Amerigo Vespucci

I Velieri

La nostra è un’epoca di navi altamente tecnologiche e all’avanguardia, capaci di raggiungere velocità elevate e di attraversare impunemente gli oceani. Ciononostante ancora oggi i velieri, illustri antenati della moderna navigazione, suscitano un fascino indiscutibile.

La nave a vela, nelle sue varie forme e dimensioni, ha solcato i mari dal tempo delle civiltà più antiche, passando per le grandi scoperte geografiche, le rotte mercantili che hanno reso ricchi gli imperi coloniali e l’era dell’industrializzazione, la quale, all’inizio del XX secolo, ha portato alla sostituzione del veliero con le navi a motore.

Il primo veliero vero e proprio fu la COCCA, un’imbarcazione medievale utilizzata con funzioni allo stesso tempo mercantili e di trasporto passeggeri sia nelle acque del Mediterraneo sia nei mari del nord europeo. Lo scafo era rivestito di assi di legno, denominate fasciame, di norma sovrapposte bordo su bordo.

Il ponte della nave presentava due parti rialzate, una a poppa (il fondo della nave) e una a prua (la parte frontale). Esse venivano chiamate castelli. Le vedette e gli arcieri che difendevano l’imbarcazione da eventuali attacchi prendevano posto sulle coffe, piattaforme protette da parapetti che si trovavano sugli alberi della nave.

Inizialmente la cocca presentava un solo albero centrale, detto albero di maestra, con vela quadra. Successivamente vennero introdotti altri due alberi, uno sul castello di poppa e uno su quello di prua. Il primo si chiamava albero di mezzana; il secondo era l’albero di trinchetto. La vela quadra centrale forniva la spinta alla nave, mentre le altre due, spesso latine (cioè triangolari), assicuravano una maggiore manovrabilità. Le vele erano governate tramite il sartiame, una complicata serie di corde e carrucole. Le corde prese singolarmente venivano chiamate cime.

Per aiutare la navigazione in caso di mancanza di vento, il veliero poteva essere governato via remo, e anche il timone (il cui scopo è dirigere l’imbarcazione) era dapprincipio costituito da due remi fissati ai lati della poppa. In epoca successiva, invece, venne sviluppato un timone centrale alla poppa, detto timone alla navaresca.

La cocca poteva portare a bordo armi da fuoco pesanti e necessitava di un equipaggio di venti o trenta persone.

L’erede della cocca fu la CARAVELLA, divenuta famosa per essere stata l’imbarcazione utilizzata da Cristoforo Colombo nei suoi viaggi verso le Americhe. Questo veliero nacque all’inizio del 1400 e la sua fortuna coincise con le grandi traversate oceaniche, per poi declinare verso il XVII secolo.

La caravella era una nave inizialmente di piccole dimensioni, il cui tonnellaggio aumentò solo in seguito, dandole una forma più panciuta e tonda. Di norma presentava tre alberi, con vele quadre e latine che le conferivano una grande velocità e agilità di manovra. In aggiunta, l’albero di bompresso, che si prolungava in obliquo esternamente dalla prua, aveva una vela quadra chiamata civada. Questa velatura mista la rendeva in grado di gestire con maggiore facilità le diverse condizioni di vento.

Le caravelle più grandi presentavano un cassero a poppa, vale a dire un castello sopraelevato rispetto a quello di prua. Erano pensate per accogliere un buon numero di pezzi d’artiglieria, che proprio in questo periodo iniziavano a essere oggetto di modifiche, innovazioni tecniche e largo uso. La potenza di fuoco della caravella era notevole, anche se non di grosso calibro, e necessitava di un equipaggio che si aggirasse tra i venti e i quaranta uomini.

Questo veliero, purtroppo, era soggetto a problemi strutturali (fragilità, poca protezione contro i parassiti) allo scafo e agli alberi, ma nel complesso si trattava della nave più affidabile e innovativa in circolazione, almeno fino all’avvento della CARACCA.

Tale nuovo veliero, la cui fortuna durò dalla metà del XV alla metà del XVII secolo, ebbe origini prettamente mercantili. Di forma più tondeggiante rispetto alla cocca, presentava più ponti sovrapposti, castelli non sporgenti dallo scafo – di frequente costituiti a loro volta da più piattaforme – e una non disprezzabile capacità di artiglieria, per la prima volta disposta dietro a pannelli scorrevoli nella tipica formazione a batteria, in file orizzontali sovrapposte lungo le fiancate della nave.

La caracca era inizialmente utilizzata soprattutto dalla Lega Hanseatica, nell’Europa del Nord, e presentava una struttura velica e di sartiame piuttosto evoluta. Per sfruttare al meglio il vento, oltre alle grandi vele quadre e alla vela latina all’albero di trinchetto, potevano essere issate anche vele poste più in alto lungo gli alberi, denominate vele di gabbia. Un ulteriore aiuto era fornito dalla vela di civada e dalla velatura di un quarto albero a poppa, detto albero di contromezzana o bonaventura. Le cime venivano assicurate a ganci chiamati lande, i quali erano posti fuoribordo su una specifica piattaforma, il corridore.

Grazie allo scafo accuratamente calatafato – cioè reso impermeabile – la caracca possedeva un’ottima resistenza alle intemperie, qualità che alla caravella mancava, e trasportava un maggiore carico di merci, armi e soldati, ragione per cui ebbe tanto successo nelle spedizioni intorno al mondo e sulle nuove rotte mercantili transoceaniche che fecero la fortuna degli imperi coloniali. Lo scafo era spesso rinforzato da parabordi che lo proteggevano dai contatti con altre navi o con gli scogli.

L’imbarcazione necessitava di un equipaggio di norma attorno ai cento uomini. Le caracche più grandi, però, potevano annoverare una ciurma composta da trecento o quattrocento marinai.

Benché la caracca costituisse un’evoluzione importante, la tecnica costruttiva non si fermò. Le rotte oceaniche erano impegnative, piene di pericoli e imprevisti, e tutto ciò che si poteva migliorare andava migliorato.

Il risultato di queste costanti ricerche sulla manovrabilità e la solidità fu il GALEONE, una nave robusta sviluppata a partire dalla più antica galea, lunga e bassa imbarcazione a remi mediterranea.. Figlio del secolo del Manierismo prima e del Barocco poi, il galeone fu la prima nave a vela a presentare vere e proprie decorazioni lignee e pittoriche sui casseri di poppa e prua, curando anche il lato estetico dell’imbarcazione. I castelli si fecero molto alti, mentre a prua lo sperone – dapprima metallico e poi ligneo – della galea venne mantenuto e rinforzato, quale supporto per l’albero di bompresso. Con tali modifiche, il carico d’artiglieria aumentò considerevolmente e si poté piazzarlo su più ponti, compresi quelli del cassero di poppa. L’albero di trinchetto venne posto in posizione più vicina alla prua, spesso all’estremità stessa del veliero. Le vele di gabbia aumentarono di numero.

Il galeone era costruito con proporzioni precise e dimensioni maggiori rispetto alla caracca.

La larghezza dello scafo era il doppio dell’altezza e un terzo della lunghezza.

Necessitava di un equipaggio di circa trecento uomini. Gli ufficiali alloggiavano all’interno dei ponti del cassero di poppa. Questi casseri così alti erano decorativi e capienti ma presentavano anche uno svantaggio: facevano resistenza al vento, frenando la velocità della nave. L’eccessiva ricerca estetica vanificò in parte le innovazioni tecniche introdotte, tanto che successivamente i casseri vennero ribassati per poter sfruttare al meglio la velatura.

Il galeone è passato alla storia in quanto protagonista della battaglia navale tra la Invencible Armada spagnola e la Marina Britannica nel 1588, uno scontro epocale che segnò la fine delle velleità di espansione in Europa della Spagna di Filippo II e sancì l’ascesa del regno di Elisabetta d’Inghilterra. Era un galeone anche il Mayflower, il veliero che trasportò i Padri Pellegrini in America.

A causa del massiccio impiego delle navi in operazioni belliche, vennero studiate tattiche e schieramenti precisi; i velieri vennero catalogati in classi in base alla loro velocità e capacità offensiva. Si condussero studi sulla forma dello scafo per migliorare le prestazioni, e l’utilizzo di legni dalle caratteristiche differenti per le varie parti del veliero divenne la regola.

L’ossatura dello scafo era in rovere o in teak, il fasciame in quercia fissato con chiodi lignei (caviglie) e l’alberatura in abete. Il fasciame veniva montato in due strati, per offrire maggiore solidità e resistenza contro intemperie e incidenti. Lo scafo era spesso rivestito di metallo, mentre la carena (ossia la parte sommersa dello scafo) era spalmata con una miscela composta da zolfo, minio, sego, catrame e olio di pesce denominata pattume, impermeabile all’acqua e all’attacco dei parassiti; essa conferiva al legno un caratteristico colore nero.

Tali modifiche portarono alla creazione del VASCELLO, un veliero efficiente e ricco di decorazioni, anche in questo caso abbandonate in un secondo tempo a favore della funzionalità. Il più caratteristico di questi abbellimenti era la polena decorata, una scultura lignea posta a prua il cui soggetto di norma richiamava il nome con cui la nave era stata battezzata.

Sul vascello venne definitivamente adottato il timone comandato attraverso una ruota posta sul cassero di poppa, collegata allo strumento di navigazione tramite un sistema di cavi. Il design del castello di poppa subì un’evoluzione dalla forma quadrata a quella rotonda. Gli alberi vennero suddivisi in tre sezioni, chiamate albero maggiore, albero di gabbia e alberetto, tutte munite di vele quadre. Solo l’albero di mezzana portava una vela triangolare, poi divenuta trapezoidale e denominata vela aurica o randa. Più avanti ne vennero aggiunte altre, per aumentare la capacità del veliero di sfruttare il vento. All’albero di bompresso fu aggiunta l’asta di fiocco, un albero orizzontale con vele triangolari denominate fiocchi e controfiocchi. Altre vele triangolari – vele di straglio – furono posizionate fra un albero e l’altro. Il vascello possedeva sovente più di un’ancora, legata da solidi cavi, le gomene.

Lo scafo era suddiviso generalmente in tre ponti, mentre il carico di artiglieria decretava la classe del veliero nella sua funzione militare. Sul vascello ci si servì per la prima volta della pompa per contrastare le infiltrazioni d’acqua a seguito di incidenti o falle. La nave necessitava di un equipaggio molto numeroso e continuò ad avere largo impiego fino alla fine del XVIII secolo.

Il vascello fu protagonista della battaglia di Trafalgar tra la flotta inglese e quella franco-spagnola, nel 1805, che vide il trionfo dell’ammiraglio Nelson. Questa battaglia epocale segnò la fine delle velleità marittime di Napoleone, e la definitiva rinuncia da parte francese all’invasione della Gran Bretagna. Parallelamente, entrò in servizio un nuovo tipo di veliero chiamato FREGATA, che solcò i mari fino alla metà del XIX secolo.

La fregata era una nave mediterranea a due alberi che poteva essere mossa per mezzo dei remi e aveva funzioni principalmente mercantili. Nel nord dell’Europa venivano chiamate fregate le veloci navi corsare, ma i velieri che porteranno ufficialmente questo nome saranno navi mercantili e belliche di grande agilità di manovra. Alle vele del vascello se ne sommarono altre; sugli alberi si aggiunse una quarta vela quadra, il controvelaccio.

Capace di manovre molto rapide, la fregata era molto utilizzata come scorta. Caricava a bordo un nuovo tipo di cannone, la carronata, che necessitava di soli tre uomini addetti al caricamento, permettendo di sparare più colpi in minor tempo. La maggior parte delle fregate aveva bisogno di un equipaggio che si aggirava attorno ai duecento uomini. Il più famoso di questi velieri è senza dubbio il Bounty, passato alla storia per l’ammutinamento del suo equipaggio.

Il successo raggiunto nella ricerca della velocità massima spinse i costruttori alla creazione del CLIPPER, il veliero protagonista indiscusso del XIX secolo, un’evoluzione del più piccolo BRIGANTINO, un veliero a due alberi con vele quadre e bompresso. Il suo nome deriva dal verbo inglese to clip, tagliare, ed è esplicativo del suo modo di fendere le onde alla massima velocità. In epoca industriale i tempi di percorrenza delle rotte oceaniche dovevano essere notevolmente ridotti e il clipper fu la risposta a questa necessità.

Esso fu il primo veliero ad avere un’anima in metallo tra le due pareti di fasciame in teak che costituivano lo scafo: una scelta costruttiva non sempre adottata a causa della corrosione galvanica che si veniva a creare tra il metallo e il legno, ma un’utile sperimentazione verso la creazione delle navi moderne. Si ovviò al problema inserendo del caucciù tra un materiale e l’altro in maniera da impedire loro di reagire chimicamente.

I clipper avevano uno scafo allungato, dalle linee filanti e aggraziate, con piccoli castelli a prua e a poppa. Gli alberi erano tre e montavano cinque vele quadre; quella di gabbia era divisa in due per facilitare le manovre.

Questi velieri non avevano bisogno di un equipaggio numeroso, e gareggiavano tra loro nel trasporto del tè e dell’oppio dall’Oceano Indiano.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo il vapore soppiantò la navigazione a vela, ma per diversi anni si costruirono comunque imponenti navi fornite di alti alberi con una ricca velatura, in quanto la propulsione a vapore non era ancora perfezionata e in certi punti delle rotte transoceaniche era ancora necessario sfruttare i venti, alla vecchia maniera.

Nonostante oggi gli unici velieri rimasti siano alcune imbarcazioni storiche, restaurate e conservate, o quelle costruite appositamente per diventare navi-scuola della Marina – come la nostra Amerigo Vespucci –, il fascino dell’antica nave a vela sopravvive nel mondo del modellismo, nelle pellicole cinematografiche e tra i cultori del tempo in cui prendere il mare costituiva sempre un’avventura.