Il Cyberpunk è morto?
Qualcuno dice che il cyberpunk è morto
Navigando in rete, oramai un po’ di tempo addietro, ho trovato il sito di Librinuovi. Scartabellando qua e là ho scaricato un documento che ha attirato la mia attenzione, mi incuriosiva: Cyberpunk ne “Gli speciali on line”.
Prima di iniziare a parlare di questo argomento, e di questo testo in particolare, voglio fare una premessa: a me piace il cyberpunk; e quindi scrivo questa forma di libero pensiero, non per difendere tutto il genere in questione, ma per difenderne le fondamenta e le colonne portanti dalle critiche pesanti che gli vengono mosse dagli autori del documento.
Innanzi tutto credo sia opportuno spiegare cos’è il cyberpunk. Il termine vero e proprio sembra nasca nel 1986 da GARDNER DOZOIS, il curatore della “Isaac Asimov’s Science Fiction Magazine”. La “De Agostini” nel vocabolario on-line del suo sito (http://www.sapere.it/) lo definisce: “moderna tendenza di cultura alternativa fantascientifica che, raccogliendo in parte la carica protestataria del movimento punk, la trasferisce sul piano della realtà virtuale parallela creata dalle reti telematiche”. Il genere inoltre deriva direttamente dalla “New Wave” britannica che ne ha influenzato notevolmente lo sviluppo (come da diretta ammissione di W. GIBSON e di B. STERLING, due degli autori più famosi che hanno fatto di questo genere la loro icona).
Una definizione che aggiunge un pizzico di fascino estetico a tutte quelle già date è quella attributa (sempre negli anni ’80) agli scrittori del genere, che vengono definiti dei mirrorshades (letteralmente: occhiali a specchio), in quanto il loro modo di scrivere non fa trapelare quali sono i loro reali sentimenti: essi rappresentano l’imperscrutabilità, ma soprattutto riflettono la realtà (od il futuro) delle cose, esattamente come gli occhiali a specchio, che tra l’altro sono un oggetto ricorrente nei racconti.
Passando al documento summenzionato: nel primo capitolo, “Morte e trasfigurazione del cyberpunk”, MELANIA GATTO (colei che ha curato l’opera e che pare evidentemente avversa all’argomento senza, secondo me, averlo approfondito più di tanto) parte in quarta per un attacco frontale. Descrive il cyberpunk (CP come lo definisce lei) “…una cometa che ha transitato nel cielo della narrativa di speculazione (…) Ancora per molto tempo navigheremo tra i suoi luminosi detriti”.
Qui inizio in realtà il mio pensiero… Tanto per cominciare, se i detriti sono luminosi, forse così cometa o facente parte dell’universo speculativo non é… altrimenti i frammenti si sarebbero già spenti al passare della moda. Un’altra osservazione iniziale: una meteora scompare in pochi istanti… dal Blade Runner di RIDLEY SCOTT (che effettivamente non è un film cyberpunk in quanto tratto da un racconto di P.K. DICK definito fantascientifico, ma le sue atmosfere cupe, la sua collocazione nel neo-realismo ed il fatto che parla di corporazioni che per il profitto giocano sulla vita di “creature viventi”, lo fanno rientrare a pieno titolo nel genere cyberpunk), al primo Matrix (inteso come il primo dei tre film della serie cinematografica) amato in tutto il mondo sono passati 17 anni. Qualcosa di più di pochi attimi.
Io ho inoltre il vizio di ritenere speculativo un qualcosa che nasce, cresce e muore seguendo gli andamenti di un mercato voglioso di danaro facile. In questo non riesco a capire come possa un prodotto che detiene una piccola nicchia di mercato – basta passare per una qualsiasi libreria o biblioteca per capire che il genere cyberpunk detiene una percentuale infinitesimale dello spazio complessivo – essere considerato speculativo. Se si vuole parlare di speculazione nel campo dell’editoria si devono ricercare altri soggetti; a mio avviso vi è molta più speculazione su nomi come Crichton, Grisham o Clancy che fanno uscire un numero spropositato di libri e che da soli occupano lo stesso spazio dedicato alla fantascienza nelle librerie, o sulle sequele dei libri pubblicati da comici di vario genere e stampo, che non su nomi come Gibson o Sterling che pubblicano libri col contagocce.
Il genere cyberpunk nasce alla fine degli anni ’70 – inizi anni ’80, uno dei primi racconti, nato ancor prima della definizione del movimento stesso, è Frammenti di una rosa olografica di W. Gibson (1977, pubblicato in Italia nella raccolta di racconti La notte che bruciammo Chrome). Il racconto non accenna né al cyberspazio né ad hacker impazziti, è sicuramente legato all’evoluzione tecnologica, come già specifica il titolo, ma al contrario della fantascienza più tradizionale la vede in un futuro molto vicino.
In questo scarto temporale si articola una delle due differenze tra cyberpunk e fantascienza: spesso la fantascienza è ambientata in un possibile futuro molto distante nel tempo, mentre il cyberpunk si sviluppa generalmente in un futuro prossimo.
Il nome stesso, comunque, fa rientrare a pieno titolo questo filone sotto la fantascienza, vi compare infatti il prefisso cyber, che l’enciclopedia “De Agostani” definisce così: “Cyber-: (o ciber-). Prefisso usato in termini composti di formazione moderna che indica attinenza con la cibernetica o con l’informatica.”
Sempre la “De Agostini” a proposito della fantascienza classica riporta: “(dall’inglese science-fiction) genere narrativo che riflette ipotesi fantastiche o verosimili fondate su un certo tipo di predizioni scientifiche proiettate sull’avvenire del mondo. Vengono considerati precursori della fantascienza Cyrano de Bergerac, J. Swift, M. Shelley, E. Poe, ma la letteratura fantascientifica vera e propria nasce negli anni Venti. J. Verne, H. G. Wells ne sono i padri riconosciuti; ai loro modelli si rifanno la fantascienza di anticipazione tecnologica e la fantascienza avventurosa (il filone più tradizionale e più conosciuto è quello delle astronavi e dei mostri extraterrestri). Negli ultimi decenni il dominio della fantascienza si è esteso, sviluppando nuove tendenze (fantascienza sociologica, fantapolitica ecc.). I generi tradizionali si sono rinnovati: anche la tipica avventura spaziale tende a complicarsi di risvolti inizialmente assenti, come dimostrano le parabole esemplari di E. Hamilton e J. Williamson. Esistono due filoni principali: il più conosciuto e imitato è quello anglosassone, specialmente americano, diffuso in tutta Europa (I. Asimov, R. Bradbury, R. Sheckley, C. D. Simak, A. E. Van Vogt), e quello sovietico, meno conosciuto ma estremamente interessante, il cui scrittore più noto in Italia è I. A. Efremov”. Viene precisato che “…i generi tradizionali si sono rinnovati…”, e pare evidente quindi l’introduzione sulla scena fantascientifica di altre correnti (tra cui appunto il cyberpunk).
La seconda differenza è senza ombra di dubbio lo stile di scrittura.
La fantascienza più classica ha sempre usato toni abbastanza equilibrati, figlia del contesto culturale e sociale che l’ha vista nascere (ricordiamo che fino alla prima/seconda guerra mondiale l’Europa era quasi interamente di ispirazione monarchica), se lo scrittore fantascientifico doveva fare osservazioni e/o critiche alle istituzioni lo faceva in modo pacato o con metafore.
Sta di fatto che la carica protestataria degli anni ’60 sfocia a suo modo nella vita di tutti i giorni, forse nasce nella musica giovanile con il movimento punk, ma poi si trasferisce in altri settori della vita sociale… anche nella letteratura!
Alla fine degli anni ’70 vari scrittori tendono a rivedere la fantascienza, troppo lontana dal reale con le sue astronavi ed i suoi robot; narrando un futuro più vicino dove lo sviluppo tecnologico è quello previsto per i prossimi trent’anni o poco più, introducendo un sempre maggiore divario sociale tra ricchi e poveri, nel contesto di una collettività sottoposta allo stretto controllo di grandi aziende (che chiameranno corporazioni, un termine ripreso oggi nella vita reale)… Forse un sociologo potrebbe dire che spostano le problematiche della vita sociale in un possibile futuro prossimo. Questo riflette la trilogia dello “Sprawl” di W.Gibson (altro commento negativo all’opera di Melania Gatto è che considera certi libri fini a se stessi, mentre fanno parte di una saga o di una visione più allargata e comune): un mondo cupo, dove l’essere umano è una semplice marionetta sfruttata nelle mani di aziende gigantesche.
Da questo punto di partenza il cyberpunk si allarga, diventa un universo senza confini definiti… ma con due elementi comuni a quasi tutti i suoi autori: il primo è come detto sopra il linguaggio di protesta, il secondo è il cosiddetto cyberspazio.
Il cyberspazio è la rete telematica, una specie di mondo nel mondo. Da qui nasce la filosofia degli hacker, pirati che riescono ad introdursi nel flusso di informazioni che viaggiano da un punto all’altro del globo. Anche questa ambientazione è una visione futuristica, si deve infatti ricordare che già nel 1981 venivano pubblicati racconti dove il protagonista riusciva a collegare il proprio cervello al cyberspazio come noi oggi colleghiamo il computer ad internet, oppure dove lo stesso protagonista poteva diventare un contrabbandiere o correre di informazioni… inserendole nel cervello, come noi carichiamo un floppy disk nel pc (il primo riferimento è a La notte che bruciammo Chrome, il secondo a Jonny mnemonico – da cui è stato tratto l’omonimo film alla fine degli anni ’90, interpretato da K. Reeves – entrambi di W. Gibson). In molti di questi racconti o romanzi, in cui è citato il cyerspazio, gli scrittori definiscono la rete telematica anche con il nome di “matrice”; anzi nel libro Giù nel cyberspazio di W. Gibson la parola matrice è usata più spesso del suo sinonimo cyberspazio e soprattutto inserita nei momenti più topici. Il termine diverrà poi nel 1999 il titolo di un film: Matrix.
Riassumendo, possiamo distinguere questi tre punti fissi:
1) il cyberpunk è un’appendice della fantascienza, ma “cammina con le proprie gambe”;
2) il genere non è stato una bolla speculativa ma piuttosto una forma di protesta letteraria alla civiltà;
3) gli scrittori cyberpunk hanno creato un diverso punto di vista sulla fantascienza.
Ed ora siete pronti per una negazione di quello che ho detto all’inizio?! Il cyberpunk è morto! In questo Melania Gatto aveva una base di ragione, “Ma come! Ha appena detto che il cyberpunk è un ramo della fantascienza che cammina con le proprie gambe ed ora sostiene che è morto?!” penserete voi! Diciamo che in realtà il cyberpunk è contemporaneamente vivo e morto. Morto in quanto è stato Bruce Sterling a sancire la fine del movimento letterario, in un articolo apparso nel 1991 sul numero 48 della rivista inglese Interzone con il titolo “Il cyberpunk negli anni Novanta”. Il motivo non è ben chiaro, forse riteneva che le “previsioni” della fine degli anni ’70 prospettate dai primi “cyberpunkiani” si fossero avverate, forse credeva che il movimento si fosse esaurito, chissà… Tuttavia, pur essendo “ufficialmente” morto, il cyberpunk gode di discreta salute, perché altri scrittori (anche di un certo rilievo) hanno continuato l’opera e scrivono romanzi e racconti seguendo lo stesso filone, lo stesso W. Gibson ha fatto uscire una serie di libri dopo l’articolo di Sterling (la seconda trilogia composta da Luce virtuale, Aidoru ed American acropolis, e preceduta dal racconto La stanza di Skinner).
Il cyberpunk può ritenersi “ucciso” inoltre dallo scarso numerodi libri di genere pubblicati in Italia e reperibili nelle librerie, ma al tempo stesso rimane vivo perché fino a che anche un solo scontrino verrà battutto, e lettori e scrittori ne leggeranno e scriveranno, non lo si potrà considerare morto.
Un ultimo appunto lo devo fare a Melania Gatto… A pagina 38 (secondo l’indice) o a pagina 40 (secondo la numerazione delle pagine del suo documento) titola: “Fuori tempo massimo: lo steampunk”.
Lo Steampunk nasce da un libro nemmeno recensito dalla Gatto: La macchina della realtà di Bruce Sterling, che esce nel 1990, solo pochi mesi prima che lo stesso Sterling dichiarasse la morte del cyberpunk… che non sia un caso? Del genere non ho trovato definizioni sulle enciclopedie, e quindi lo devo descrivere con parole mie: “Il punk a vapore (traduzione letteraria) è ambientato in un’epoca vittoriana mai vista nella realtà. La tecnologia è molto più avanzata rispetto al periodo storico descritto, alcune invenzioni paiono giungere direttamente dalla fantascienza mentre molte macchine si muovono ancora col vapore, il clima della ribellione punk si ritrova nelle parole di chi scrive, mentre si possono intravedere sullo sfondo importanti personaggi storici”. Il genere non è quindi una sottospecie del cyberpunk, anche se proviene dagli stessi autori, ma è più facilmente un genere affiancato, lo si potrebbe definire un fratello minore.
Lo steampunk è però stato un piccolo fallimento; già sacrificato nelle librerie era il cyberpunk, poco spazio rimaneva quindi per lo steampunk (e per altri rami della fantascienza poco commercializzati. Quindi più che fuori tempo massimo io mi permetterei di dire che il genere è andato fuori spazio massimo, fuori cioè dallo spazio che le librerie possono dedicare alla fantascienza.
Nel finire voglio dire che non contesto né le idee né i gusti di chi non ama il cyberpunk, o che proprio lo disprezza (i gusti sono sempre personali). Ho scritto queste pagine per due motivi: difendere un genere che a mio avviso è stato attaccato in maniera troppo vistosa e crudele, nonché inutile, senza peraltro essere degnamente spiegato; e per spiegarlo appunto a tutti quelli che non lo conoscono.
Enrico Gradellini
Risposta di Melania Gatto
“Mi scuso per l’intrusione, ma approfitto della disponibilità dei gestori del sito www.pennadoca.net per provare a fornire qualche breve spiegazione e chiarimento in merito all’articolo Qualcuno dice che il cyberpunk è morto, comparso nello spazio battezzato “Curiosità”. Nell’articolo veniva presentato e commentato lo speciale sul Cyberpunk da me curato (Morte e trasfigurazione del Cyberpunk) e apparso nel sito della rivista LN – LibriNuovi (www.arpnet.it/cs) Le accuse a mio carico, si possono così schematicamente riassumere:
1) di detestare e disprezzare il cyberpunk; 2) di avere affermato che il cyberpunk è stato una “cometa” che ha “transitato nel cielo della narrativa di speculazione”; 3) di avere affermato che il cyberpunk è morto, definitivamente morto, irreversibilmente morto; 4) di non aver messo sufficientemente in evidenza i legami tra romanzi apparsi in tempi diversi in Italia.
A scriverle così, una dietro l’altra viene da chiedersi come mai l’autore dell’articolo mi abbia risparmiato l’invio dei suoi padrini. C’è di che giustiziarmi sul posto, senza aspettare l’alba… Ma visto che mi è stato dato lo spazio per una difesa, non perdo tempo:
1) non detesto né disprezzo il cyberpunk. Anzi, la ritengo una delle forme narrative più innovative e interessanti comparse di recente. La prova del mio amore per il genere è la raccolta di recensioni e interventi che la rivista ha pubblicato in rete. Sarei davvero un tipo curioso se dedicassi una quarantina di pagine e una trentina di recensioni solo per dichiarare ostilità a un genere letterario. Una scrollata di spalle e il silenzio sarebbero sufficienti.
2) Che il cyberpunk sia stato una meteora, perlomeno secondo il metro dei movimenti letterari e culturali, è innegabile. Feconda, potente, brillante, questo sì, ma (ahimé) anche breve. Sicuramente tale nella coscienza che i suoi fondatori e autori avevano del fenomeno. A decretarne la morte, infatti, è stato proprio uno dei suoi padri, BRUCE STERLING. Che poi, come è accaduto spesso, tra la morte dichiarata e la morte effettiva possano passare decenni è un fenomeno tipico dell’universo culturale e letterario. Come cerco di spiegare nel mio testo, sono convinta che il cyberpunk sia sopravvissuto “trasfigurandosi”, divenendo un elemento ormai irrinunciabile per chi voglia abbozzare una riflessione in forma narrativa sulla realtà che ci circonda. In quanto all’uso dell’aggettivo “speculativo”, l’ho inteso e impiegato nella sua accezione letteraria di “narrativa speculativa”, ovvero che “specula”. Una narrativa che riflette, elabora, investiga, studia, ricerca (dizionario Garzanti della lingua italiana), categoria alla quale si possono ricondurre il romanzo di fantascienza (speculazione scientifica), di speculazione storica, filosofica, o teoretica. Nulla a che vedere con la “speculazione” nel suo significato economico di “frode, sfruttamento, strozzinaggio” (ibidem). Sono convinta che il seguito della lettura del mio lavoro avrebbe potuto dissipare ogni dubbio in proposito, ma, evidentemente, non è stato così.
3) A questa accusa ho già parzialmente risposto in precedenza. Aggiungo soltanto che una “morte definitiva” di un genere o di una forma artistica non si è praticamente mai vista. L’arte – qualsiasi arte – procede per accumulazione, per aggiunta e modifica.
4) È vero, lo ammetto. A mia discolpa posso solo fare presente che lo “speciale Cyberpunk” apparso sul sito di LN – LibriNuovi è stato ottenuto “cucendo” interventi e recensioni comparsi in una decina di numeri della rivista. Uno speciale-patchwork che non pretende di essere una trattazione definitiva e completa del genere, soltanto un “invito” a leggerne ed apprezzarlo.
5) Non c’era un’accusa 5? Non è vero. Non chiaramente espressa, ma c’era. E io vorrei rispondere anche a questa. È normale, quando si vuole perorare una causa, cercare nei dintorni un antagonista. Se, purtroppo, gli antagonisti latitano (in Italia si è parlato poco di cyberpunk e gli interventi “teorici” sono scarsi o poco sistematici) può andare bene quasi qualunque cosa. Io sono stata, per l’autore dell’articolo comparso su http://www.pennadoca.net il qualcosa che mancava, l’occasione di testimoniare tutto il suo amore per il cyberpunk. Credo che l’accusa numero 5 non sia da rivolgere a me ma al mondo letterario italiano che ha dimostrato e dimostra così scarsa attenzione per le letterature di genere. E, in questo caso, non posso che associarmi e chiedere: “perché così poca attenzione per un genere letterario tanto ricco, fecondo e vivo?”.
Ringrazio vivamente per lo spazio concessomi. I migliori saluti a tutti i lettori
Melania Gatto