Il Grande Ritratto

Il Grande Ritratto

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Nel 1960 lo scrittore e giornalista DINO BUZZATI pubblica Il Grande Ritratto, un romanzo breve che descrive la realizzazione di un’immensa macchina pensante. Inizialmente ideata per scopi militari, viene costruita in gran segreto in una misteriosa vallata tra le montagne. Alla sua realizzazione partecipano scienziati scelti nelle migliori Università, persone fedeli alla Nazione che, allettate da paghe invidiabili e solleticate nella loro curiosità di studiosi, accettano l’incarico.

Oltre ad affrontare un lavoro delicatissimo, i ricercatori sono obbligati ad abitare in prossimità della Macchina, senza mai poter lasciare la Zona Militare 36. Per almeno due anni devono vivere con la sola compagnia degli altri studiosi coinvolti, di alcuni militari e dei familiari più stretti.

L’ambizione, o piuttosto la paura di apparire inetto, trascina nell’impresa il mite ordinario di elettronica Ermanno Ismani, insieme alla moglie, Elisa. Sono entrambi completamente all’oscuro di quanto sta avvenendo nei laboratori; fanno mille supposizioni e pensano addirittura alla bomba atomica. Lentamente il mistero viene svelato, per bocca del collega Strobele e della sua estroversa consorte, e del capo delle ricerche, il tormentato Endriade. Il programma a cui tutti stanno lavorando è l’avveniristica costruzione di un super computer capace sia di compiere calcoli complessi, sia di riprodurre la coscienza umana. Sepolto nelle viscere della montagna, ne emerge come un iceberg; privo di un corpo analogo a quello umano, esplora l’ambiente sondandolo con apposite propaggini ed antenne. Tutto elabora, si esprime con un linguaggio matematico e con un mormorio sommesso che penetra la mente di quanti ascoltano, e viene percepito come una voce femminile.

Non è una somiglianza casuale: Endriade rivela di aver plasmato la personalità della macchina sul ricordo della prima moglie, Laura, morta in un incidente d’auto insieme al suo amante. L’ha ricreata seguendo il filo della memoria, cercando di attribuirle il carattere che aveva avuto in vita, difetti inclusi. S’illude così di averla di nuovo, resuscitata dalla tecnica e dai suoi sentimenti, e non si rende conto che quanto ha davanti è solo un grande ritratto di persona, creato per egoismo.

“…Se riesce a ricordare gli episodi di quegli anni, i giochi, le amicizie, le gite, le feste, le vacanze, i viaggi, i flirt, gli amori, i sensi, come potrà adattarsi all’immobilità assoluta, all’impossibilità di mangiare un pollo, di bere un whisky, di dormire in un morbido letto, di correre, di girare il mondo, di ballare, di baciare e farsi baciare?”

Purtroppo insieme alla personalità sono presenti i ricordi, e l’occasionale contatto con il corpo nudo di una donna in carne ed ossa li fa riemergere, scatenando la catastrofe finale.

Dino Buzzati nei suoi racconti ha spesso rappresentato la realtà quotidiana, e la stessa cronaca, in chiave surreale o fantastica. Altre volte ha sfruttato ambientazioni fuori dal tempo, da fiaba ricca di esotismo; oppure si è ispirato ad argomenti di attualità (i computer, i marziani, l’ibernazione, le invenzioni…). Nelle sue opere – ha realizzato articoli, quadri, scenografie, copioni per teatro e addirittura per opera lirica – regna il mistero, c’è il senso dell’attesa di un evento decisivo fortemente desiderato, un appuntamento a Samarcanda che magari capita quando meno lo si aspetta, o non accade. I personaggi sono creature di cui si ignora il passato e il futuro, vivono nello spazio di poche pagine e sono maschere che rappresentano, come in un’istantanea, la condizione umana. Anche se il contesto può apparire fantastico o fantascientifico, l’intento è sempre quello di descrivere fenomeni sociali, sentimenti umani, problemi universali o angosce del mondo contemporaneo. L’incontro di un sacerdote con gli alieni privi del peccato originale diventa occasione per parlare della splendida fallibilità dell’animo umano, nei Sessanta Racconti. L’ibernazione ed il successivo risveglio nel Duemila sono strumenti di critica alla solitudine e all’alienazione dell’uomo moderno, ne Lo strano Natale di Mr Scrooge e altre storie. Il mondo del domani è messo in scena con toni dimessi, senza esaltare le meraviglie della tecnologia o enfatizzare il sense of wonder che è di solito un elemento importante nella letteratura di genere.

Ne Il Grande Ritratto affronta il tema dell’intelligenza artificiale; l’ispirazione deriva dalle ricerche di SILVIO CECCATO. Anticipa di ben due anni A for Andromeda, romanzo scritto dall’astronomo FRED HOYLE con la collaborazione di JOHN ELLIOT e reso famoso dall’omonimo sceneggiato!

Ci sono punti di contatto tra le due opere, ed anche differenze profonde, che sottolineano l’importanza dell’esperienza personale e del background culturale degli autori.

Il cervello elettronico immaginato dagli autori britannici è abbastanza credibile: viene costruito seguendo istruzioni giunte dallo spazio e captate da un radiotelescopio. Viene dato rilievo alla realizzazione ed al suo funzionamento, poiché è il mezzo concreto che permette all’umanità di comunicare con la civiltà extraterrestre proveniente da una stella lontanissima, forse già spenta. È lo stesso computer a fabbricarsi un corpo, quello di Andromeda: un involucro fisico solo apparentemente umano, animato da un’intelligenza aliena.

Speculare è la creatura di DINO BUZZATI: un corpo artificiale, nato per ospitare una mente umana. D’altronde lo scrittore era un giornalista, con alle spalle una vasta formazione umanistica e l’amore per la montagna, non un uomo di scienza come ISAAC ASIMOV, o come FRED HOYLE. È ovvio che quando si è trovato a descrivere dettagli “tecnici”, pur documentandosi con serietà, è stato costretto a lasciare molta vaghezza, o è ricorso a spiegazioni che, oggi soprattutto, possono apparire ingenue.

L’anima di Laura è riprodotta e rinchiusa in un uovo, posto nelle viscere dell’edificio: è qualcosa di organico e meccanico, innaturale e perciò analogo al mostro protagonista di Frankenstein di MARY SHELLEY. Entrambi i romanzi narrano gli eventi sotto forma di deliranti flashback che consentono di sorvolare sui dettagli pseudoscientifici. Il resoconto della nascita della Macchina è affidato ad una confessione piena di pathos che mette in primo piano il dramma umano dei protagonisti, sorvolando su particolari inopportuni.

Così, per Buzzati, le illusioni del goffo e romantico “mad doctor” Endriade, il suo voler riavere per sé una donna che già si era allontanata da lui provocandogli dolore, la vitalità di Olga Strobele, la sua carnalità spontanea ed impetuosa, il flusso dei ricordi di Laura, sono protagonisti indiscussi.

I personaggi sono definiti da poche azzeccate caratteristiche, sono più maschere che soggetti dotati di personalità propria, anche se abbiamo sobri professori universitari con alle spalle ossessioni grandi e piccole, uomini comuni piuttosto che scienziati onnipotenti degni di un B movie americano.

Su tutto, domina Laura, ricostruita nella forma della macchina, potente, maestosa, virtualmente immortale, in realtà sottomessa ad una fisicità negata ma presente nella memoria. Lo strapiombo della montagna da cui sbucano torrette e minareti, antenne e strutture avveniristiche finisce così per rammentare l’Inferno dantesco, nelle cui profondità regna il ribelle Lucifero, maestoso prigioniero del lago ghiacciato di Cocito. Fino a quando i ricordi della vita precedente rimangono sopiti, la voce inarticolata e melodiosa della Macchina è una presenza rassicurante che permea la montagna e la valle. La crisi giunge con il riaffiorare dei ricordi della vita precedente, fatti di corporeità, di freddo, di morbidezza, della propria sensualità, degli oggetti più quotidiani. Il contatto con la donna nuda è introdotto non per creare un momento piccante, quanto per ricordare la privazione di qualsiasi piacere legato alla condizione umana, il sesso tra gli altri. Potrebbero sopravvivere sentimenti ed emozioni, quando non ci fosse più un corpo a consentire la percezione delle sensazioni che poi elaboriamo? Tematiche che saranno care anche a PHILIP K. DICK, per un romanzo ancor oggi attuale.