Il Terrore dalla Sesta Luna (The Puppet Masters Robert A. Heinlein)

Il Terrore dalla Sesta Luna

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Il 12 luglio 2007 cominciò troppo presto, col telefono che mi strillava nella testa. Perché bisogna sapere che il sistema telefonico usato dalla mia Sezione non è dei tipi normali, ma consiste in un audiorelais inserito chirurgicamente dietro l’orecchio mediante rimozione parziale della calotta cranica.

— Va bene — borbottai — ti sento.

— È urgente — mi rispose una voce all’orecchio. — Devi presentarti di persona al Vecchio, e subito.

— Vado — dissi, alzandomi con uno scatto. Entrai nel bagno, mi iniettai nel braccio un grano di «Gyro», quindi lasciai che il vibratore mi facesse a pezzi, mentre la droga mi rimetteva insieme. Ne uscii rimesso a nuovo, almeno in apparenza, e m’infilai la giacca.

C’è una cosa che nessun capo di governo può sapere con sicurezza! Fino a che punto funziona il suo sistema di spionaggio politico? Di qui l’origine della nostra Sezione che si potrebbe definire la cintura di sicurezza del paese. Le Nazioni Unite non sanno neppure chi siamo e cosa facciamo, e così, che io sappia, il Servizio Segreto Centrale. La sola cosa di cui io stesso sono realmente a conoscenza è l’addestramento che mi è stato impartito e gli incarichi che mi sono stati affidati dal Vecchio. Incarichi interessanti purché non si dia importanza a dove si dorme, a cosa si mangia, a quanto si vive.

Quando entrai negli uffici della nostra Sezione attraverso una porta dissimulata nella toilette d’una stazione della metropolitana, il Vecchio si alzò e mi si avvicinò zoppicando. La sua faccia s’illuminò di un sorriso mefistofelico. Il cranio enorme e calvo e il robusto naso romano lo facevano sembrare un incrocio tra Satana e Pulcinella. — Benvenuto, Sam — disse.

— Mi dispiace di averti dovuto tirare giù dal letto.

— Ero in licenza — replicai brusco.

— Ah, ma lo sei tuttora. Partiamo appunto per una breve vacanza.

— Così adesso mi chiamo Sam — risposi, ignorando di deliberato proposito lo spiritoso accenno a una vacanza. — E di cognome?

— Cavanaugh. Io sono tuo zio Charlie… Charlie M. Cavanaugh, pensionato. E questa è tua sorella Mary.

Mi ero reso vagamente conto che nella stanza c’era qualcun altro, ma quando il Vecchio è presente l’attenzione dell’interlocutore rimane concentrata esclusivamente sulla sua persona. Diedi un’occhiata a mia «sorella» e tornai subito a guardarla meglio. Ne valeva la pena.

Alta, snella e piacevolmente femminile. Gambe incredibili, spalle ampie, per una donna, capelli ondulati, di fiamma, e una struttura cranica molto elegante. Più che bella, la sua era una faccia interessante. Lei mi squadrò come se fossi un mobile.

Mi allungò una mano salda e forte quanto la mia. — Salute, fratello! —

Aveva una voce profonda da contralto, di quelle che piacciono a me.

— Bene. Quando si va? — chiesi al Vecchio.

— Prima sarà meglio passare al Reparto Cosmesi. Hanno già pronta una faccia nuova per te.

Non mi cambiarono i connotati proprio del tutto ma mi spostarono il telefono sotto la nuca e poi vi cementarono sopra i capelli. Mi tinsero la chioma dello stesso colore di quello della mia «sorella» di recente acquisto, mi candeggiarono la pelle, e trafficarono un po’ con i miei zigomi e il mio mento. Allo specchio, guardandomi i capelli, tentai di ricordare qual era la loro tinta naturale. Poi pensai alla ragazza e mi augurai che non l’avessero trasformata troppo radicalmente.

M’infilai l’equipaggiamento che mi avevano dato; infine qualcuno mi consegnò un paracadute già pronto e impacchettato.

Anche il Vecchio era passato per il Reparto Cosmesi, e adesso il suo cranio era ricoperto con bei ricciolini crespi di un colore sfumato che andava dal rosa al bianco. Gli avevano anche un po’ ritoccato la faccia e adesso eravamo tutti e tre chiaramente imparentati e appartenevamo a quella sottospecie della razza umana che sono i rossi di malpelo.

— Andiamo — mi disse — ti metterò al corrente mentre saremo in macchina. — Percorremmo una strada che non conoscevo e che terminava alla piattaforma di lancio del Lato Nord, dominante New Brooklyn e sovrastante le rovine del Cratere di Manhattan.

Io guidavo e intanto il Vecchio parlava. Non appena fummo usciti dal raggio del controllo locale mi disse di mettere la macchina sull’automatico in direzione di Des Moines, nello Stato di Iowa. Passai quindi con Mary e lo zio Charlie nello scompartimento posteriore del veicolo. Lo «zio» ci ragguagliò più minutamente intorno alle nostre nuove identità. — Dunque eccoci qui — concluse — siamo un’allegra famigliola di turisti. E se dovessimo trovarci immischiati in un complesso di avvenimenti insoliti, come tali dobbiamo comportarci: come turisti curiosi e irresponsabili.

— Ma di cosa si tratta esattamente? — chiesi. — Oppure dobbiamo lavorare a lume di naso?

— Può darsi.

— E va bene. Però quando si rischia di crepare farebbe piacere conoscere il motivo, eh, Mary?

Mary non rispose. Aveva il dono, raro in una donna, di non parlare quando non aveva niente da dire.

— Sam, tu hai sentito parlare dei dischi volanti, vero? — mi chiese a un tratto il Vecchio.

— Cosa?

— Hai studiato la storia, no?

— Vuoi alludere proprio a quei cosi? Alla follia dei dischi volanti che aveva preso tutti prima dei Grandi Disordini? Credevo che accennassi a un fatto recente e reale: quella era stata una allucinazione collettiva.

— Lo credi proprio?

— Ecco, io non sono uno psicologo, ma so che in quel periodo tutta l’umanità era affetta da disordini psichici, e un uomo che avesse avuto tutte le rotelline che funzionavano, lo avrebbero certamente chiuso in manicomio.

— Così, secondo te, l’èra attuale sarebbe caratterizzata da una riconquistata lucidità mentale, vero?

— Non arrivo al punto di dire questo — dopo aver frugato affannosamente nel mio cervello trovai la risposta che cercavo. — Ecco: adesso ricordo una certa equazione a proposito delle statistiche riguardanti quel periodo di tempo: è l’integrale valutativo di Digby per i dati di ordine secondario e superiore. Essa dava con una sicurezza del novantatré virgola sette per cento che il mito dei dischi volanti, dopo aver eliminato i casi spiegati, fosse allucinazione.

Il Vecchio assunse un’espressione di benevolo compatimento. — Fatti animo, Sammy. Il nostro compito oggi è di andare a ispezionare un disco volante, e può darsi anche che riusciamo ad asportarne un pezzettino come ricordo… come farebbero dei turisti che si rispettano. Diciassette ore — il Vecchio diede un’occhiata al suo orologio da mignolo e proseguì — e ventitré minuti fa un’astronave non meglio identificata è atterrata nei pressi di Grinnel, nello Iowa. Tipo: sconosciuto. Aspetto: discoide. Misura: trentotto metri di diametro circa. Provenienza: ignota, ma…

— Non sono riusciti a ricostruirne la traiettoria? — chiesi.

— No — fu la risposta. — Ma ecco una fotografia presa dalla Stazione Spaziale Beta dopo l’atterraggio.

Le diedi un’occhiata e la passai a Mary. Era confusa come lo sono di solito tutte le telefoto prese da una grande distanza. Gli alberi avevano l’apparenza del muschio, l’ombra di una nuvola oscurava la parte migliore della fotografia, e infine c’era un cerchio grigio che avrebbe potuto essere tanto un’astronave a forma di disco quanto una…

Il Terrore dalla Sesta Luna - Copertina

Tit. originale: The Puppet Masters

Anno: 1951

Autore: Robert A. Heinlein

Edizione: Mondadori (anno 1995)

Traduttore: Piero Anselmi

Pagine: 240

ISBN: 8804401982

ISBN-13: 9788804401988

Dalla copertina | La Terra è invasa da una misteriosa specie che viene dalla sesta luna di Saturno, ma nessuno si è ancora accorto di nulla. Gli extraterrestri hanno la forma di grosse amebe che controllano le ramificazioni nervose dei loro invo- lontari ospiti. Ma qualcuno sa che quell’ingobbimento della schiena di molte persone, all’apparenza normali, altro non è se non il segno che quella persona non è più umana. I Titani, questo è il nome dei parassiti, verranno sconfitti dopo che Sam Cavanaugh sarà riuscito a gettare l’allarme e a convincere tutti a girare nudi per dimostrare di non essere stati invasati.