Il Paese delle Due Lune (Tigana, di Guy Gavriel Kay)

Il Paese delle Due Lune

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Anteprima testo

Prologo

Le due lune splendevano alte e il loro chiarore offuscava quello delle stelle. Su tutt’e due le rive del fiume ardevano i fuochi dei bivacchi, che si stendevano su un’area vastissima, fino a perdersi lontano nella notte. Tra l’uno e l’altro campo, la Deisa scorreva pigramente; l’argento della luce lunare e il rosso dei fuochi creavano sulla sua superficie lunghe strisce serpeggianti. E tutte quelle scie parevano convergere negli occhi di Saevar, che, seduto sulla riva, con le mani sulle ginocchia, pensava alla morte imminente e alla vita da luì vissuta.

La notte aveva una sua grandezza, pensò, nell’inspirare profondamente l’aria di quella tiepida estate, che sapeva d’acqua, di fiori e d’erba, e nell’osservare il riflesso argento e azzurro sull’acqua e nell’udire il mormorio del fiume e il canto che veniva dai lontani bivacchi. Si cantava anche sull’altra sponda del fiume, notò, e tese l’orecchio per ascoltare i soldati nemici, accampati a nord. Era difficile attribuire un senso assoluto di malvagità a quelle voci armoniose, odiarle ciecamente come, a quanto pareva, era richiesto a un soldato. Ma lui non era realmente un soldato, né aveva molta esperienza nell’odiare.

Non riusciva a distinguere le figure che si muovevano sull’altra sponda del fiume, ma scorgeva i fuochi ed era facile capire che il numero delle persone accampate a nord della Deisa era molto superiore a quello delle persone che, dietro di lui, attendevano l’alba.

Quasi certamente, sarebbe stata l’ultima, per loro. Saevar non si faceva illusioni; e non se ne facevano neppure i suoi compagni, dopo la battaglia combattuta sullo stesso fiume, cinque giorni prima. L’unica cosa che rimaneva loro era il coraggio; il coraggio e un capo, il cui ardimento era eguagliato da quello dei due giovani figli che lo accompagnavano.

Erano splendidi ragazzi, entrambi. Saevar rimpianse di non averli potuti ritrarre, nessuno dei due. Al principe, naturalmente, aveva fatto molte statue, e lui lo giudicava un amico. Non poteva dire, rifletté Saevar, di avere avuto una vita inutile, o vuota. La sua arte gli aveva dato gioia ed era stata per lui uno stimolo; i grandi uomini della provincia, anzi dell’intera penisola, gli avevano tributato le loro lodi.

E aveva conosciuto anche l’amore. Pensò alla moglie, e poi ai suoi due figli. La figlia quindicenne, che con il suo sguardo gli aveva fatto capire il significato della vita, quando era nata. E il figlio, nato un anno troppo tardi per poter venire con lui alla guerra. Saevar si rammentò dell’espressione del ragazzo, quando si erano lasciati, e suppose che la stessa espressione fosse comparsa anche sul suo volto. Aveva abbracciato i figli e poi, a lungo, la moglie, in silenzio; tutte le frasi che avrebbe potuto dire erano già state dette molte volte, in quegli anni. Poi si era voltato, in fretta, perché non scorgessero le sue lacrime, ed era montato a cavallo goffamente, perché la spada, a cui non era abituato, lo impacciava, e aveva accompagnato il suo principe alla guerra contro gli invasori venuti dal mare.

Sentì rumore di passi alle proprie spalle; venivano dalla direzione dove ardevano i fuochi e dove i canti erano accompagnati dal suono di una syrenya. Si girò verso il nuovo venuto.

«Attenzione», disse piano, «se non volete inciampare in uno scultore.»

«Saevar?» chiese qualcuno, in tono divertito. Era una voce nota.

«Proprio io, mio signore. Avete mai visto una notte bella come questa?»

Il principe Valentin lo raggiunse (la luce era più che sufficiente per muoversi al buio) e si mise a sedere sull’erba accanto a lui. «Raramente», ammise. «Hai visto? Vidomni è calante come Ilarion è crescente. Le due lune insieme ne farebbero una intera.»

«Sarebbe una ben strana luna», commentò Saevar.

«Ma anche questa è una notte ben strana», rispose il principe.

«Davvero? Può cambiare, la notte, a causa di quel che facciamo qui, noi folli mortali?»

«Cambia l’occhio con cui l’osserviamo», rispose Valentin a bassa voce. «Ciò che sentiamo in questo momento nasce, almeno in parte, da quello che ci porterà la luce del mattino».

«E che cosa ci porterà, mio signore?» chiese Saevar, prima di riuscire a fermarsi. Comprese che sperava, come un bambino, che il suo principe gentile e orgoglioso avesse una risposta a quel che si stendeva al di là del fiume. Una risposta a tutte quelle voci di Ygrath e a quei fuochi di Ygrath. E soprattutto al terribile re di Ygrath e alla sua magia, e all’odio che sarebbe scaturito da lui l’indomani: e quello era un uomo capace di odiare senza limiti.

Valentin fissò il fiume, senza rispondere. In alto, Saevar vide cadere una stella: attraversò il cielo a ovest, per poi scomparire nella vastità del mare. Si pentì di avere fatto la domanda; non era il momento di caricare di un peso di falsa certezza le spalle del principe.

Ma, proprio mentre lo scultore stava per scusarsi, Valentin riprese a parlare, con voce bassa e misurata, per non farsi sentire al di là del loro piccolo cerchio di oscurità.

«Sono passato tra i bivacchi, e Corsin e Loredan mi hanno imitato, per dare conforto e speranza e anche per destare qualche sorriso, se possibile, che permetta agli uomini di riposare. Non possiamo fare molto di più.»

vero peccato non avergli mai fatto il ritratto».

«Spiace anche a me», disse Valentin. «Se qualcosa durerà dopo di noi, sarà l’arte, come la tua. I nostri libri, la nostra musica e la Torre di Orsaria ad Avalle.» S’interruppe, poi riprese il filo del discorso precedente. «Sono davvero coraggiosi. Hanno rispettivamente sedici e diciannove anni e, se avessi potuto, li avrei lasciati a casa con il loro fratello… e con tuo figlio.»

Per questo Saevar lo amava: perché Valentin si era ricordato anche di suo figlio, in un momento come quello.

Dietro di loro, a est, lontano dai fuochi, una trialla cominciò all’improvviso a cantare, ed entrambi gli uomini tacquero, per ascoltarne le note argentine. Tutt’a un tratto, Saevar si sentì il cuore pieno di commozione, e cercò di non piangere, perché non si pensasse che piangeva di paura.

Valentin disse: «Ma non ho risposto alla tua domanda, amico mio. Qui al buio è più facile dire la verità, lontano dai fuochi e da tutto il dolore che ho visto laggiù. Saevar, mi spiace immensamente, ma la verità è che il sangue che scorrerà domani sarà solo il nostro. Tutto il nostro sangue. Perdonami».

«Non c’è niente da perdonare», disse Saevar, con fermezza. «Non l’avete voluta voi, questa guerra, e non vi è stato possibile evitarla. Inoltre, io non sarò un soldato, ma non sono neppure uno sciocco. Era una domanda inutile; la risposta la vedo da me, nei fuochi sull’altra riva.»

«E nella magia», aggiunse tranquillamente Valentin. «Più nella magia che nei fuochi. Se si trattasse solo di un nemico più numeroso, potremmo sconfiggerlo, anche se siamo stanchi e feriti dopo la battaglia della scorsa settimana. Ma adesso c’è con loro la magia di Brandin. È venuto il leone in persona, e non il cucciolo, e poiché il cucciolo è morto, il sole di domani dovrà vedere il nostro sangue. Avrei forse dovuto arrendermi, la scorsa settimana? A quel ragazzo?»

Saevar fissò il suo principe. Non riusciva a credere alle proprie orecchie. Per un attimo rimase senza parole, poi trovò la voce. «Dopo una simile resa», disse con decisione, «sarei entrato nel Palazzo del Mare e avrei distrutto i ritratti che vi ho fatto.»

Un istante più tardi, lo scultore sentì un suono strano. Gli occorse qualche istante per capire che Valentin rideva: ma era una risata diversa da qualsiasi altra che Saevar avesse sentito.

«Oh, amico mio», disse infine il principe, «mi aspettavo di sentire qualcosa di simile. Ah, questo nostro terribile orgoglio. Si ricorderanno di noi solo per il nostro orgoglio quando non ci saremo più?»

«Può darsi», rispose Saevar. «Ma, in un modo o nell’altro, si ricorderanno di noi: lo so. Qui nella penisola, a Ygrath e a Quileia. E anche oltremare, nell’impero di Barbadior. La nostra fama resterà.»

«E resteranno i nostri figli», disse Valentin. «I più giovani. I figli che si ricordano di noi. E quelli ancora in braccio alle madri; e quando saranno abbastanza grandi per conoscere la…

Il Paese delle Due Lune - Copertina

Tit. originale: Tigana

Anno: 1990

Autore: Guy Gavriel Kay

Edizione: Sperling & Kupfer (anno 1992), collana “Pandora” #593

Traduttore: Riccardo Valla

Pagine: 506

ISBN: 882001310X

ISBN-13: 9788820013103

Dalla copertina | La lotta fra due potenti Re stregoni dilania la Penisola del Palmo teatro continuo di guerra e di orrore. Le province che ne fanno parte subiscono soprusi e violenze e una in particolare ha il suo destino segnato: l’annientamento totale. Distruzioni massacri terribili malefici e… una speranza di salvezza.