Anteprima testo
Fu un bell’addio.
Il coro, tutto in bianco, con reticelle d’oro nei capelli, cantò con dolcezza angelica.
Quando finì, nella cappella gremita scese il silenzio e nell’aria si sparse il profumo di migliaia di petali.
Il feretro sovrastava una piramide di fiori: ai quattro angoli, vestite delle classiche tuniche di seta rossa con reticelle d’oro sulle teste chine e cordoni dorati sul petto, quattro ragazze reggevano le nappe d’oro, immobili come statue.
Il vescovo percorse in silenzio la navata e salì i quattro gradini fino al pulpito. Posò con cura la sua bibbia sul leggìo, si concentrò un momento, poi alzò gli occhi.
— …La nostra amata sorella Diana… l’opera lasciata in sospeso e che ora non potrà più compiere… ironia del destino non è il termine adeguato per indicare la volontà di Dio… Egli ha dato, Egli ha tolto… se ha divelto l’albero d’olivo prima che il frutto fosse maturo, noi dobbiamo accettare la Sua volontà… Vaso della Sua ispirazione… Devozione… Fortezza… Mutamento nel corso della storia umana… Il corpo della Tua serva Diana…
Gli occhi dei presenti, alcune centinaia di donne e un gruppetto di uomini, si volsero verso il feretro che, piano piano, cominciò a muoversi. Qualche fiore rotolò sul tappeto. L’organo suonava in sordina e le voci del coro ripresero alte e limpide. Le tende si aprirono per lasciar passare il feretro e subito ricaddero.
Singhiozzi, gemili, sventolio di fazzoletti bianchi…
Mentre il corteo usciva, Zephanie e Paul furono divisi dal padre. Si voltarono, lo videro a pochi passi, più indietro. In mezzo a quella folla di donne, sembrava ancora più alto. La bella faccia era inespressiva; sembrava solo, stanco, indifferente a tutto quello che lo circondava.
Fuori aspettavano altre donne, a centinaia, che non erano riuscite a entrare in chiesa. Molte piangevano. I fiori che avevano portato formavano un tappeto multicolore ai due lati dell’ingresso, e chi usciva doveva passarci in mezzo. Qualcuno, tra la folla, reggeva una grande croce ansata tutta di gigli, con un largo nastro di seta nera.
Sul viale, Zephanie trascinò Paul fuori dalla calca e si fermò a osservare la scena. Aveva gli occhi lucidi. Un sorriso malinconico le sfiorava le labbra.
— Povera Diana — disse, — chissà come si sarebbe divertita! — Tirò fuori il fazzoletto e si asciugò in fretta gli occhi. Poi con tono deciso, riprese: — Vieni. Cerchiamo papà e tiriamolo fuori da questa confusione.
Un bel funerale. Un bell’addio.
Il cronista del New-Record scrisse:
Donne di tutte le età erano giunte da ogni angolo dell’Inghilterra a portare il loro estremo tributo di affetto. Molte, arrivate all’alba, si erano unite a quelle che avevano aspettato per tutta la notte davanti ai cancelli del cimitero. E quando finalmente la lunga attesa fu ricompensata dall’arrivo del lento corteo sepolto sotto i fiori, i cordoni della polizia riuscirono a stento a contenere la massa dei presenti.
Fra le donne, molte spargevano petali davanti al carro funebre; quasi tutte avevano il volto rigato di lacrime. Da ogni parte si levavano voci di cordoglio.
Mai, dopo le esequie di Emily Davison (1), Londra aveva visto una folla così imponente di donne piangere con tanta sincerità la scomparsa di un’altra donna.
Seguiva una nota (il New-Record era sempre attento a rendere tutto comprensibile per i suoi lettori).
(1) Le esequie di Emily Wilding Davison si svolsero il 14 giugno 1913.
Sostenitrice del movimento per il Suffragio Femminile, mori in seguito alle ferite riportate il 4 giugno quando, durante il Derby, si gettò tra le zampe del cavallo del Re.
PRIMA PARTE
Il pavimento era lucidissimo, e qua e là dalle pareti pendevano fasci di sempreverde ravvivati da nastri colorati. A un lato della grande sala i tavolini erano stati accostati, e una grande tovaglia li aveva trasformati in una lunga tavolata bianca sulla quale erano allineati vassoi di panini, salatini, paste, poi succhi di limone e di arance, poi vasi di fiori e coppe. La sala sembrava una tavolozza in movimento.
Il liceo St. Merryn festeggiava la fine dell’anno scolastico.
La signorina Benbow, insegnante di matematica, ascoltava pazientemente il resoconto delle prodezze del cagnolino di Aurora Tregg, e intanto si guardava intorno cercando le persone a cui quella sera avrebbe dovuto dire una parola. Ecco laggiù in fondo, Diana Brackley, sola per il momento.
Diana meritava senz’altro le sue congratulazioni.
Approfittando di una pausa nella fitta chiacchierata di Aurora, la signorina Benbow le fece tanti complimenti per il suo cagnolino, e se la svignò.
Mentre attraversava la sala, all’improvviso vide Diana con occhi completamente diversi: non più una studentessa, ma una ragazza attraente. Forse era l’abito: un vestitino azzurro, forse era il taglio semplicissimo. Forse si trattava di qualcosaltro.
Diana aveva gusto e sapeva far figurare un vestitino da pochi soldi. Una dote da non disprezzare, pensò la signorina Benbow. E sempre guardando Diana, pensò anche che non la si poteva dire bella. Una bella ragazza è come un fiore di maggio. No, non la si poteva dire bella…
Diana aveva diciott’anni, esattamente diciotto. Abbastanza alta, uno e sessanta circa, sottile, diritta. Capelli scuri, con riflessi fulvi; fronte e naso non proprio greci, eppure con qualcosa di classico. Un’ombra di rossetto sulle labbra… non si va a un ricevimento senza trucco… ma appena un velo, adatto alla circostanza. Anche la bocca in fondo diceva poco, però sapeva sorridere con grazia, e non lo faceva troppo spesso. Ma il particolare più notevole erano gli occhi grigi: occhi belli, con un taglio magnifico, occhi che osservavano le cose con fermezza e con calma, senza imbarazzo.
Con un po’ di sorpresa la signorina Benbow scoprì una Diana fisica, estetica. Era la prima volta. Per lei la ragazza era sempre stata solo e soltanto un cervello.
Rimuginando tra sé la signorina Benbow arrivò in fondo alla sala. Diana la vide e le andò incontro.
— Buona sera, signorina Benbow.
— Buona sera, Diana. Volevo congratularmi con te. Splendida, veramente splendida. Sapevamo tutti che saresti riuscita bene, e sarebbe stata una bella delusione se non fosse stato così. Ma hai fatto più di quanto osassi sperare.
— Grazie, signorina Benbow. Il merito però non è tutto mio. Senza il vostro aiuto e i vostri consigli non avrei fatto gran che.
— Siamo qui per questo, Diana; comunque, sono sempre in debito con te. Una buona maturità da lustro alla scuola, e la tua è una delle migliori del St. Merryn. Lo saprai, immagino.
— Sì, la signorina Fortindale sembra davvero contenta.
— Più che contenta, Diana. È felice. Come tutte noi.
— Grazie, signorina Benbow.
— E naturalmente lo sono anche i tuoi.
— Sì — disse Diana, dopo un attimo di esitazione. — Papà è molto soddisfatto che io vada a Cambridge: lui ha sempre desiderato andarci. Se non fossi riuscita alla maturità, di Cambridge non se ne sarebbe certo parlato, e quando ci si è messi in testa una cosa… ebbene, è una specie di fallimento dover ripiegare su qualcos’altro, no?
La signorina Benbow non intendeva lasciarsi trascinare lungo quella china. Lei aveva dovuto rinunciare a Cambridge.
— E la mamma? Chissà com’è orgogliosa del tuo successo.
Diana la guardò con quegli occhi grigi che sembravano penetrare fin dentro l’interlocutore.
— Sì — disse poi. — La mamma la pensa proprio così.
Le sopracciglia della signorina Benbow si sollevarono leggermente.
— O per lo meno, sembra molto orgogliosa del mio successo — spiegò Diana.
— Lo è certamente — esclamò la signorina Benbow.
— Comunque ci prova… ed è stata davvero molto cara. — Guardò di nuovo la signorina Benbow con occhi penetranti. — Perché le madri pensano ancora che per le ragazze sia più rispettabile avere qualità da marito che avere un cervello? — chiese.
La signorina Benbow sbatté le palpebre. Un tasto imbarazzante, ma l’affrontò coraggiosamente.
— Ecco — disse, con molto buon senso, — anziché più rispettabile, io direi più comprensibile. Dopo tutto, il mondo del cervello per molte madri è un libro misterioso, e non si sentono del tutto sicure su questo punto. E
poi, com’è naturale, sono convinte di avere sufficiente esperienza per poter capire a aiutare gli altri.
La ragazza ascoltava con attenzione, ma non sembrava del tutto convinta. La signorina Benbow continuò: — Vedi, Diana, i genitori di solito vorrebbero che i figli si conformassero a un modello chiaro e comprensibile per loro. — Esitò un momento, poi proseguì: — Non hai mai pensato che quando la figlia di una donna di casa sceglie una carriera, in fondo critica sua madre? È un po’ come se dicesse: Il genere di vita che andava bene per te, per me non va. E di solito le madri, come tutti, del resto, gradiscono poco un atteggiamento del genere… Bene, dove passerai le vacanze, Diana?
— In Germania — rispose la ragazza. — Avrei preferito in Francia, ma pare che la Germania sia più interessante.
Parlarono per un po’ di vacanze poi la signorina Benbow si congratulò nuovamente e le fece tanti auguri per i futuri studi universitari.
— Vi sono veramente grata, signorina Benbow, e sono tanto contenta che siate soddisfatta — disse Diana. Poi aggiunse, pensosa: — È strano, ho sempre ritenuto che qualsiasi ragazza potesse diventare una buona moglie, anche senza troppo ingegno. E non vedo perché…
Ma la signorina Benbow non si lasciò attirare dall’argomento. — Oh! —
esclamò, — ecco la signorina Taplow. So che desidera parlare con te!
E mentre la signorina Taplow si congratulava con Diana, con una certa cautela, lei si voltò, trovandosi faccia a faccia con Brenda Watkins. Fece i suoi complimenti a Brenda, e intanto sentiva alle spalle la voce di Diana.
— Ecco, essere soltanto una casalinga non mi entusiasmerebbe affato, signorina Taplow. Voglio dire che nella professione di casalinga non c’è possibilità di fare carriera, a menu di non considerare quella di…
Tit. originale: Trouble With Lichen
Anno: 1960
Autore: John Wyndham
Edizione: Mondadori (anno 1962), collana “Urania” #286
Traduttore: Bianca Russo
Pagine: 160
Dalla copertina | Dai tempi in cui le suffragette rompevano a ombrellate le vetrine dei negozi, c’è in Inghilterra una forte tradizione femminista, e ad essa si richiama l’eroina di questo spiritoso romanzo di Wyndham. Ma oggi, in tempi di fantascienza, non si tratta più del diritto di voto o della parità salariale: con l’aiuto del lichene cinese, una muffa dalle miracolose proprietà, le donne mirano non all’eguaglianza con gli uomini, ma alla superiorità più assoluta e definitiva che esista.