Hook - Capitan Uncino

Hook – Capitan Uncino

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Peter Banning (ROBIN WILLIAMS) è un orfano che con fatica è riuscito a costruirsi una brillante carriera da avvocato. Negli ultimi tempi, proprio a causa del lavoro, sta trascurando la moglie Moira (CAROLINE GOODALL) e i figli Jack (CHARLIE KORSMO) e Maggie (AMBER SCOTT). Durante una visita a Londra a nonna Wendy (MAGGIE SMITH), la donna che lo ha allevato, Jack e Maggie vengono misteriosamente rapiti. Gli unici indizi lasciati dai rapitori sono un coltello e una pittoresca pergamena firmata “Jas. Hook, Captain”.

Wendy decide così di rivelare una sconcertante verità: il Capitan Uncino (DUSTIN HOFFMAN) della celebre fiaba di “Peter Pan” non è un nome di fantasia, si tratta veramente del pirata che dimora sull’Isola Che Non C’è, e il motivo per cui ha rapito i ragazzi è costringere Peter a tornare sull’isola per concludere il loro duello. Banning, che non ricorda assolutamente nulla del proprio passato, rifiuta l’idea di essere proprio lui Peter Pan. Non lo convince nemmeno la venuta di Campanellino (JULIA ROBERTS), giunta dall’isola a chiedere il suo aiuto.

Per amore di Peter e per salvare Jack e Maggie, alla fata non resta allora altra scelta che immobilizzarlo magicamente e trasportarlo in volo fino alle spiagge di Neverland, l’Isola Che Non C’è.

Dopo un brutto risveglio, Banning tenta di intrufolarsi tra i pirati camuffandosi come uno di loro, e con un pizzico di fortuna riesce a individuare Jack e Maggie: le esche perfette per la trappola confezionata dal perfido Capitano. A quel punto l’avvocato esce allo scoperto rivelando la propria identità.

Uncino non crede ai suoi occhi: la sua nemesi, il nemico con cui combatte da sempre, si è ridotto a un debole uomo di mezza età. Che fine ha fatto l’eterno ragazzo Peter Pan capace di tenere sulla corda un’intera ciurma di pirati? Deluso e disgustato da quella scoperta, il Capitano sembra sul punto di eliminare tutti e tre i prigionieri gettandoli in pasto ai pescecani, ma Campanellino riesce a risvegliare il suo “appetito” promettendogli di trasformare, in soli tre giorni, quel bolso avvocato nel Peter Pan che lui ricordava, e a prepararlo per il duello finale.

Così Banning, dopo tanto tempo, si trova nuovamente in mezzo ai Bambini Sperduti che aveva a lungo comandato; in tre giorni di folle e duro lavoro dovrà superare la loro diffidenza, soprattutto quella del loro nuovo capo Rufio (DANTE BASCO), e recuperare lo smalto perso.

Contemporaneamente sul Jolly Roger, il vascello di Uncino, il pirata Spugna (BOB HOSKINS) deve tenere a bada la depressione del Capitano nutrendo il suo ego con ogni sorta di sordida malvagità. Un’idea particolarmente perfida restituisce l’entusiasmo a Uncino: utilizzare quei tre giorni per minare la fiducia di Jack e Maggie nei confronti dei genitori, dell’amore che questi ultimi provano per loro, allo scopo di subentrare, lui, come guida, come padre putativo e unica persona veramente degna della loro devozione. Quale sconfitta più cocente di questa potrebbe mai sperare di infliggere al suo acerrimo nemico?

Intanto, poco per volta, Peter recupera la memoria. I luoghi, gli odori, i suoni risvegliano in lui la consapevolezza di ciò che un tempo era stato.

Nonostante gli sforzi profusi, l’avvocato fatica tuttavia a recuperare la sua antica capacità di volare. Ci riesce solo grazie a Campanellino, che gli ricorda che il segreto per staccarsi da terra è aggrapparsi a un “pensiero felice”. Banning riscopre quello che nella sua vita ha veramente importanza: Jack e Maggie, i suoi figli, sono loro il suo pensiero felice. Diventare padre è stata la sola ragione per cui ha deciso di lasciare Neverland. Aggrappato a questo pensiero, riacquista i suoi poteri.

Bangarang! La battaglia ha inizio.

Alla guida dei Bambini Sperduti, Peter Pan si lancia contro la ciurma di Uncino. Ma, mentre lui libera Jack e Maggie dalle grinfie del nemico, Rufio affronta il Capitano e viene ferito a morte.

Spinto dalla rabbia e dalla consapevolezza che, finché avrà vita, Uncino non lo lascerà in pace, Peter affronta il rivale in un ultimo duello. Il Capitano, nemico di tutta una vita, viene sconfitto e “ingoiato” dall’enorme coccodrillo – ormai impagliato – che in gioventù gli aveva strappato una mano.

La genesi del personaggio coincide con la sua fine: costringendolo a portare la protesi a forma di gancio, era stato lo stesso coccodrillo a trasformare in Uncino – sia “fisicamente”, sia in senso metaforico piegandone l’indole all’odio – un uomo in precedenza chiamato James.

Conclusa la battaglia e riportato nel suo mondo, Banning si risveglia ai piedi della statua di Peter Pan nel bel mezzo di Kensington Garden. Ha appena il tempo di salutare Campanellino un’ultima struggente volta, prima di tornare finalmente dalla sua famiglia, con la piena consapevolezza di ciò nella sua vita ha davvero importanza.

Il film, giudicato con durezza sia dagli esperti del genere che dalla critica, ha raccolto un ottimo consenso di pubblico incassando oltre trecento milioni di dollari in tutto il mondo e diventando uno dei blockbuster di maggior successo tra quelli girati da STEVEN SPIELBERG.

Sul versante attori niente di memorabile, né da parte di Dustin Hoffman, né da quella di Robin Williams. La migliore recitazione è di Bob Hoskins, capace di caricare Spugna di una malvagità arguta e al contempo quasi volgare, di cui si perde invece traccia nella maggior parte delle altre trasposizioni cinematografiche.

Stridente e delizioso il contrasto voluto dal produttore FRANK MARSHALL – che la scelse anche per questo motivo – tra la Julia Roberts apparsa soltanto pochi mesi prima nelle sale cinematografiche nel ruolo di una prostituta avvolta da una succinta minigonna blu (Pretty Woman, 1990) e quella graziosa e minuta che veste i panni di Campanellino.

Gli oltre settanta milioni di dollari di budget, in buona parte spesi in set, costumi, scenografie e roboanti effetti speciali, saltano all’occhio, sollevando il sospetto che il regista sia rimasto impigliato in quella rete di gigantismo spettacolare tipica della macchina cinema americana, perdendo parte di quella leggerezza che costituisce un ingrediente tanto essenziale quanto insostituibile in un film di questo tipo.

Ricorrono ad ogni modo alcuni temi classici di Spielberg: il rapporto con il padre presente (Indiana Jones e l’Ultima Crociata) e quello con la madre lontana (E.T. l’Extraterrestre, I.A. Intelligenza Artificiale). Complessa e intrigante la dialettica tempo-sogno che si incarna (così come nel Peter Pan originale di sir JAMES MATTHEW BARRIE) nell’Isola Che Non C’è, dove il divario tra la “crescita” biologica e quella emotiva risalta come sotto una lente d’ingrandimento.

Che cos’è Neverland in fondo, se non l’Utopia dell’eterno ritorno? Tommaso Moro, ci insegna che Utopia significa Non Luogo. Neverland non è altro che questo: l’isola dei Non Luogo (di cui il nome inglese sembra quasi una traduzione letterale). Proprio in questo consiste l’intuizione geniale di Spielberg: soltanto la finzione cinematografica è in grado di raccontare un posto come Neverland.

“Tutti i bambini crescono, meno uno”: è l’incipit del libro di Barrie. Pensiamo però alle parole con cui l’autore chiude il romanzo, quando una Wendy ventenne vede la figlia Jane volare via dalla finestra al fianco di Peter: “E mentre guardate Wendy potete vedere i suoi capelli diventare bianchi, perché tutto questo accadde molto tempo fa. Ora anche Jane è una donna qualunque, con una figlia che si chiama Margherita: e ogni primavera Peter viene a prendere Margherita per condurla all’Isola che non c’è. Quando Margherita crescerà avrà una figlia; e così via, per sempre, fin che i ragazzi saranno allegri, innocenti e senza cuore”.

È questo l’eterno ritorno al Non Luogo, che prosegue una generazione dopo l’altra ma che si interrompe per il singolo individuo con il passaggio dall’infanzia a quell’età adulta che cancella la leggerezza del sogno. Lontani dall’infanzia trascorsa e dai molti pensieri felici che l’hanno popolata siamo tutti dei Peter Pan inchiodati a terra, ma attraverso il ricordo possiamo recuperare la nostra “leggerezza” e riuscire a volare perfino da adulti.

Senza la memoria di sé stesso bambino, l’unico pensiero di Banning capace di sollevarlo da terra è quello dei figli, in cui riconoscere il fanciullo che è stato.

Senza i ricordi d’infanzia nessun uomo può davvero dirsi adulto; senza la coscienza della propria Storia, nessun popolo può realmente progredire.

Questo forse è il tema più caro e propriamente autentico del regista; lo stesso regista che, due anni più tardi, consegnerà Schindler’s List all’Olimpo del cinema, scolpendone per sempre le vicende nella memoria di tutti.