far uso indiscriminatamente di ogni suo potere, perché Londra viene quasi rasa al suolo, perché soccombe ogni religione e amor di patria quando troppa violenza si rivela epidemia incurabile che infetta ogni anima…
La sola anima che non può infettarsi è quella che non c’è, è quella che dalla violenza è costretta da 567 anni a trarre la propria linfa vitale, è quella che in uno dei fotogrammi finali ci dice la verità, tutta la verità: Alucard è…
Forse una cosa sola non è stato mai: servitore di uomini.
Ecco il motivo di un abito troppo vistoso e di un paio di lenti opache che coprono lo sguardo: occhi che ridono di una realtà che non ha bisogno di essere vampirizzata, perché il proprio sangue lo versa spontaneamente, a fiumi; abiti che si prestano a sorrisi, o che più probabilmente irridono alla commedia umana, spettacolo esilarante per chi ha capito che si vive anche da non-morti esattamente come si sogna: da soli.
Resta la sensazione che un Alucard precettore avrebbe potuto insegnare tanto di più se non fosse intervenuto il bavaglio di una produzione partita in quarta e poi colpevole d’aver ritirato i remi in barca così in fretta. Troppa carne viene messa al fuoco per poi non offrire risoluzioni di nessun tipo all’attenzione di uno spettatore febbricitante per il dolcetto appena sventolatogli in viso.
Nei primissimi episodi si fa conoscenza con i personaggi e si è deliziati dalla superba caratterizzazione che li contraddistingue; in quelli centrali le numerose scene d’azione cedono il passo ad un continuo “già visto”; ma nelle ultime ore l’anime si sviluppa in un crescendo narrativo ricco di fitti spunti da approfondire… E, come quando il gatto salta sul telecomando al momento del calcio di rigore… si resta a bocca asciutta. Si intuisce un qualche accenno al nazionalsocialismo, si parla di traditori da scovare e poi scovati, ma nulla più; si introducono figure complesse per poi dimenticarle dove non si sa. Domina un senso di ”avremmo voluto ma non abbiamo potuto”. E allora? E allora svelti a nascondere la mano per non mostrare d’aver lanciato il sasso!
L’amaro in bocca resta indubbiamente, ma se non rimanesse nulla sarebbe ancora peggio.
Getta una salda ancora la bella invenzione di un mostro che si lascia amare, vuoi per il grande cappello, vuoi per le sue armi surreali, o di più per quell’ironia con la quale ride in faccia alla morte, che si tratti della sua o quella delle sue vittime poco importa. Più un esorcista che un vampiro, un demone che esorcizza il demone più grande: l’estrema dipartita.
[Grazie quindi agli anarchici di Internet che con meticoloso lavoro permettono che prodotti di nicchia come quello in questione possano essere apprezzati fino in fondo; riguardo al lato sottotitoli bisogna appellarsi alla correttezza dei curatori che però ci danno modo di godere fino in fondo dell’efficacia espressiva delle voci giapponesi dei protagonisti alle quali ci si affeziona dopo un paio di minuti, quella di Alucard in primis.]