I Vampiri dello Spazio
Senza dubbio non è semplice coniugare la figura gothic-horror del vampiro con l’atmosfera necessariamente razionale di un romanzo sci-fi. E anche questo romanzo di COLIN WILSON riesce a centrare l’obiettivo solo in parte, pur ammantando il tradizionale figlio della notte con la veste meno soprannaturale, ma sicuramente altrettanto inquietante, dell’alieno venuto dallo spazio. Infatti, al di là degli scenari di asteroidi e navi spaziali con i quali si apre la narrazione, quella che viene offerta al lettore è in fondo un’analisi del vampirismo, e di una sua origine verosimile.
L’inizio dalla storia rispecchia i canoni più tradizionali della SF vecchio stile. In un futuro ambientato nel ventunesimo secolo, in cui è possibile raggiungere l’Asteroid Belt in pochi mesi di navigazione spaziale, qualcosa appare improvvisamente sugli schermi dell’astronave “Hermes”: non uno dei nuovi corpi celesti che la spedizione terrestre deve individuare, ma il relitto di una misteriosa astronave aliena. Lunga circa ottanta chilometri. Il comandante Olaf Carlsen diventa di colpo l’uomo del momento, perché all’interno della mastodontica struttura scopre numerosi corpi dalle sembianze umane, in animazione sospesa e verosimilmente vivi, che costituiscono la prima inconfutabile prova di esistenze extraterrestri. Tra le ovazioni generali, tre di questi esseri vengono trasportati sulla Terra: un maschio e due femmine. Ma ovviamente la situazione si rivela molto più preoccupante di quello che gli entusiasti politici e scienziati si aspettano: le creature venute dallo spazio sono in realtà vampiri psichici che si nutrono di energia vitale, prosciugando anche fino alla morte l’organismo ospite per servirsene a loro piacimento. Di questo il comandante Carlsen avrà un’esperienza diretta, perché assisterà al bacio mortale inflitto alla prima vittima (un giornalista dalle incaute tendenze necrofile) e sarà lui stesso oggetto delle attenzioni di chi si è improvvisamente risvegliato: uno splendido vampiro femmina, naturalmente.
Da qui la narrazione prende il volo, tra criminologi interessati ai vampiri, studiosi del paranormale, politici posseduti e omicidi sospetti, tra cui il comandante e i suoi alleati cercano di destreggiarsi con inseguimenti da thriller fino alla prevedibile vittoria finale.
Colin Wilson è sicuramente una personalità letteraria molto complessa e anche, per certi aspetti, discutibile. Filosofo autodidatta, studioso del paranormale e della magia (di cui ha esplorato tutte le forme conosciute in uno dei suoi libri più famosi, L’Occulto), è autore di oltre cinquanta testi, tra saggi e romanzi, in cui si spazia da Atlantide al Graal, dai serial killer a fantasmi e folletti. Nulla di strano quindi se l’elemento soprannaturale costituisce l’argomento cardine di questo romanzo, che tuttavia per l’ambientazione e i caratteri della vicenda narrata può essere collocato senza dubbio nell’ambito della fantascienza classica.
Considerando il contenuto evocativo del titolo, la storia mantiene almeno nella prima parte la promessa iniziale: la vastità stellata dello spazio lascia ben presto il posto agli interni cavernosi di quella che sembra un’enorme cattedrale volante, tra colonne istoriate nascoste nell’oscurità, gallerie mastodontiche a volta rinascimentale, immense sale deserte in puro stile gotico e, alla fine, le teche in cristallo con i loro misteriosi occupanti. Un’atmosfera alla LOVECRAFT – di cui Wilson è del resto un profondo estimatore – che immediatamente evoca un senso di mistero antico e tradizioni mai scomparse, nemmeno nel più lontano futuro dell’umanità. L’apparizione di alieni diabolici, ispirati al Pantheon misterico dello scrittore di Providence è del resto ampiamente presente in un altro suo (pessimo) romanzo, I parassiti della mente, e si ritrova in altri racconti di fantascienza, quali ad esempio il grandioso Le guide del tramonto di ARTHUR C. CLARKE.
Ma i “Visitors” di Wilson sono tutto sommato lontani sia dai demoni di Lovercraft che dai Superni di Clarke; la loro aura di realismo viene amplificata durante tutta la narrazione, nella quale l’autore propone teorie abbastanza inconsuete a sostegno delle sue affermazioni: i vampiri hanno veramente visitato e abitato la terra, secondo Wilson, e – tanto per citare STEPHEN KING – a volte ritornano. Nel suo già accennato testo L’Occulto, dice infatti espressamente “Deve esserci un motivo per cui la figura del vampiro ha colpito così tanto l’immaginazione, sicuramente DEVE essere accaduto qualcosa che non è solo frutto dell’immaginazione”.
L’uomo però ha a sua disposizione un’arma naturale contro queste minacce dall’ignoto: le potenzialità della mente che lo possono trasformare in un essere superiore, capace d’imporre la sua supremazia contro ogni tipo di nemico e in qualsiasi situazione avversa. Infatti, nell’ideologia dell’autore, le facoltà umane (e specialmente quelle maschili), se opportunamente allenate, hanno potenzialità capaci di valicare qualsiasi limite.
Nel romanzo, il Dr. Fallada, criminologo di Scotland Yard, introduce il comandante Carlsen ad un’interessante scoperta, quella dei cosiddetti “campi lambda”, vale a dire gli indicatori di energia vitale. O meglio, di stimoli come l’eccitazione sessuale e il senso del piacere. E questo porta alla sottile distinzione “scientifica” dell’autore tra vampirismo buono e vampirismo cattivo: nel primo caso si ha un interscambio di energia vitale o comunque una “donazione spontanea” da parte del soggetto consenziente, mentre nel secondo, del quale gli Space Vampires del romanzo sono l’esempio, ciò che avviene è un assalto egoistico sulla preda. Particolarmente intrigante è la condizione, ripresa dalla tradizione, secondo la quale anche il vampiro psichico deve essere “invitato” ad entrare nella mente della sua vittima, e a tale scopo induce in essa una specie di sensazione ipnotica di piacere, il “fascino della morte”, per così dire. Attrazione fatale che, nel caso del protagonista, si sviluppa attraverso l’elemento seduttivo della donna vampiro. Olaf Carlsen, l’eroe indiscusso della vicenda, riesce – a malincuore – a difendersi dall’assalto mentale e fisico dell’aliena grazie alle sue qualità di gentleman dotato di self control nonché di un “rigido addestramento sessuale”.
D’altra parte l’incontro preda/predatore, in ogni vicenda legata alla figura dei vampiri, è comunemente caratterizzato da una notevole componente di fascino e repulsione.
Proseguendo nella trama, il comandante Carlsen, assieme all’amico criminologo, si troverà nella dimora di un longevo conte svedese studioso dell’occulto, circondato dalla sua corte di vampire benevole (“le mie allieve”, così vengono definite), e avrà modo di sperimentare nella pratica lo scambio simbiotico di energia maschile e femminile. O almeno in questi termini viene definita la sua breve relazione con la giovane Selma, dalle attitudini vampiresche spiccatamente autolesioniste.
In effetti, le presenze femminili non fanno una buona figura nell’immaginario di Wilson, almeno in questo romanzo. Vengono descritte come fedeli angeli del focolare, come Jelka, la moglie di Carlsen, o femmine tutto istinto e disponibilità per la causa, come Selma. Oppure personalità fragili ridotte dagli scomodi invasori al masochismo estremo, come l’infermiera Ellen, della quale il buon comandante non si fa scrupolo di servirsi a suon di schiaffi. E anche la bella e intelligente Peggy, moglie di un diplomatico, cede ad un breve ma intenso contatto fisico/mentale con l’eroe della vicenda. I protagonisti maschili invece, positivi o negativi che siano, hanno tutti delle caratteristiche di potere dominante, quasi a sottolineare le superiori capacità del maschio rispetto all’altro sesso.
Purtroppo il romanzo procede come mero supporto delle teorie che Wilson vuole dimostrare, assumendo i connotati di una specie di manuale fai-da-te dell’esercizio mentale, al punto di suscitare nel lettore la domanda un po’infastidita “ma quando tornano i vampiri?”. Non a caso, i commenti di molti appassionati del genere vanno dal “deludente” all’”illuminante”, come sempre succede a seconda di quello che i singoli fruitori desiderano ricevere da un libro di questo genere: svago o, per quando possa sembrare strano, didattica esistenziale.
La soluzione spaziale-vampiristica del finale non presenta grossi colpi di scena: gli alieni, come racconta il supersite dei tre intrappolato nel corpo ospite, sono una specie di polpi asessuati e semi-immortali provenienti da Rigel, che un incidente durante uno dei viaggi di ritorno dalla Terra ha reso dipendenti dalle loro capacità di vampirismo energetico. Ma in fin dei conti, in questo romanzo lo scopo non è la storia, bensì la filosofia dell’autore in essa veicolata. Il senso del Magick di Aleister Crowley (1875-1947), occultista, sessista, e mistico edonista, appare qui nel suo senso più ampio: la capacità di dominare la propria esistenza fisica e mentale esasperando al massimo le potenzialità individuali, attraverso un cambiamento consapevole e intenzionale. Interessante, senza dubbio. Ma per chi desidera un sano fanta-horror in tema vampiri, questo libro si rivelerà probabilmente una delusione.