Alan Grant, paleontologo famoso più per le disavventure al Jurassic Park che per le pubblicazioni scientifiche, viene contattato da una coppia di ricchi appassionati di viaggi estremi, i coniugi Kirby. Gli propongono di accompagnarli a sorvolare Isla Sorna, in cambio di un assegno in bianco.
Davanti al danaro, le perplessità crollano, e Grant parte insieme al suo giovane assistente. Purtroppo le sorprese non mancheranno…
A VOLTE RITORNANO
Il terzo capitolo della saga dei dinosauri è stato diretto da JOE JOHNSTON, regista specializzato in blockbuster per famiglie ricchi di effetti speciali, come Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi, Tesoro mi si è allargato il ragazzino e Jumanji.
Mentre STEVEN SPIELBERG compare nei titoli solamente come produttore, MICHAEL CRICHTON non ha messo penna nel sequel. L’assenza dei due Grandi si nota, purtroppo, perché assecondare il gusto della platea salvaguardando la qualità e l’inventiva è ben diverso dallo sfruttare una moda in declino, ripetendo stereotipi, senza un briciolo di innovazione.
Il soggetto di per sé è semplicissimo, la trama è riassumibile in poche telegrafiche righe: lotta per la sopravvivenza di un gruppo di esseri umani minacciati dai dinosauri su un’isola tropicale. Tramontata ogni pretesa divulgativa, eliminata qualsiasi sotto trama thriller, è sufficiente un pretesto ingegnoso e sbrigativo per catapultare Alan Grant a Isla Sorna.
Ritroviamo il paleontologo protagonista di Jurassic Park, paesaggi da sogno, incidenti causati dalla stupidità umana, dinosauri intelligenti e feroci, ragazzini coraggiosi. Ovviamente ci sono protagonisti che emulano Indiana Jones e comparse invariabilmente destinate a far da cena al rettile di turno…
Niente di nuovo sotto il sole, anche perché il regista ha alle spalle una sceneggiatura esilissima che vuole andare al sodo, ovvero far vedere quanti più dinosauri possibile, senza inscenare atmosfere paurose o calcare la mano su dettagli splatter.
La pellicola è assai prevedibile e quanti desiderano colpi di scena e fantasia rimarranno delusi. L’effetto sorpresa, così ben dosato nel primo capitolo, è ormai svanito. Il Mondo Perduto aveva enfatizzato la vena horror del film capostipite, moltiplicando le vittime, i pericoli, i salti sulla poltroncina dello spettatore. Un espediente tipico della migliore tradizione dei sequel e dei remake ma, in mano a Steven Spielberg, funzionava. Purtroppo in Jurassic Park III il “sense of wonder” si è affievolito insieme all’entusiasmo di chi narra. Per divertire è necessario coinvolgere e interessare, e il gravissimo punto debole del terzo sequel è proprio la povertà di strategie che catturino l’emotività del pubblico.
Ogni scena appare insapore, costruita attorno a poche idee, concretizzate con tanti mezzi ma scarsa inventiva. La durata di soli novanta minuti la dice lunga sulla s(t)olidità della trama. Addirittura, c’è un progressivo ed imperdonabile calo di tensione: la parte iniziale potrebbe anche risultare convincente, poi la trama degenera in una routine di attacchi da parte dei dinosauri, conversazioni edificanti e morte dei personaggi adulti, antipatici o troppo trasgressivi.
Lo spettatore crede di sapere cosa lo attende: sa che questo è un film di cassetta, un sequel basato sull’ostentazione di effetti speciali… ma stavolta trova un’ora e mezza di proiezione scialba quanto la faccia avvizzita di Alan Grant.
Alcune situazioni sfiorano il ridicolo involontario, ammesso si possa ridere di uno spettacolo che suscita più che altro sbadigli.
Manca l’atmosfera e moltissime sono le incongruenze. Isla Sorna è a 270 miglia dal Costa Rica, e non si spiega come mai i turisti, anziché farsi ammirare lungo le spiagge, scelgano un posto così sperduto per fare paracadutismo ascensionale, e arrivandoci a bordo di un motoscafo – malmesso tra l’altro – inadatto a coprire distanze così ampie. Il pilota raccomanda di non avvicinarsi troppo, per non farsi divorare: allora proprio tutti sanno che quella è Isla Sorna e che lì ci sono i dinosauri! Tutti, tranne gli spettatori che si sono persi Il Mondo Perduto e non sanno di un certo incidente di San Diego, si intende.
Nel nostro reale presente, la clonazione ancora non ha permesso di ricreare animali estinti – o, se è avvenuto, la notizia è stata taciuta –; nel recente passato della finzione cinematografica i dinosauri sono invece attualità. Le realtà alternative coesistono negandosi a vicenda e nessuno si premura di informare lo spettatore, che rimane stranito in attesa di spiegazioni che mai giungeranno.
La stessa coppia che assolda Alan Grant ha le idee poco chiare. I due contattano il paleontologo per salvare un ragazzino a Isla Sorna, ma solo parecchio tempo dopo l’incidente che l’ha fatto finire sull’isola: come se un adolescente di città potesse resistere per otto settimane in condizioni che manderebbero all’altro mondo il più tosto dei marine. E, fatto ancor più imbarazzante, il ragazzino in questione è effettivamente sano e salvo. Gli specialisti ingaggiati si rivelano inetti: durano davvero poco e, peggio, non hanno armi! Al giovane emulo di Rambo, invece, i dinosauri non fanno un baffo!
Grant, dal canto suo, si rivela avido quanto ingenuo: crede sulla parola a chi lo assume, senza nemmeno verificarne l’identità e accertarsi della copertura dell’assegno. Non si spiega poi come possa un paleontologo, pur disponendo di cloni vivi e vegeti, continuare a studiare resti fossili.
A proposito di curiosità scientifiche: gli studiosi stimano la durata media della vita dei dinosauri nell’ordine di diversi decenni. Per comparazione con quella di testuggini ed altre specie longeve, la ipotizzano forse ancora più lunga. Di solito la maturità riproduttiva viene raggiunta precocemente nelle specie che vivono per mesi o pochi anni. Allora fa sorridere vedere l’isola brulicare di rettili adulti, in parte clonati, e in gran parte nati e cresciuti nel giro di poche stagioni.
La trama finisce per assomigliare a quella di un sonnacchioso film a episodi, condito da troppi dialoghi insulsi e tanta retorica.
SCUSI, DOVE STA LA VALLE INCANTATA?
Ed Wood è passato alla Storia del Cinema per aver girato pellicole assurde, sorrette dalla sola voglia di intrattenere: brutte al punto di assumere una propria estetica. L’esatto contrario avviene in Jurassic Park III. La grafica digitale fa indubbi miracoli e dà vita a dinosauri sempre più verosimili, che finalmente interagiscono con gli attori in carne ed ossa. Eppure lo sfoggio di tanti mezzi applicati a una vicenda così naïf si dimostra controproducente, poiché ne enfatizza tutte le manchevolezze.
La vicenda fatica a decollare, anche perché risulta difficile affezionarsi agli eroi del parco preistorico. Alan Grant scimmiotta Indiana Jones, senz’averne la simpatia scanzonata e il sex-appeal. L’assistente è stucchevole; agisce in modo sciocco, con una faccia tanto inespressiva da confermare il pregiudizio del bell’aspetto accompagnato da una mente ottusa.
La coppia che assolda il paleontologo si dimostra antipatica, con pochi soldi e ancor meno buonsenso. Sull’isola, i due litigano come se fossero in vacanza in un villaggio turistico per risolvere la loro crisi coniugale – o peggio, in un reality-show. Gli altri personaggi sono inconsistenti, a parte l’indistruttibile pargolo saputello che divora libri di paleontologia e contende la scena agli adulti.
Altra pecca di Jurassic Park III è il suo essere arrivato irrimediabilmente in ritardo: la moda dei dinosauri ha avuto il suo apice con il primo e il secondo film, dopodiché l’entusiasmo per le creature preistoriche è rimasto vivo solamente nei più giovani, a cui appunto il film è destinato. Si torna all’intrattenimento per famiglie, quello di vecchio stampo, schietto nel suo indirizzarsi ai piccoli. In questo senso, è forse una pellicola più definita rispetto ai capitoli precedenti, visto che Jurassic Park è rivolto a bambini di ogni età e Il Mondo Perduto è solo falsamente dedicato ai giovani. Entrambi sono necessariamente ambigui. Jurassic Park III rammenta invece le vecchie pellicole Disney. Per un’ora e mezza non sentiremo parolacce né assisteremo a situazioni equivoche: la morale della favola è davvero esplicita e, se qualche personaggio osa trasgredire, la punizione giunge puntuale.
La violenza fa parte della storia narrata, d’altronde compaiono dinosauri feroci ed è impossibile intrattenere senza agguati e vittime, ma, nonostante tanti eventi drammatici, le scene sono molto edulcorate. I fatti cruenti si vedono e non vengono solo suggeriti all’immaginazione, ma senza particolari truci.
Purtroppo, per esigenze commerciali, il target ideale della pellicola non è stato dichiarato fin dall’inizio. Per la visione ai minori di quattordici anni viene anzi consigliata la presenza di un adulto. Il trailer mostrava i dinosauri, più che i protagonisti umani, e le foto di scena facevano leva sui mirabolanti effetti speciali. Il poster era quasi minimalista, e ogni dettaglio dell’imponente campagna promozionale ammiccava all’adulto amante dei blockbuster. Il film è stato insomma reclamizzato in maniera da invogliare alla visione persone di ben altri gusti. Invece, in contrasto con una presentazione tanto ambigua, succede che i bambini più piccoli si divertono, mentre per gli altri – dai preadolescenti in su – la delusione è inevitabile, cresce ad ogni fotogramma, tanto da far rimpiangere l’onesta saga animata di Alla ricerca della Valle Incantata.
Sebbene ogni tanto si sussurri di progetti riguardo nuovi sequel ispirati al mondo preistorico, se la tendenza è quella evidenziata da questo terzo capitolo c’è da augurarsi che non ne venga mai realizzato un quarto.