Jurassic Park

Jurassic Park

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Resuscitare una fetta di mondo scomparso da milioni di anni, e realizzare nel contempo il più innovativo parco tematico: è il sogno del magnate John Hammond, ricco uomo d’affari che raduna una squadra di esperti di bioingegneria per dar vita a questo progetto senza precedenti. Ricorrendo alle tecniche più avveniristiche, fa clonare alcuni dinosauri partendo da gocce del loro sangue conservate nello stomaco di alcune zanzare preistoriche rimaste intrappolate nell’ambra.

Gli animali vengono poi liberati sulla piccola isola di Nublar, al largo del Costa Rica, dove è stato allestito il parco.

Nonostante un grave incidente funesti i preparativi, le misure di sicurezza sono apparentemente impeccabili: Isla Nublar è poco più grande di uno scoglio, è sperduta nell’Oceano Pacifico, è attraversata da alti recinti elettrificati, fossati e muraglie di cemento che fungono da gabbie. Gli animali, tutti femmine, per sopravvivere necessitano di una sostanza che deve essergli somministrata dall’uomo. Come se non bastasse, è previsto che i visitatori rimangano negli appositi veicoli, che corrono su rotaie seguendo un percorso ben definito. L’équipe del parco è dunque certa di poter aprire la struttura al pubblico, in tutta sicurezza.

John Hammond in persona convoca alcuni scienziati, per collaudare il fantastico giro turistico. Così sull’isola si ritrovano Alan Grant, paleontologo di chiara fama, la sua assistente Ellie Sattler, il matematico esperto in teorie del caos Ian Malcom, il legale Donald Gennaro e i nipoti dello stesso Hammond.

Lo scetticismo iniziale dei protagonisti si trasforma in emozione alla vista dei dinosauri, ma è un entusiasmo di breve durata. Uno dei tecnici ha deciso di sottrarre alcuni embrioni per rivenderli ad altre società interessate. Proprio mentre una parte della comitiva è impegnata in un’escursione, il ladro disattiva i sistemi di sicurezza computerizzati e preleva le provette. Complice un temporale tropicale, le barriere che dividevano l’isola in settori ben controllati cedono liberando i mostri preistorici, compreso il gigantesco e ferocissimo Tirannosaurus Rex!

Le peggiori paure divengono realtà, e ai terrorizzati visitatori non resta che lottare per sopravvivere…

PER FANCIULLI DI OGNI ETÀ

Il successo di Jurassic Park è dovuto alla riuscitissima rivisitazione di temi cari al cinema fantastico, catastrofico e di avventura, interpretati con mano felice, effetti speciali innovativi, un briciolo d’ironia e una campagna pubblicitaria imponente che ha saputo raggiungere il vasto pubblico.

Il soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di MICHAEL CRICHTON, adattato in modo da soddisfare i gusti e le esigenze dei giovani, senza scontentare gli adulti.

Lo stesso regista ebbe a definire la sua pellicola come inadatta ai minori di 13 anni, una sospetta affermazione da trovata pubblicitaria, poiché a nessuno piace sentirsi trattare da bambino, molti adulti rifiutano anzi a priori lungometraggi dedicati all’infanzia, indipendentemente dal valore artistico.

Il film per famiglie deve scendere a compromessi, e spesso si trasforma in spettacolo prevedibile, asettico, tanto privo di violenza, sesso e parolacce, quanto povero di temi che facciano riflettere, e di un linguaggio espressivo capace di coinvolgere. STEVEN SPIELBERG, evidenziando al momento giusto anche i dettagli meno infantili della vicenda, è riuscito ad evitare questi difetti e ad attrarre una platea eterogenea: adulti incuriositi dagli effetti speciali o dalla martellante pubblicità, vecchi fan interessati all’evoluzione artistica del regista, famiglie con ragazzini in età scolare…

Il revival preistorico si è così trasformato in un fenomeno di costume, sfornando una smisurata quantità di gadget – oggi ambiti dai collezionisti – distribuiti all’uscita nelle sale, e di articoli in tema, di richiamo per preadolescenti: album di figurine, adesivi, pupazzi, fumetti, videogame, action figure, abiti e addirittura cibo con sorprese … Il logo dello scheletro di T-Rex in giallo e nero divenne assai popolare, tanto da venire modificato per pubblicizzare attrazioni ispirate alla preistoria, in parchi di divertimento o in musei didattici.

La vicenda narrata, in sé, è piuttosto prevedibile e scorre lineare. Già King Kong a suo tempo aveva mostrato dinosauri su una lontana isola, mentre mostri di ogni genere avevano affollato gli schermi negli anni Cinquanta e Sessanta.

I protagonisti a prima vista sembrano la versione edulcorata dei soliti personaggi del cinema di avventura e di fantascienza: scienziati burberi e avventurosi, belle studiose dotate di coraggio e istinti materni, ragazzini indifesi ma intrepidi, sgradevoli quanto inconsistenti antagonisti… Creature di celluloide il cui destino è segnato fin dal primo fotogramma, tanto che è facilissimo indovinare chi di loro verrà fatto a pezzi per primo.

Belli e aitanti, giovanissimi e sbarazzini, oppure truci, goffi e cattivi, tutti ammiccano a un pubblico familiare. Volutamente viene rappresentata la fascia d’età dei genitori, quella dei nonni, e dei ragazzini, senza invece adolescenti in azione. Mancano figure che solletichino gli ormoni dei teenager; forse è meglio così, perché eros e azione, sullo schermo, difficilmente vanno d’accordo. Nel caso di Jurassic Park, la coppia di antropologi è di bell’aspetto, ma di una bellezza simile a quella degli asessuati protagonisti dei vecchi film Disney. Personaggi che allo stesso tempo sono classici e caricaturali, proprio perché sono poco credibili al di fuori del mondo artificiale del parco preistorico, come se fossero pure loro cloni, ricreati in un museo di Storia del Cinema anziché di Storia Naturale.

Jurassic Park è senza dubbio un blockbuster, ma è tutt’altro che ingenuo o banale. Può apparire tale a una visione distratta, ma, osservandolo con attenzione, si scoprono virtuosismi e invenzioni, omaggi al passato e ironia. Ha la capacità di farsi apprezzare da spettatori diversi, senza però rinunciare alla propria identità: un film per famiglie che riesce a farsi cult movie, fenomeno di costume, riconoscimento affettuoso alla cinematografia di genere, illuminato poi da alcune sequenze memorabili capaci di accontentare anche parte della critica specializzata.

Può apparire come un costoso giocattolo tecnologico, e indubbiamente gli effetti speciali giocano un ruolo fondamentale. Hanno segnato l’ingresso della grafica computerizzata nel campo della cinematografia: prima di allora le tecniche erano costosissime e i risultati deludenti. Finalmente i dinosauri appaiono verosimili, condizione necessaria per dare credibilità alla vicenda e scatenare la paura.

In realtà le sequenze migliori sono quelle in cui si costruisce la tensione: il tremito dell’acqua raccolta nell’impronta del T-Rex, i tonfi e i ruggiti nel buio, il recinto elettrificato piegato, il mostro riflesso nello specchietto retrovisore… Scene che riescono a far trattenere il fiato in platea, sia per il montaggio magistrale, sia perché lo spettatore ha già concesso la sua fiducia al narratore, nel momento stesso in cui è rimasto affascinato dai bestioni virtuali.

I particolari horror abbondano, anche se le scene più truci si limitano a fotogrammi rapidi. Il montaggio veloce consente di non eccedere con lo splatter ma suggerire ugualmente tutto quello che l’occhio, per esigenze di censura, non può concretamente vedere. Nei momenti più espliciti, l’arma dell’ironia entra in azione; qualcuno avrebbe potuto storcere il naso nel veder sbranare una persona, ma il T-Rex che cattura la sua preda seduta sul water diviene una pausa comica! Le scene più truci sono state la valida scusante per poter fare entrare nel cinema anche coppie e adulti, senza far scoppiare epidemie di sindrome di Peter Pan. Un target di spettatori volutamente ibrido, un’eccellente operazione di marketing che ha solo in parte a che fare con la tendenza a voler restare giovani. Basta considerare quale modesta accoglienza trovano sugli schermi i titoli presentati al Giffoni Film Festival o a manifestazioni analoghe, film di qualità ma rivolti per davvero a bambini. Visti gli incassi limitati, le difficoltà di distribuzione, i pochi riconoscimenti, è ovvio che un regista avverta la necessità di portare grandi e piccini in una lucrosa “Isola che non c’è”.

ATTUALITÀ E MORALISMI

Jurassic Park è basato su un presupposto scientifico verosimile, la clonazione di animali partendo dalla ricostruzione del DNA riesumato da resti fossili o da reperti imbalsamati, una tecnica che quindici anni fa era fantascientifica, e che oggi sta per essere impiegata. Potrà riportare sulla Terra specie scomparse da pochi decenni, come la Tigre della Tasmania. Oppure potrà riprodurre specie altrimenti destinate a estinzione certa, tamponando i danni prodotti dall’imprevidenza e dall’ignoranza umane. Simili prodigi potrebbero presto divenire realtà, sebbene gli stessi ambientalisti si pongano gravi dubbi etici in proposito, e le opinioni sono molto discordanti. Rimane il fatto che tra il parco giurassico della finzione e l’uomo del Terzo Millennio ci sono state la pecora Dolly, i mici Copycat, i cagnolini Snuppy e varie cucciolate di maialini…

Nel film, l’uso irresponsabile della scienza, avanzata troppo in fretta rispetto alla maturazione etica, e piegata ai capricci degli uomini, è il pretesto per scatenare la catastrofe. La situazione sfugge di mano a quanti trasgrediscono le leggi del Creato, e battute didascaliche mettono in guardia dall’ambire a sostituirsi a Dio o alla Natura. Questa volta, tuttavia, la morale della favola, caratteristica delle belle fiabe ideate da Spielberg, resta in sordina. In primo luogo, la vicenda si basa proprio sulla reazione dei dinosauri – prevedibile e attesa come da copione, nei film catastrofici. Inoltre il concetto di natura è assai ambiguo: nella finzione, i grandi rettili sono creature viventi e artificiali al contempo, così come tutto l’ambiente ricostruito a Isla Nublar, voluto da Hammond. La natura che si ribella all’uomo in realtà è artificio.

L’escalation di tensione e orrore lascia peraltro scarso spazio alle ideologie: lo spettatore non fa in tempo a finire indottrinato, viene trascinato nel vortice di eventi che coinvolgono l’emotività e rinvia il dibattito a un secondo momento.

Del resto è difficile parlare di ambiente e di rispetto della natura quando si vuole mantenere un’ottica antropocentrica. L’uomo signore e padrone del Creato può essere un re illuminato anziché uno sciagurato tiranno, ma, se agisce con accortezza, lo fa per proprio tornaconto, non perché si sente parte di un’immensa vita, come San Francesco o certe tribù delle pianure americane.

Inoltre, la morale tradizionalista risulta superficiale, quando ha troppo poco spazio per un’esposizione logica che la renda motivata e convincente: in pratica, nel grosso dei film di azione.

Il romanzo, grazie ai tempi dilatati, affronta i dubbi etici in modo assai più filosofico. Nel corso delle tante pagine Crichton trova spazio per stupire e spaventare i lettori, e per farli riflettere sull’uomo, sul rapporto con il pianeta e le sue risorse, con la conoscenza, il potere, la consapevolezza dell’agire. I personaggi stessi vengono usati per rappresentare i diversi punti di vista, e le sottotrame horror, spionistiche, fantascientifiche sembrano diversivi inseriti ad intervallare le disquisizioni.

Lo Ian Malcom della versione letteraria è la voce dolente della coscienza dello scienziato del Terzo Millennio, una figura tragica. È consapevole di essere solo un anello in una vasta catena di eventi collegati fra loro secondo logiche non del tutto prevedibili, una voce destinata a spegnersi lentamente, in una lunga e straziante agonia. Viene invece salvato e stravolto nel film, trasformato in un procace matematico, disilluso e trasgressivo ma anche ben saldo nei suoi valori. Una sorta di moralista senza morale come Philip Marlowe, decisamente sexy, forse il personaggio più riuscito, tanto da essere protagonista del seguito.

John Hammond sullo schermo pare un nonno svagato e bonario, un Santa Claus idealista e sognatore che vuol divertire i bambini, non un cinico uomo d’affari, lucido e spietato, che crea il parco per poter fare turismo di élite, e che tutto calcola in termini di perdita economica, anche le peggiori disgrazie.

Sullo schermo c’è una decisa semplificazione dei personaggi, delle situazioni e delle atmosfere evocate, che mutano registro e vengono incontro alle esigenze di un film per famiglie, e alla voglia di revival, di omaggio al cinema del passato.

Forse non è il migliore dei film diretti da Spielberg , come non è il più riuscito tra i libri scritti dal prolifico Crichton; in ogni caso, racconto e pellicola divengono due narrazioni ben distinte, ed entrambe valide.