Prodotto nel 2002, questo lungometraggio animato (o meglio digitalizzato) della WALT DISNEY offre una gradevole e riuscita trasposizione fantascientifica del celebre romanzo per ragazzi di R.L. STEVENSON L’Isola del Tesoro. Ricorrendo a un soggetto letterario non originale, gli autori tornano alla classica formula dei celebri film targati Disney: prendere una storia nota, rimaneggiarla ed edulcorarla per poi vestirla con quanto di meglio offra l’arte grafica disponibile al momento.
E se tutto ciò non costituisce un passo avanti nella concezione disneyana di cosa debba essere un film di animazione, si può almeno tirare un sospiro di sollievo rivedendo scorrere sullo schermo una “storia animata” degna di questo nome. Questo film, infatti, esce in un periodo in cui la casa americana affolla il mercato home video di sequel di dubbio gusto (Lilli e il Vagabondo II, Cenerentola II, La Carica dei 101 II) o si affida per i prodotti di punta (Atlantis l’Impero Perduto, del 2001) a palesi citazioni di altri film animati e non, o, ancora, tralascia del tutto i disegni per costruire opere in computer grafica dalla prima all’ultima sequenza.
Tanto meglio, quindi, godersi un buon vecchio classico dell’avventura, ammirando il superbo lavoro di integrazione tra la grafica tridimensionale e disegni vecchia maniera esaltati da animazioni fluidissime e da ambienti ricostruiti in modo cinematografico.
La vena letteraria di Stevenson fornisce una storia avvincente, mentre al resto pensa lo staff della Disney: se lo spettatore adulto o distratto si annoia per qualche minuto, presagendo lo scontatissimo lieto fine, è sufficiente il livello raggiunto dai dettagli e dalle animazioni per convincerlo di non stare sprecando il proprio tempo.
In Italia la distribuzione del film è stata sostenuta dalla martellante programmazione radiofonica del brano “Ci sono anch’io”, tratto dalla colonna sonora e adattato per l’interpretazione di MAX PEZZALI.
Trama
Il film ricalca abbastanza fedelmente il romanzo originale: un vecchio pirata di nome Billy Bones, braccato dalla ciurma di Long John Silver, giunge alla locanda “Admiral Benbow” appena in tempo per consegnare al giovane Jim Hawkins la mappa che conduce al favoloso tesoro del leggendario pirata Flint. Sotto la tutela del dottor Doppler, il ragazzo si imbarca su un’astronave per raggiungere il Pianeta del Tesoro, ignaro del fatto che Silver sia già a bordo in veste di cuoco e che l’equipaggio aspetti solo un suo segnale per ammutinarsi.
Dopo la rivolta, Jim fugge fortunosamente sul pianeta ormai vicino insieme a Doppler e al capitano Amelia, ma Silver riesce lo stesso a sottrargli la mappa e a ritrovare il tesoro di Flint. Le ricchezze tanto agognate sono però protette da una trappola mortale, e il finale si risolve in una rocambolesca fuga all’ultimo secondo dal pianeta in procinto di esplodere.
Questa storia avventurosa fa da cornice a un altro sviluppo, nuovo rispetto al soggetto originario, ma ormai consueto nell’animazione disneyana, ovvero il viaggio di formazione del giovane protagonista. Jim infatti è cresciuto senza il padre, litiga continuamente con la madre e ha scarsa fiducia in sé stesso, mentre sulla nave spaziale il pirata Silver lo aiuta a crescere insegnandogli senso di responsabilità e autostima, e impartendogli dure lezioni di vita. Il ragazzo supera persino il trauma del tradimento da parte dello stesso Silver – che poi si riconcilia con lui rinunciando al tesoro – e “mette la testa a posto”, aprendosi con fiducia a un futuro pieno di promesse.
Commento
Data la fedeltà alla storia originale, l’ambientazione fantascientifica è più che altro fine a sé stessa. La nave spaziale somiglia a un veliero seicentesco che si libra nel cielo siderale, dove venti solari ed esplosioni di supernove sostituiscono le brezze e i vortici marini; le armi sono di foggia antica ma sparano raggi laser; la mappa del tesoro proietta immagini luminescenti in tre dimensioni… Ironia della sorte, in un mondo in cui ogni attività umana è svolta con l’aiuto dell’alta tecnologia, al povero Jim tocca spazzare pavimenti e lavare piatti con i metodi più antiquati e tradizionali che si possano immaginare: evidentemente una lavastoviglie mal si abbina a una nave dotata di un generatore di gravità artificiale!
Tuttavia questo singolare miscuglio di anacronismi, tecnologie futuristiche e viaggi spaziali non è affatto sgradevole. Alla raffigurazione di un ambiente coerente è stata preferita, con una scelta probabilmente azzeccata, una pittoresca e divertente varietà figurativa che coniuga le tecnologie futuristiche con l’eleganza delle linee di un antico veliero o delle uniformi d’epoca.
I classici animali parlanti dei film disneyani, simbolo di storie che si esprimono per metafore a un pubblico giovanissimo, sono sostituiti da strane razze aliene (solo Jim e sua madre sono completamente umani) che contribuiscono a spostare il target verso un pubblico di età adolescenziale. Il Pianeta del Tesoro prosegue quindi nel solco tracciato da Atlantis, in cui non ci sono bambini con ruoli importanti.
Per allargare il contesto, possiamo comunque ricordare che la Disney aveva già cominciato da qualche tempo ad andare oltre le semplici storielle di animali: dopo il vertice raggiunto con Il Re Leone, probabilmente ineguagliabile nel suo genere, è arrivato Pocahontas, un lavoro con personaggi umani calati in un ben preciso contesto storico, anche se in netto ritardo rispetto a quelli che sono da decenni gli standard tematici dell’animazione giapponese, o al fenomeno de I Simpson. Proprio questi ultimi, nel loro recente lungometraggio, fanno il verso a scene di Bambi divenute emblema di storie animate graficamente perfette ma tematicamente povere.
Negli ultimi anni, insomma, anche alla Disney si sono messi di buona lena a recuperare il “tempo perduto”, complice l’impulso decisivo arrivato in questo senso dalla concorrente DREAMWORKS. L’ultimo problema da affrontare, per come appare dai film prodotti, sembra essere quello di trovare un soggetto che si scosti dal repertorio favolistico; problema risolto, ne Il Pianeta del Tesoro, riproponendo una vecchia ma sempre efficace storia d’avventura, evitando il collage di film d’azione relativamente recenti proposto nel precedente Atlantis.
Questo aggiornamento nel target di pubblico e nei contenuti è però condotto in modo leggermente stereotipato: Jim Hawkins non è il ragazzo obbediente del romanzo, né il monello dei racconti di Twain, né uno scavezzacollo senza pensieri come il leoncino Simba che canta per tutto il giorno “Hakuna Matata”. Jim è un adolescente capace di costruirsi da solo una specie di spazio-surf (come un ragazzo di oggi potrebbe truccare il motorino o assemblarsi il computer) ma incapace di prendere un voto decente a scuola, è pieno di qualità ma scostante e deluso dalla famiglia. Capelli a caschetto, orecchino, mani nelle tasche del giubbotto, sguardo imbronciato, afflizione per l’abbandono del padre: il suo personaggio è costruito per rappresentare una generazione di ragazzi dal cuore tenero ma insofferenti e disadattati, per i quali è subito pronta una ricetta infallibile che possa ricondurli felicemente nell’alveo della normalità e sulla strada del successo. A Jim saranno risparmiati gli squallidi vagabondaggi del giovane Holden; per lui è pronto il più classico percorso di formazione esaltato da secoli di letteratura, ovvero il viaggio, meglio se irto di difficoltà, con una meta difficile da raggiungere e, soprattutto, affrontato “senza arrendersi mai”.
Ormai abituati alla tragicomica irriverenza di Bart Simpson, la proposta disneyana può apparire troppo conforme a standard sociali (legalità, benessere, successo personale) che non godono più dello status di dogmi assoluti, o, d’altra parte, eccessivamente buonista e utopistica. Questo film ha comunque il merito di presentare una vicenda che, al di là del suo valore come pietra di paragone della realtà, è coerente ed efficace all’interno della finzione narrativa.
Durante il viaggio alla ricerca di sé, Jim dovrà sfuggire alla tentazione del vittimismo e mettere al servizio degli altri le sue doti, e lo farà in modo tutto sommato convincente, tra alti e bassi, senza illusioni e con molta concretezza.
Il personaggio chiave di questo sviluppo è John Silver, elemento portante dell’intero film. Durante il viaggio assume il ruolo di un padre per Jim, e tra i due si instaura un sincero rapporto di fiducia. Dopo l’ammutinamento e il voltafaccia del pirata, il ragazzo precipita di nuovo nello sconforto e nella disillusione, che però non gli impediscono di adoperarsi in aiuto dei compagni in difficoltà. Infine, è grazie al ravvedimento di Silver e alla rinnovata fiducia che quest’ultimo ripone in lui che Jim può superare di slancio le sue paure. Il vecchio pirata funge quindi da riferimento per il ragazzo durante le fasi della sua crescita: all’inizio lo responsabilizza, poi lo costringe a una prova di tenacia con il suo tradimento e infine gli regala un nuovo avvenire.
Con Silver, la trama abbandona anche il classico cliché del cattivo da battere a ogni costo, perché di fatto tutti i personaggi principali devono mettersi in gioco e crescere parallelamente a Jim, a cominciare proprio dal pirata che ha in realtà un cuore d’oro.
Lo schema del romanzo di formazione è insomma applicato anche a Silver, che giunge infine a salvare il ragazzo rinunciando al tesoro di Flint, in ossequio al vecchio detto secondo cui un vero amico vale più dell’oro; davanti a una tale redenzione e a un simile tripudio di buoni sentimenti, la stretta applicazione della legge sarebbe quasi un delitto, perciò alla fine il pirata è lasciato libero di proseguire il suo vagare per l’universo.
Silver è un personaggio singolare, composito e contraddittorio fin dal suo apparire in veste di cyborg: con la sua gamba artificiale e la sua cattiveria ricorda il celebre Gambadilegno dei fumetti, grazie al suo cappello a tricorno e al braccio robotico esprime bene il mix di antico e futuristico che caratterizza la veste grafica del lungometraggio.
La sua riabilitazione può sembrare in qualche modo sdolcinata – e forse lo è –, dato che la complessità e le zone d’ombra del personaggio sono cancellate nel finale o retrocesse in secondo piano, al fine di assicurare un lieto fine aperto anche a lui (anzi a tutti). Viene però tracciato in questo modo un percorso di crescita parallelo che coinvolge idealmente tutti quei “grandi” dai quali dipende il futuro dei vari Jim a cui il film è diretto. Ragazzi e adulti maturano contemporaneamente e anche questo elemento, al di là del messaggio, arricchisce la storia.