Il Segreto delle Tre Pallottole

Il Segreto delle Tre Pallottole

Ci sono molti modi per raccontare una storia, e in genere è l’autore a decidere la strada più adatta, il punto di vista più coerente con la propria immaginazione, l’impronta che rende unico e personale ogni racconto. Eppure a volte la via del romanzo è una scelta obbligata, se quello che si vuole raccontare sfiora universi tanto reali quanto assurdi e fa rischiare conseguenze più sgradevoli della stroncatura di un critico letterario. Per Il Segreto delle Tre Pallottole forse è successo proprio questo, perché magari esporre il tutto in altro modo sarebbe stato troppo… complicato.

Il titolo può far pensare a un giallo da quattro soldi o a un western di bassa categoria, ma la vicenda non è proprio così: parla di un’inchiesta giornalistica – avviata a partire dagli anni Ottanta – su alcune scoperte relative al nucleare, e su alcuni aspetti delle loro applicazioni belliche a tutt’oggi ancora in evoluzione.

In opere come questa, è importante focalizzare i protagonisti, che al di là degli pseudonimi sono gli stessi autori del libro: il giornalista Maurizio Torrealta, il suo team, e il professor Emilio Del Giudice.

Maurizio Torrealta è un giornalista: uno dei fondatori di Radio Alice, è stato redattore del Tg3 e ha collaborato con la trasmissione radiotelevisiva “Samarcanda”. Attualmente lavora per RaiNews24. Ha pubblicato Ultimo. Il capitano che arrestò Totò Riina (Feltrinelli, 2001) e La trattativa. Mafia e Stato: un dialogo a colpi di bombe (Editori Riuniti, 2002).

Emilio Del Giudice è laureato in Fisica e specializzato in Fisica Teorica all’Università di Napoli, ateneo presso il quale è stato prima professore incaricato (Teoria delle Forze Nucleari, Fisica delle Particelle Elementari, Fisica per Geologi) e poi assistente ordinario (Fisica Teorica). Oggi è ricercatore dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), sezione di Milano, e vicepresidente della Fondazione Omeopatica Italiana. I suoi interessi di ricerca: Fisica delle Particelle Elementari, Fisica della Materia Condensata, Fisica dei Sistemi Biologici. Presenta al suo attivo numerosissime pubblicazioni, tra cui First Steps Toward an Understanding of «cold» Nuclear Fusion assieme a Giuliano Preparata e Tullio Bressani.

Poi ci sono altri personaggi: la città di Khiam (Libano), Gaza, la guerra dei Balcani e “Desert Storm”, Martin Fleischmann, Edward Teller, Robert Oppenheimer, l’esercito israeliano e quello americano, e tanti altri. Tutti in veste fantastica, naturalmente.

Il romanzo ha una chiave di lettura evidente; c’è uno scheletro di elementi non immaginari uniti da collegamenti scritti in forma romanzata, ma distinguibili nella massima parte dei casi attraverso un piccolo particolare tecnico: interviste, inchieste, fatti documentati sono in corsivo, e, guarda caso, costituiscono la parte principale. In questo libro, separare trama e giudizio non è possibile: la storia si commenta da sola, come un episodio di cronaca nera letto non per valutare la bravura del redattore ma per riconoscere il killer che abbiamo alla porta.

Il Segreto delle Tre Pallottole inizia una notte d’estate di vent’anni fa. Il professor Fleischmann, il padre della fusione a freddo, conosciuta dalla massa come la più grande bufala scientifica sul nucleare, è in viaggio per Londra: deve operarsi all’intestino, invaso da centinaia di piccoli tumori la cui origine è incomprensibile, ma perde la coincidenza aerea e deve fermarsi a San Francisco. Nell’albergo trovato casualmente all’ultimo momento, riceve la telefonata di Edward Teller, colui che ha ispirato il film Il Dottor Stranamore e almeno un romanzo di Philip K. Dick, Cronache del Dopobomba. Teller è uno dei realizzatori della bomba all’idrogeno, e ha ricevuto nel 1991 il premio Nobel per la pace. Motivazione: “Per aver dedicato la vita al cambiamento del concetto di pace quale era stato inteso sinora”. E questa non è fantasia ma storia. Tornando al romanzo, qualcuno è al corrente degli spostamenti del professor Fleischmann. Perché viene seguito e, soprattutto, informato di essere seguito?

Le vicende si spostano diversi anni più tardi. Claudio – il giornalista del romanzo – viene informato che un gruppo di scienziati dell’ENEA, acronimo per Energia Nucleare ed Energie Alternative, derivato dal CNRN (Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari) e dal CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare), sta conducendo studi sulla fusione fredda, ma gli interessanti risultati positivi ottenuti non vengono presi in considerazione. Perché?

Una gentile e determinata dottoressa dell’Enea informa Claudio circa alcuni possibili gruppi – accademici, privati, o forse nessuna delle due cose – che non desiderano la diffusione di questi dati. Altri elementi arrivano da un fisico teorico, Kurt Grass, che ha lavorato sull’argomento: se, invece di caricare con idrogeno o deuterio un metallo come il palladio, si utilizza l’uranio, è possibile provocare una reazione nucleare superando il problema della massa critica, che rende enormi gli ordigni nucleari a fusione calda (minimo 8 Kg di uranio). In questo modo, invece, è possibile creare bombe piccole quanto una pallottola con la potenza di 20.000 tonnellate di tritolo. E questo NON deve essere risaputo. Punto.

Il problema di tante iniziative pacifiste, anti nucleari, anti tutto, è di avere spesso molto fumo e poca sostanza: mancano le prove, ma a volte, in qualche fortunata congiunzione astrale, qualcuno, magari sottovoce, parla. Così accade nel romanzo, e allora la curiosità, l’istinto e il desiderio di capire fanno sì che Claudio e il suo team inizino un’indagine a 360 gradi, per la quale sono necessarie informazioni sulla fusione fredda. La fusione fredda, o LENR (Low Energy Nuclear Reactions), è una serie di reazioni nucleari riguardanti nuclei di idrogeno caricati dentro metalli pesanti, i quali funzionano come una specie di spugna dove tali nuclei vengono costretti a unirsi rilasciando energia. Il processo, stimolato attraverso una leggera corrente elettrica, ha una resa da cinque a venticinque volte superiore rispetto all’energia iniziale fornita.

Al giornalista viene confermato che, nonostante siano comprovati dagli esperimenti, tali risultati non vengono diffusi, non vengono pubblicati gli articoli relativi, non vengono rinnovati i finanziamenti. Al contrario, la Francia è molto interessata agli sviluppi di questa ricerca, peccato però che il dottor Renè Pellat, alto commissario della CEA (Commissariat à l’énergie Atomique et aux énergies Alternatives), muoia all’improvviso quindici giorni dopo l’incontro con gli scienziati italiani. Ci sono altre morti collegate a questa storia, ognuna delle quali appartiene alla cronaca: un fisico teorico italiano deceduto nel 2000 (Giuliano Preparata?) per microtumori all’intestino (gli stessi di Fleischmann?) e Eugene Mallove, caporedattore dell’ufficio stampa del MIT di Boston (ucciso a bastonate nel 2004) che aveva scoperto gravi alterazioni dei dati sulla fusione fredda nella relazione del Centro Ricerche sui Plasmi pubblicata nel 1989.

La spiegazione del titolo arriva alla fine del libro, assieme a un’inquietante consapevolezza. A dispetto di tutti i trattati di non proliferazione del nucleare a scopo bellico, degli accordi plurilaterali circa il veto all’impiego di armi atomiche, queste sarebbero già in uso da anni. Più piccole e meno scenografiche di quelle di Hiroshima e Nagasaki, ma per il resto esattamente equivalenti. Con un piccolo proiettile atomico è possibile sventrare un edificio, creare un cratere radioattivo, amputare arti senza che le vittime quasi se ne accorgano. Soprattutto, e questo sembra essere il vero scopo, è possibile ottenere l’effetto più sporco e disumano delle bombe atomiche: la contaminazione di aria acqua e suolo attraverso polveri fatte di nano particelle che nessun filtro riesce a bloccare, l’avvelenamento lento e apparentemente senza colpevoli di popolazioni che abitano l’area interessata. Del resto, le bombe DIME (Dense Inert Metal Explosive) esistono ufficialmente: sono ordigni che coniugano esplosivi come l’HMX o l’RDX con piccole quantità di materiale inerte (per esempio il tungsteno), allo scopo di controllare il raggio d’esplosione, nonché ottenere effetti concentrati e potenziati sugli obiettivi colpiti. Il tutto è inglobato in fibre di carbonio. A questo punto, cosa vieta di immaginare che queste DIME possano essere fabbricate con uranio caricato ad atomi d’idrogeno? Al momento dell’impatto non si otterrebbe una deflagrazione normale ma nucleare, le cui tracce chimiche sarebbero alquanto anonime. Resterebbe però la radioattività, rilevabile con semplici strumenti e impossibile da cancellare direttamente: l’unica cosa sarebbe schermarla, sotterrarla. Nasconderla. Ecco perché servono tre pallottole, che ricordano un po’ il gioco delle tre carte. Qui, la prima pallottola che esplode è all’uranio cosiddetto impoverito, ma non esiste se non nei musei; la seconda contiene uranio sporco (leggermente arricchito), e questa esiste eccome, ma la sua presenza viene facilmente sviata; la terza è quella di cui nessuno deve sospettare l’esistenza, “coperta” dalle prime due.

Il libro non ha una vera e propria conclusione, ma emerge un fatto circa questi ordigni atomici così piccoli e potenti: sarebbero già stati usati durante la Guerra dei Balcani, a Khiam, a Gaza, a Bassora e in chissà quanti altri scenari di guerra su cui non abbiamo dati, indipendentemente da colori, schieramenti, ideologie, religioni. La cosa certa è che quando una bomba di questo tipo esplode, il suo contenuto inizia a innescare reazioni nucleari, a liberare nanoparticelle radioattive, invisibili, inodori, letali. Immaginiamo che queste polveri prendano la via del vento: il vento, come sappiamo, “non sa leggere”, quindi è inutile pregarlo di non depositarle sulla nostra casa, sui nostri figli e sul nostro futuro.