Il Ghigno di Arlecchino

Il Ghigno di Arlecchino

È sottoposto a esperimenti brutali da colui che chiama padre. Rinchiuso in un laboratorio che è casa sua fin dalla nascita. Costretto a sottostare alle voglie del suo creatore, in un mondo all’apparenza perfetto, in cui non c’è morte per nessuno. Arlecchino soffre, vittima del Multiverso e delle regole che impone. Ma il folle personaggio dal ghigno feroce e frenetico si ribella. Fugge via, ed è intenzionato a cambiare le sorti del Multiverso, portando il Caos in ogni angolo con la sua risata.

È Il Ghigno di Arlecchino di Adriano Barone, la nuova proposta di Asengard Edizioni per la collana “Wyrd”, che va ad aggiungersi a Il Sentiero di Legno e Sangue di Luca Tarenzi. Presentato in anteprima allo scorso Lucca Comics & Games, è quanto di più bizzarro si possa chiedere e trovare in un’opera di narrativa anticonvenzionale.

La storia è incentrato sulla figura del Trickster (ingannatore), uno spirito antropomorfo, abile imbroglione e dalla condotta ribelle. Uomo o donna, ma anche rappresentato da forme animalesche quali il coyote, la volpe o il ragno, il Trickster è soprattutto il ritratto del cambiamento e dell’imprevedibilità.

Il Trickster di questo romanzo è un mix di mitologia e folklore, che trova il suo aspetto fisico, burlesco a dark, nella storpiatura della maschera della Commedia dell’Arte; tuta a rombi scuri e sfumature violacee e ghigno da giullare.

Barone, “padreautore”, si lancia in un’opera weird di ottima caratura, contrassegnata da uno stile crudo, efficace e studiato, capace di rispecchiare il genere fin dalle prime battute. Il lettore viene immediatamente trascinato nell’ambientazione mediante un incipit tagliente e mozzafiato. L’abilità visionaria e lo stile di Barone creano effetti grotteschi, emozioni contrastanti, destabilizzando e manipolando a più livelli la trama. Le sorti di Arlecchino mutano in continuazione; si spandono, si comprimono, disgustano con atti osceni. Il desiderio sessuale è voglia di attenzione. Follia. Il bizzarro è ovunque, e splende in tutta la sua magnificenza nei dialoghi e nella narrazione sconvolgente, in alcuni punti priva di punteggiatura. È una protesta, un inno al ghigno del “buffone definitivo”.

Ciò che piace – e che, inevitabilmente, potrebbe al contempo far storcere il naso ad alcuni lettori – è lo stile di scrittura che Barone sfoggia con coraggio per tutta la durata del libro. A differenza della storia del suo Arlecchino, l’espressività dello sceneggiatore de L’Era dei Titani e Tipologie di un Amore Fantasma è in grado di generare l’ordine dal caos. Nella suddivisione in tre parti del volume, infatti, la sensazione di perdersi nei particolari è sempre dietro l’angolo, ma la ragione e la linearità della trama sorprendono. In un genere in cui gli stereotipi della narrazione non esistono, è interessante scoprire come la trama abbia un processo chiaro e ben congegnato. Si inizia con la ribellione del Trickster e si finisce…

L’astrattismo cementato nell’Horror e nella Fantascienza plasma l’universo multitraccia dell’opera di Barone, in cui il punto forte sono le emozioni che trasudano dalle pagine e le incredibili azioni di Arlecchino, che in tutta la sua mostruosità riesce anche a commuovere. Perché il disgustoso e camaleontico protagonista è anche un essere tenero e vulnerabile; un plauso quindi all’autore per aver conferito al personaggio un aspetto poliedrico e surreale, un misto – azzardando un paragone – tra il Joker di Alan Moore e le centinaia di riproposizioni e parodie del Cappellaio Matto di Lewis Carroll.

Un libro da amare incondizionatamente, o da odiare senza mezzi termini. La certezza è che Arlecchino non lascerà nessun lettore indifferente.