Il Drago di Sua Maestà è uno strano romanzo, a metà tra il fantasy e l’ucronia: ci troviamo, infatti, all’epoca di Napoleone, in un’Inghilterra politicamente isolata e alle prese, da sola, con lo strapotere francese. L’elemento di discrasia dalla realtà, ciò che modifica gli eventi che noi conosciamo e che aggiunge fantasia alla vicenda è uno solo: la presenza dei draghi.
Niente magia, nessuna arcana conoscenza, dunque; questi rettili alati sono considerati alla stregua di una cavalleria dell’aria, e come tali l’autrice li descrive anche se, ovviamente, in ossequio alla tradizione, essi sono straordinariamente intelligenti e sviluppano un rapporto molto stretto con i propri cavalieri. NAOMI NOVIK si sforza, inoltre, di dare un tocco di originalità alle sue creature: le straordinarie capacità di questi maestosi rettili non sono, dunque, dono di un dio o caratteristiche innate della loro razza, ma vengono create e modificate dall’uomo tramite incroci e un’accurata selezione. Sembra quasi che l’autrice abbia conoscenze di tipo equestre, dal modo con cui descrive le caratteristiche di queste incredibili creature dell’aria.
La narrazione si incentra sulla figura di Will Laurence, capitano di marina, che, a seguito di un’azione di pirateria contro una nave francese, entra fortunosamente in possesso di un uovo di drago. Quando, alla sua schiusa, l’animale sceglierà con decisione proprio Laurence come cavaliere e compagno di vita, il giovane dovrà abbandonare la propria carriera nella flotta inglese e iniziare una nuova avventura, nell’arma aerea.
L’aspetto senz’altro più positivo di questo romanzo è l’estrema attenzione con cui viene descritto il rapporto uomo-drago, attraverso il legame tra il drago protagonista, Temeraire, e il suo capitano; ma non solo: l’addestramento a cui entrambi devono sottoporsi per essere ammessi nelle forze aeree inglesi è del tutto credibile. Siamo, dunque, lontani anni luce dai mirabolanti draghi di Licia Troisi che trasportano comandanti di fanteria. Nel romanzo della Novik, queste creature hanno uno spessore psicologico paragonabile a qualsiasi personaggio umano: di Temeraire, infatti, possiamo apprezzare la crescita fisica e mentale, un ingrediente prezioso che conferisce realismo alla storia. A proposito di realismo, chi si aspetterebbe la vanità di una donna di fronte a un bel gioiello da parte di un rettile grande e grosso? Per non parlare del legame drago-cavaliere, descritto di volta in volta come un sentimento paterno, come l’affiatamento che unisce due compagni d’armi e, in qualche occasione, quasi come l’affetto che lega due amanti: nulla, infatti, nemmeno la famiglia, può intromettersi in tale prezioso rapporto.
Per quanto riguarda il protagonista umano della vicenda, anch’egli è soggetto a un cambiamento che non solo è del tutto percepibile ma anche plausibile nel suo evolversi. Nonostante l’opposizione del padre, lo scetticismo degli antichi camerati e i suoi stessi dubbi (gli aviatori infatti, agli occhi dei più, rappresentano una strana e chiusa categoria, completamente dediti al benessere del proprio drago), il capitano saprà trovare la sua giusta dimensione all’interno dell’aviazione inglese, portandovi anzi una ventata di novità proprio per il suo ruolo di “parvenu”.
La descrizione dell’addestramento ci permette così di apprezzare lo spessore psicologico di molti protagonisti.
Per contro, questo strumento toglie spazio all’azione, che in molte parti della storia manca. Ciò è forse comprensibile, trovandoci nella prima parte di quella che si prospetta come una trilogia; tuttavia la presenza dei draghi e la situazione bellica crea ben altre aspettative: la vicenda è narrata in modo tanto realistico che il lettore s’immedesima in quest’atmosfera da Seconda Guerra Mondiale, da Battaglia d’Inghilterra… ma, come dicevo, l’azione poi latita, o almeno i colpi di scena non sono così frequenti come ci si aspetterebbe. Solo verso la fine il brivido della battaglia finalmente emerge: l’invasione di Dover è descritta con dovizia di particolari e, bisogna ammetterlo, anche con una certa originalità, tratteggiando una sorta di operazione “Leone marino” ante litteram; sarà proprio in questa occasione che il nostro protagonista, il drago Temeraire, saprà sfoggiare al momento giusto abilità che capovolgeranno le sorti dello scontro.
Un altro aspetto che senz’altro manca nella narrazione è un punto di vista più globale: il tutto si svolge attraverso gli occhi del capitano Laurence e, dove egli non è direttamente presente, il lettore non riesce a vivere avvenimenti e situazioni. La battaglia di Trafalgar, per esempio, rappresenta una grande occasione perduta, e noi ne conosceremo lo svolgersi solo tramite i racconti, un po’ enfatici, che arriveranno da fuori alla base aerea scozzese dove avviene l’addestramento dei draghi. A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che nulla di ciò che accade in campo francese è percepibile per il lettore: possibile che un “cattivo” dalle caratteristiche così straordinarie come Napoleone, la cui figura non è certo identificabile con il Sauron della situazione, non sia degno di una maggiore attenzione? In me, inoltre, sono affiorate molte curiosità ucroniche: quale è stato il ruolo dei draghi nelle vicende vicine al periodo storico descritto, quelle che hanno portato alla Rivoluzione Francese? Per non parlare delle precedenti, che hanno visto i Romani e gli Spagnoli dominare l’Europa.
Questi aspetti affioreranno forse nei prossimi volumi della saga, insieme al ruolo preminente che sembra già ora rivestire, nel mondo della Novik, la Cina: chiave di volta e giustificazione di questa superiorità sono ancora una volta i draghi, con le razze orientali descritte come più forti rispetto a quelle europee. Le appendici, dunque, pur preziose, potevano essere sfruttate in modo migliore e, personalmente, avrei fatto tranquillamente a meno di un capitolo di anticipazioni. Per concludere il mio giudizio è senz’altro positivo, anche se mi auguro che la vera sostanza della vicenda emerga nei prossimi capitoli della saga.