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Il cavallo magro scivolando sulla fanghiglia entrò quasi cadendo nell’acqua del fiume fino ai garretti e rimase con la testa bassa sotto la pioggia continua, insensibile, senza paura, neanche del rombo di tuono per cui l’aria tremò in quel momento, e dei lampi rossastri che si accendevano in fondo, oltre il Ticino; e quasi per questo anche Pietro stette al principio, come la bestia, completamente fermo nella pioggia, seduto sulla panchetta fradicia del carro a guardare l’acqua del fiume oltre le orecchie appuntite del cavallo e solo poi, ma lento, dopo essersi passata la mano a palma aperta sugli occhi per asciugarsi, si volse indietro, dove sotto la tenda tambureggiante per il diluvio che li circondava, stava Ida con la ragazzina accosciata sulla paglia, chiaramente aspettando da lui qualche parola.
“Non c’è nessun barcone, qui” disse Pietro, e tornò a guardare la riva del fiume da una parte e dall’altra, fin dove la pioggia, l’improvviso accecamento dei lampi gli permettevano di vedere.
Gli avevano detto che per quella strada sarebbe arrivato a un punto del fiume con alti alberi sottili dalla corteccia argentea e lì avrebbe trovato il barcone che poteva traghettarli con tutto il carro all’altra riva del Ticino; ma in fondo alla strada trovava adesso soltanto l’acqua ribollente del fiume dove il cavallo s’era cacciato fino a mezza gamba, e nessun albero, ma qualche cespuglio affiorante dal terreno argilloso. Era stato uno a dirglielo, sorto quasi d’un tratto dall’alta erba elastica della pianura, senza cavallo, senza fagotto o sacco di provviste, senza neppure l’arma, e poteva essere allora di qualche colonia vicina, ma poi dal modo d’indicare, per quel camminare solo sotto la pioggia agitando le braccia, lui era rimasto un po’ incerto se credergli; forse era uno sperduto delirante di fame e voleva guadagnarsi il boccone di pizza che lui gli aveva infatti tirato, avuta l’informazione, e che era caduta in terra dove l’altro s’era inginocchiato per cercarla tra l’erba fradicia e i sassi affondati nel fango.
“Lo immaginavo” disse Ida, ma quasi con mollezza, come era tutta morbida, curva, nel viso, nel corpo affiorante sotto la rigida sottile tela rossa che le lasciava scoperte le braccia candide, ancora più candide contro l’aria plumbea fumosa dell’interno del carro, unica luce oltre quella raccolta ma viva dei suoi occhi. Era bionda, d’un biondo oscuro lucido tenuamente, mentre la ragazza, Giovanna, accosciata al suo fianco, aveva i capelli rossi, così che quasi ogni volta che Pietro le guardava insieme e vicine, aveva il pensiero che non fosse sua figlia, quella, ma non riusciva a ricordare uomini che avessero girato intorno a Ida, a quell’epoca, dodici anni prima, quando erano nelle colonie del Panormita, cucendo mantelli e calzoni per i pescatori delle tonnare, ancora così poveri da girare a piedi. E non riuscendo a svelare la nascosta vicenda il pensiero rimaneva lì, inutile, presto cancellato dai nuovi, ma poi sarebbe tornato, senz’altro, a vedere quei capelli rossi della ragazzina, i biondi della madre, e i suoi, già, neri.
“Vado a vedere qui intorno” disse e, scendendo, l’arma sbatté come sempre contro il posapiede di ferro e quasi gli si sfilava dal gancio che la teneva alla cintura, ma subito, con atto meccanico eppure premuroso se la rimise a posto, mentre si guardava gli stivali immersi nell’acqua del fiume oltre la caviglia. “Non vi muovete,” disse “torno subito.”
Uscì dall’acqua, girò poi dietro il carro, si fermò, ma tutto intorno alla pianura non vide nulla, e vi erano sì, gli alberi alti e sottili, ma verso l’interno, non sulla riva, e si curvavano con le loro poche foglie in cima sotto il vento, nudi, quasi senza rami, contro il cielo chiuso. Però volle andare a vedere lo stesso e camminò in quella direzione, schizzando acqua fangosa a ogni passo, evitando i cespugli, ma soddisfatto di muoversi dopo essere stato tante ore sulla panchetta del carro.
Poi smetteva di piovere, rapidamente, il temporale correva verso il mare dopo aver attraversato tutta la pianura, e lui si fermò ancora a passarsi la palma aperta sul viso, sui capelli, sulla camicia fradicia attaccata alla pelle, e poi sul torace, a nudo, per non far correre i rivoletti d’acqua dentro i calzoni, così sotto il pelo, sul capezzolo sinistro, passò le dita nella scavatura del marchio seguendo la serpentina della S incisa nella sua carne come era stata incisa nella carne di tutti quelli che conosceva.
Fu mentre faceva questo che vide la casa, bassa, ai piedi del filare di alberi, nascosta dietro un gomito del canale in cui si specchiava. Era di mattoni crudi, quasi fango, col tetto piatto, e le due finestre che si vedevano da quella parte erano sprangate. A sinistra però s’allungava una grande tettoia, molto più vasta della casa, dal terreno asciutto e ben battuto, così Pietro pensò che dovevano esserci dei contadini, anche se intorno non vi era terreno coltivato, e non l’aveva visto neppure dalla colonia di Voghera, ma solo prati selvaggi, chiazzati di larghi acquitrini maleodoranti. Non vi era niente di vivo intorno alla casa, forse appena le acque del canale, gonfie per tutta la pioggia e ribollenti torbide davanti alla morta facciata, davanti alle morte finestre, al morto portone. Per questo egli s’incamminò indeciso, per fermarsi ancora a pochi metri dal canale, l’occhio fisso a un pietrone che faceva da ponte ma che era quasi sommerso dall’acqua, e che portava di là, davanti alla tettoia.
Poi il cigolio della porta lo fece volgere, e dalla fessura di quella porta intuì che due occhi lo spiavano, e non gli piaceva stare lì allo scoperto, così spiato, nell’aria grigia, senza quasi più pioggia, ma come irrigidita in quel fermo momento senza luce prima del sereno. Ancora indeciso vinse la voglia di buttarsi a terra e alzò invece il braccio destro agitando la mano. “Ehi, ehi!” gridò. Ma era mancino, ingannava portando l’arma a destra, e quando alzava il braccio, l’altro, il sinistro, era libero per staccarla dal gancio, così due volte si era salvata la vita, l’aveva salvata a Ida e a Giovanna.
La porta si aprì completamente e forse per un calcio, dopo il suo grido, e troppo dopo, e venne fuori uno che doveva essere molto vecchio, anche se non si poteva capire bene, per la testa lucida come una pietra lavata e le guance senza barba; ma era l’acquosità degli occhi, forse, a dare l’idea del decrepito, e i gesti stizzosi anche se lenti.
“Sei solo?”
Sotto il mantello, ed era anche di buona stoffa e ben cucito, notò subito, Pietro vide l’arma che il vecchio teneva con tutte e due le mani.
“Ho il carro qui vicino, con la donna e la figlia” rispose.
La corta canna dell’arma venne fuori dal mantello, il vecchio l’agitava ora come un bastone; per un istante perfino l’acquosità dell’occhio s’illuminò di irosa vita. “Vattene.”
“Cercavo un barcone per attraversare il fiume, col carro.”
“Io non so niente.”
“M’hanno detto che doveva essere da queste parti. Adesso si fa sera e lo cercherò domani. Lasciami stare sotto la tettoia per questa notte, ti posso pagare.”
“Non ti lascio stare in nessun posto, vattene subito.”
Dalla voce si capiva quanto fosse vecchio, e gli veniva anche da ridere, a Pietro, per le gambe nude, i piedi nudi, tutto il corpo nudo sotto il mantello grigio, escluso uno straccio bianco che portava davanti e che si vedeva quando egli apriva il mantello per mostrare l’arma; ma non rideva appunto per quell’arma, e anche se era convinto di parlare inutilmente, disse ancora: “Faccio il sarto, posso pagarti. Mi pare che non ci tieni nessuno sotto la tettoia”.
Pensava a Ida che dormiva nel carro da una settimana e con la ragazzina accanto non potevano neppur toccarsi, stava anzi in mezzo, Giovanna, e non gli restava che girarsi sulla paglia dall’altra parte: invece sotto la tettoia avrebbero potuto lasciare lei nel carro, e loro due buttarsi in un angolo, già lo studiava, vicino al muro della casa, soli.
“Non ho bisogno di nulla ed è meglio che te ne vai.”
“Ti pago quello che vuoi, anche oro, o caricatori. Per una notte non ti costa niente.”
“Te ne vuoi andare?” gridò il vecchio. “Te ne vuoi andare?” E appoggiò il calcio dell’arma quasi sullo stomaco dando un brutto colpo deciso alla sicura.
“Sta’ calmo, me ne vado.” Ma non gli volse completamente le spalle, s’avviò lungo il canale, di modo che per un poco poté vedere ancora il vecchio, di fianco, tenendo il capo lievemente voltato verso di lui, che stava fermo con l’arma sullo stomaco, e anche a costo d’inciampare e fare un tonfo nel canale, non guardava dove metteva il piede, per non perderlo di vista, e si persero di vista così, sotto una grande chiazza di cielo sereno che si allargava in alto proprio sopra di loro, o sembrava, l’uno rimanendo fermo vicino alla casa, in mantello e con la pezza bianca tra le gambe e nient’altro, e Pietro camminando col capo sempre più voltato, per vederlo finché non fosse stato al riparo.
Si fermò quando il filare di alberi, per la prospettiva, gli si raccorciò alla vista, divenne compatto, formò una specie di muro, e poi il vecchio, a quella distanza, non avrebbe colpito niente. Deve vivere solo, pensava. Se vi fosse stato qualche altro meno decrepito sarebbe venuto fuori ad accoglierlo, ma poteva darsi anche di no, o poteva darsi che gli altri fossero in giro e tornassero la notte. Non era prudente attaccare, era rimasto vivo soltanto muovendosi con grande prudenza, lasciando incalcolato il minor numero di particolari, come quando prima della colonia di Voghera era sceso dal carro ed era stato mezz’ora seduto davanti a quel morto, e poi gli aveva girato intorno, perché non vedeva bene dove fosse ferito, perché fosse morto, e se lo era. Soltanto dopo mezz’ora gli si era inginocchiato alle spalle, gli aveva spinto la canna dell’arma sul collo, l’altro era rimasto fermo, poi quando lo voltò, vide che non poteva essere più pericoloso per nessuno. Stringeva ancora in mano un sacchetto con un centinaio di caricatori, doveva aver depredato qualche armaiolo, ma era stato ferito al ventre e fuggendo era morto lontano, dove Pietro l’aveva trovato. Non era prudente. Poi adesso era quasi tutto sereno, non gli serviva più tanto quella tettoia, con l’angolo che aveva adocchiato, avrebbe dormito in terra con Ida, e la bambina sul carro, perché si sarebbe fatto un po’ asciutto il terreno, ora di sera, già lui era rivestito quasi di traverso dal sole al tramonto, incolore però come fosse in un pomeriggio d’inverno. Per quella sera, pensò, non gli restava che tornare al carro, si sarebbero messi a cercare il barcone al mattino dopo.
Ma quando lasciò la sponda del canale s’avvide subito della breve muraglia, una slabbrata parete di mattoni cotti, quasi tutta rinverdita di erbacce, come ne sorgevano spesso, un po’ da per tutto, nelle pianure e sui monti, vicino al mare, sui laghi, e tutti sapevano cosa fossero, anche se non ne parlavano, perché non interessavano più e non volevano dire più nulla, anche quando portavano un nome che veniva ripetuto perché era il nome della colonia. Non l’aveva veduta prima perché seguiva il vecchio, ma adesso gli era d’un tratto di fronte, e sotto una specie d’arco, formato da una pietra messa in cima ai mattoni, doveva essere marmo perché biancheggiava, era seduto un uomo in terra, che lo guardava, e certo quello sguardo lo aveva spinto a volgersi dalla sua parte.
Le mani però, l’uomo le teneva sulle ginocchia, e lo sguardo era tranquillo, quasi paziente, come tutta l’espressione del…
Tit. originale: Il Cavallo Venduto
Anno: 1963
Autore: Giorgio Scerbanenco
Edizione: Rizzoli (anno 1963)
Pagine: 168
Dalla copertina | In una Italia post-apocalittica il caos regna sovrano. Solo un luogo è esente da tutto ciò: Milano. Il benessere e l’ordine sembrano essere garantiti nella ex metropoli in ricostruzione, ma il prezzo da pagare è la propria libertà individuale. In un mondo diviso tra disordine e razionalità, si svolgono le storie di differenti personaggi che fanno de Il Cavallo Venduto un originale racconto di uno degli scrittori italiani più talentuosi del ’900.