Che le fiabe siano piccoli capolavori horror è opinione ormai condivisa. Per quanto rivolte al pubblico dei più piccoli e quindi edulcorate ad usum delphini, esse conservano un nocciolo scuro e inquietante, retaggio antico delle tradizioni orali dove lo scopo narrativo era non solo insegnare ma anche affascinare durante le lunghe notti attorno al fuoco.
E cosa c’è di più avvincente della paura, sebbene in una storia a lieto fine?
Quello che CRISTIANA ASTORI ci propone nella sua antologia, Il Re dei Topi e altre favole oscure, è un percorso nel cuore stesso della fiaba, ricordandoci il vero spirito di questo genere popolare presente in ogni cultura sin dall’alba dei tempi. Un viaggio attraverso la nostra parte irrazionale, in cui la vita reale si interfaccia con un’esistenza più buia, nascosta nel profondo. Lo specchio di Alice è qui molto fluido: luce e ombra fanno parte della stessa realtà e basta nulla per scivolare nel lato oscuro, faccia a faccia con “l’altro” volto del nostro mondo, avversato da chi desidera chiudere gli occhi tra le ali protettive della ragione ma non per questo meno vero.
Nei racconti di Cristiana Astori, le componenti fiabesca e horror vengono miscelate in un contesto moderno, che tuttavia conserva il sapore della terra in cui l’autrice è nata. Accanto all’evidente impronta di alcuni maestri internazionali di genere, come Stephen King, le atmosfere sono quelle dei film di Pupi Avati, e il messaggio al lettore ha la crudeltà poetica delle ballate di Fabrizio De Andrè.
Il filo conduttore di quest’antologia giostra su elementi che a volte si contrastano e a volte coincidono, ma abitano la stessa oscurità: la paura e il mostro, e il fascino che entrambi sono capaci di sprigionare. A volte è il protagonista che, nonostante la paura, sopravvive alla creatura dell’oscurità, come nell’Abisso di Dora: un piccolo horror fantascientifico tutto giocato all’interno di una caverna immensa e maledetta. Altre volte, è il mostro ad aver paura, come in Bende, perché la preda l’ha catturato e lo tiene in suo potere (una specie di Annie Wilkes al contrario), fino all’estrema punizione. Influenza kinghiana forte anche in Psicopompi, in cui i morti “a volte ritornano” per portarci via con sé: la creatura ricomparsa dalle tenebre esercita un fascino irresistibile sugli involontari responsabili della sua fine. La voliera, invece, ha la struttura dello psico-thriller, in cui vittima e carnefice si scoprono solo alla fine, entrambe all’interno di una mente che collassa per sue fragilità. Oltre la sbarra ci riporta a certe atmosfere firmate Rod Serling di Ai Confini della Realtà: il casello dell’autostrada immerso nel nulla è la frontiera temuta e obbligatoria che, prima o poi, tutti devono varcare. È questo, forse, il racconto migliore dell’intera raccolta, cupo e pieno di presagi che il lettore beve avidamente fino alla conclusione.
Altre volte, il rapporto mostro-fascino-preda segue lo svolgimento tradizionale. Ne Il pranzo, Elena capisce troppo tardi la natura del suo disagio nei confronti di Nico, il cugino da cui è ambiguamente attratta, e il mostro finalmente fa ciò che in quasi ogni fiaba viene impedito: cattura la sua preda e la mangia. Stessa cosa, tra gli spettri virtuali della nuova divinità creata dagli uomini, il Web, accade in Stanze; tra “Twiggy” e “Narciso”, due nick che nascondono persone e drammi molto reali, Twiggy può esistere solo se resta un’entità virtuale, capace di eccitare Narciso tramite una chat line: nel momento in cui il suo corpo materiale, imprigionato nella stanza accanto, si mostra al carceriere tramite webcam, perde ogni diritto di vivere.
Ma non è tutto. In ogni fiaba che si rispetti, non possono mancare le fate: qui non troviamo le graziose creaturine alate che abitano l’immaginario collettivo da Shakespeare in poi, bensì gli esseri magici come sono raccontati in ogni tradizione autentica, che amano giocare con gli umani, e appaiono crudelmente indifferenti al loro destino. Silvia, la fata di C’era una volta, veste panni moderni e le sue “sorelle” suonano rock, ma è capace di attirare il prescelto in una foresta dove il tempo si ferma, e dove il tesoro promesso non si raggiunge mai. Anche Lara in N (Azoto) è capace di esercitare magie, tecnologiche ma comunque tali: una piccola strega-lolita, innocente e crudele, che sceglie il suo uomo e lo rende schiavo per sempre, noncurante di ogni possibile conseguenza. Oppure Marla, ne Il dono di Marla, che offre al suo amore la cosa più grande che possiede: l’oscurità, nell’abbraccio della quale è comunque possibile amarsi per sempre “se non si ha paura del buio”, come conclude l’autrice.
E infine, Il re dei topi, introdotta dalla strofa illuminante di “Sally” firmata De Andrè. È molto dark, questa fiaba che dà il titolo all’intera raccolta, e narra del Mostro con la M maiuscola, che si annida ovunque, pronto ad offrire il proprio aiuto in cambio, naturalmente, di un prezzo da pagare. Il Re dei topi è il Male, o il Demonio, o comunque lo si voglia chiamare, sempre presente negli angoli oscuri dell’esistenza, sempre pronto a fare un’offerta. Perché sa benissimo che ogni anima può essere in vendita, per sofferenza, per paura o per destino.
Spesso il Fantastico è considerato la nemesi della Razionalità, come se un certo tipo di letteratura rispecchiasse la famosa frase di Goya (scritta con ben altra intenzione): “La morte della ragione genera mostri”; eppure, i “mostri” delle fantasie umane sicuramente non riescono ad eguagliare gli orrori che la mera razionalità arriva a produrre. La letteratura fantastica non crea mostri, bensì rivela quelli radicati all’interno di ognuno di noi: Paura, Violenza, Desiderio e tanti altri. Ma genera anche le armi, sotto forma di personaggi, azioni e situazioni, capaci di portarli alla luce e quindi di esorcizzarli.
Quello che Cristiana Astori ci offre nella sua antologia è la consapevolezza del nostro lato oscuro e irrazionale, del fascino irresistibile della notte con tutti i suoi terrori, e cosa può farlo meglio di una fiaba?