Typewriter di INGAR SØRENSEN

I non protagonisti: come ti imposto i personaggi di spalla

In fase di progettazione della struttura di una storia, dopo aver delineato i personaggi principali attorno ai quali si svilupperanno le vicende, sorge il problema di quanto spazio e quanta attenzione dedicare ai personaggi di contorno.

La scelta dei ruoli spesso è obbligata dal genere di scritto: in una commedia o in una tragedia a sfondo famigliare, per esempio, i personaggi che interagiscono con il protagonista sono principalmente i parenti, con caratteristiche e ruoli quasi pre-definiti dal legame di sangue, di matrimonio, di adozione. Padre e madre, quale che sia il loro carattere, eserciteranno sempre un forte ascendente sul protagonista, anche in loro assenza; e se è il protagonista a essere genitore, simile percezione del ruolo la daranno i suoi figli, ai quali egli sarà legato in maniera possessiva.

A seconda dell’epoca storica e dell’ambientazione, i rapporti famigliari variano; puntando allora sulla coerenza spaziale e temporale e su diverse tipologie di conflitto si può creare ogni genere di tensione narrativa.

Quando invece si scrive una storia slegata dall’ambito famigliare (sia essa fantascienza, fantasy, thriller, erotica o altro genere), i personaggi di contorno perdono la confortante etichetta imposta dal legame di sangue, e sorge il problema di caratterizzarli, di dar loro personalità e voce senza che sovrastino il protagonista.

Suddividiamo le tre tipologie dei personaggi in questione, che in ordine ‘gerarchico’ d’importanza sono: il comprimario, il coprotagonista, il secondario.

Il comprimario

La definizione di comprimario è: “colui che è primario insieme con altri”. In ambito teatrale: “attore o cantante che ha una prima parte dopo quella dei protagonisti”. [cit. Vocabolario Treccani]

Mentre il protagonista innesca il meccanismo principale della storia, i comprimari sono figure di spalla o di contrasto, indispensabili per lo svolgimento della trama. Mediante il confronto con il protagonista ne delineano il carattere, la moralità, gli ideali, le scelte obbligate.

Rispetto al personaggio principale:

  • Possono far parte dell’ambito famigliare, come nel caso del film Fiori d’Acciaio, dove l’attrice non-protagonista (Golden Globe 1990) Julia Roberts è la figlia (Shelby) della protagonista Sally Field (M’Lynn). La storia della figlia malata di diabete è di supporto a quella della madre, una donna all’apparenza fragile, ma che affronta le scelte della figlia con un coraggio e una fermezza che vanno oltre l’affetto, anche quando queste portano alla morte di Shelby. Nonostante sia Shelby al centro dell’attenzione, la storia è di M’Lynn, ed è attorno a quest’ultima che la famiglia si stringe nei momenti di massima crisi. Di uguale impatto il ruolo drammatico di non-protagonista recitato da Anna Paquin in Lezioni di Piano come figlia di Holly Hunter, che è anche voce narrante della sceneggiatura originale di Jane Campion. Simile a Lezioni di Piano come costruzione narrativa è La Lettera Scarlatta di Nathaniel Hawthorne; anche qui è la figlia della protagonista a raccontarne le vicende. Altrettanto fondamentale il ruolo di comprimaria sostenuto da Jennifer Connelly come moglie di Russell Crowe in A Beautiful Mind, la storia del premio Nobel John Nash liberamente ispirata all’omonima biografia di Sylvia Nasar.
  • Possono essere gli amici inseparabili, magari un collega o l’amante, qualcuno il cui legame col protagonista implichi spesso un ruolo di confidente, confessore, fratello di anima. È il caso del comprimario di Sherlock Holmes, John Watson, senza il quale le storie del famoso investigatore avrebbero avuto un sapore diverso. Nel controverso I Segreti di Brokeback Mountain, Jake Gyllenhaal interpreta un non-protagonista d’eccezione come amante di Heath Ledger, diventando quasi il perno della trama, nonostante la storia sia incentrata sul rapporto tra Ledger e sua moglie. Più sfumati, ma con una presenza costante, i comprimari proposti dai romanzi di Jane Austen: Mr. Darcy di Orgoglio e Pregiudizio, o il colonnello Brandon di Ragione e Sentimento, solo per citarne alcuni. Il primo serve da specchio nel quale l’orgogliosa Lizzie si riflette scoprendosi inadeguata a reggere il confronto con le più raffinate coetanee. Il secondo è una sorta di cavaliere solitario che diventa il supporto familiare delle signore Dashwood, dimostrando che non è l’avvenenza la dote migliore di un uomo ma la costante presenza anche nella disgrazia. Un altro comprimario di notevole impatto scenico è Sean Connery ne Gli Intoccabili. Il suo ruolo è di mentore, un collega più anziano ed esperto che non solo collabora col protagonista Kevin Costner (l’agente federale Eliot Ness) ma riesce a diventarne una sorta di coscienza. Così come il silenzioso cowboy interpretato da Jack Palance in Scappo dalla Città, che si trasforma nel maestro di vita di un disorientato Billy Crystal. Indimenticabile la parte di supporto a Nicole Kidman che Renée Zellweger recita in Ritorno a Cold Mountain (le valse l’Oscar come non-protagonista), e la frase che l’ha resa immortale: “Dicono che la guerra è una nube sulla terra, ma che tempo fa l’hanno deciso loro e ora se ne stanno sotto la pioggia a dire ‘ancora piove’”. Renée assume un ruolo di sorella, di madre, di compagna, e condivide con la protagonista – cresciuta nel benessere e nell’inerzia di uno status sociale privilegiato – le difficoltà della fame e della miseria risollevandola dall’indigenza con la sua praticità e fermezza.
  • Possono costituire gli antagonisti, che diventano spesso nemesi del protagonista. Per tornare a Sherlock Holmes, il professor Moriarty è il suo peggior nemico, ombra inafferrabile che si cela dietro alla maggior parte degli omicidi e dei complotti. O si può citare Ra’s al Ghul, uno dei più terribili antagonisti di Batman, ma in passato suo amico e per questo ancora più difficile da affrontare. Nell’adattamento cinematografico di Amabili Resti, dell’autrice Alice Sebold, il ruolo dell’antagonista è magistralmente interpretato da Stanley Tucci, l’insospettabile vicino di casa, un personaggio caratterizzato in modo straordinario, in apparenza senza nulla che lo associ a un omicida. Nella più imponente opera letteraria fantasy, Il Signore degli Anelli, la figura di Sauron è la massima incarnazione del comprimario che non appare quasi mai in prima persona ma la cui presenza è costante, come un burattinaio che muove i fili dei personaggi. Non è il protagonista principale, eppure senza di lui la storia non avrebbe senso.

Riassumendo, il ruolo del comprimario è importante, a volte quanto quello del protagonista. È necessario quindi che la sua caratterizzazione sia ben curata, coerente e fornita di un articolato background.

Il coprotagonista

Scendendo la scala di importanza troviamo i coprotagonisti, che possono essere molti. A differenza del comprimario, il cui impatto è rilevante e attivo, i coprotagonisti possono anche limitarsi a un ruolo passivo. Ad esempio, le sorelle Bennet di Orgoglio e Pregiudizio spesso vengono inserite come sole ‘macchiette’, per delineare una panoramica famigliare e rappresentare stereotipi sociali.

I coprotagonisti delle opere di Shakespeare sostengono ruoli creati ad hoc, ben definiti ed etichettati, senza necessità di background. Pensiamo alla balia e allo speziale in Romeo e Giulietta, o a Puck, a Teseo e Ippolita, a Egeo in Sogno di una Notte di Mezza Estate; questi personaggi di contorno hanno il compito di definire meglio l’ambientazione e partecipano alla trama interagendo direttamente con il protagonista e il comprimario.

I coprotagonisti più importanti nelle saghe corali, sia letterarie che teatrali e cinematografiche, appaiono facendo quasi squadra attorno ai protagonisti. Tra i più famosi, i componenti della Compagnia dell’Anello. Ma anche gli amici di Romeo Montecchi, Mercuzio in primis.

La saga de Il Trono di Spade ha una lista infinita di coprotagonisti, che a volte sembrano elevarsi al ruolo di comprimari nonostante l’autore abbia già stabilito di eliminare molti di loro in tempi brevi. In mano a un autore esperto, il colpo di scena costituito dalla morte inaspettata di un coprotagonista rilevante è un espediente efficace per imprimere una scossa la storia. Tuttavia, in fase di preparazione, occorre valutare con cura l’effettiva grammatura di un personaggio: perdere del tempo per caratterizzarne uno che ha un ruolo passivo e secondario, e poi lasciarlo indietro perché la sua presenza non è necessaria, è un’operazione spesso dispersiva e rischiosa. Alla fine il lettore attento potrebbe accorgersi che un filo manca. La morte di un coprotagonista deve servire la trama; notiamo quella di Boromir della Compagnia dell’Anello, tra le più famose in ambito fantasy: crea una svolta nella storia e incide in modo determinante nello stato emotivo del protagonista Frodo.

Nell’Amleto, l’intera vicenda fa perno attorno alla morte del re-padre coprotagonista, che appare all’inizio della tragedia sotto forma di fantasma reclamando vendetta, per poi permanere solo come ossessione nel figlio. Eclatante in questa tragedia il ruolo di Rosencrantz e Guildenstern, che Shakespeare elimina fuori scena. La loro morte viene semplicemente annunciata nell’ultimo atto della tragedia con la famosa e lapidaria battuta “Rosencrantz e Guildenstern sono morti”.

Un’altra opera esemplare dove i coprotagonisti vengono sistematicamente eliminati è Il Profumo, di Patrick Süskind; quei personaggi, pur ‘provvisori’, sostengo un ruolo indispensabile, senza il quale il protagonista Grenouille non potrebbe evolvere nella sua esperienza di profumiere-assassino.

Il secondario

Come il coprotagonista, il personaggio secondario può variare da uno a mille, ma la sua presenza non scavalca mai gerarchicamente quella degli altri.

La sua importanza è relativa: può servire a definire anche solo una scena e poi sparire nel nulla. L’autore gli dedica meno attenzione: lo può descrivere fisicamente, assegnargli un ruolo attivo o passivo, ma senza perdere tempo a delinearne in modo approfondito psicologia, comportamento e background.

A volte i personaggi secondari rivestono semplicemente un ruolo tecnico, non legato a un preciso individuo che anzi nel suo ‘incarico’ può essere tranquillamente sostituito da un altro, perfino di sesso diverso. Per citare un esempio pratico, ‘M’, il direttore del Secret Intelligence Service della saga letteraria di James Bond, viene interpretato da diversi personaggi, sia maschili che femminili, ma rimane comunque uno dei ruoli secondari più importanti all’interno dell’universo spionistico di Fleming.

I secondari sono spesso personaggi-fantasma, possono essere solo citati e non apparire ‘fisicamente’ nella storia. Il loro ruolo è quello di riempimento: possono sostenere un risvolto psicologico di un altro personaggio, rappresentare un soccorso temporaneo, far parte del passato del protagonista, costituire il motivo scatenante di una situazione, generare una svolta nella trama… Ma è sempre consigliato non dargli un’importanza ‘strutturale’, per evitare che il lettore si aspetti una loro ulteriore e attiva comparsa, soprattutto (o perlomeno) nel finale della storia.

Personaggio secondario famoso sia in letteratura che in cinematografia è la Mami di Via col Vento, la balia di Rossella O’Hara, e in alcuni momenti anche la sua coscienza. È un punto fermo nella vita della protagonista, rappresenta le radici e la famiglia. L’autrice Margaret Mitchell la riprende a tratti, ma senza mai farne una presenza invadente; Mami si limita a svolgere il suo piccolo ruolo, e se fosse rimossa dalla trama la storia non cambierebbe. Mancherebbe però quella figura solida e radicale che sostituisce i genitori di Rossella dopo la guerra, escamotage che l’autrice utilizza per ridare alla protagonista lo slancio indispensabile a riprendersi dalle tragedie vissute.

Stesso ruolo è quello del maggiordomo Alfred Pennyworth, che assume la veste di silenzioso padre putativo di Bruce Wayne/Batman, aiutando l’eroe a conciliare la sua doppia vita, supportando le sue decisioni e fornendogli arguti consigli su come gestire la complessa interpretazione del cavaliere oscuro.

In conclusione, rispettando i ruoli così come la scala gerarchica esige è possibile creare un’ottima squadra di personaggi, ben definiti, che non rischiano di soverchiarsi a vicenda. Compito dell’autore sarà poi distribuire a quei ruoli le giuste caratterizzazioni, secondo le esigenze narrative.