La leggenda di Krabat e il mulino dei dodici corvi è una fiaba popolare dalle atmosfere cupe diffusa tra i Sorbi o Serbi di Lusazia, etnia slava delle regioni tedesche della Sassonia e del Brandeburgo.
Krabat è un giovane orfano che vaga mendicando attraverso terre devastate dalla Guerra dei Trent’Anni e dalla pestilenza. Una notte avverte un richiamo sovrannaturale: sogna undici corvi e una voce lo invita al mulino della palude di Kosel. Decide allora di raggiunge l’edificio, abitato dal mugnaio e dai suoi undici garzoni. Lì Krabat viene assunto come apprendista e, lavorando duramente, impara “il mestiere e tutto il resto”; il mulino è infatti una scuola di magia nera, la disciplina regna ferrea e il percorso iniziatico per quanti vogliano apprendere “l’Arte delle Arti” è doloroso, pieno di rinunce e di rischi. Solo l’amore per una ragazza incontrata al villaggio potrà salvare Krabat dal grande pericolo che incombe su di lui…
Paragoni inopportuni
Krabat e il Mulino dei Dodici Corvi ha alle spalle l’omonimo romanzo dello scrittore tedesco Otfried Preussler, un fantasy che si rivolge a giovani e adulti, ispirato al patrimonio folcloristico rielaborato con originalità e impegno ideologico. Le pagine toccano temi profondi, quali la tentazione del potere, la realizzazione dei desideri più autentici, l’importanza degli affetti e il prezzo di ogni scelta.
La trasposizione cinematografica, molto fedele alla pagina, è stata pubblicizzata come una teutonica risposta alle avventure di Harry Potter, ritenute da molti troppo zuccherose. Questa presentazione rende però poca giustizia ai protagonisti di ambedue i romanzi, diversi tra loro ma entrambi convincenti e poco sdolcinati. Il mondo creato dalla Rowling non è una rivisitazione idilliaca della nostra realtà; molti stregoni sono classisti, ipocrisie e corruzione sono all’ordine del giorno, i personaggi positivi possono soccombere al pari dei loro avversari, e la giustizia contempla la tortura e condanne ancora più crudeli della pena capitale. Il resto è un gradevole sfondo che dà spazio alla satira sociale del mondo anglosassone o mitizza i ricordi degli anni trascorsi nel college; oppure… è gadgetteria accattivante, pronta per essere smerciata alle convention.
Le analogie tra i personaggi della Rowling e quelli del folklore sorbo sono quindi superficiali, e pagine alla mano ogni paragone appare inopportuno. Di certo il mondo di Krabat è più cupo: la guerra rade al suolo interi villaggi e provoca carestie, la gente muore di fame o di peste, i bambini diventano presto adulti. In un simile contesto la stregoneria è un patto oscuro che promette potere in cambio della perdita della libertà. La magia è magia nera, non c’è spazio per eventuali interpretazioni panteistiche e pagane, pur molto diffuse nei paesi dell’Est.
Krabat e il Mulino dei Dodici Corvi, quindi, disattende gli stereotipi del tipico prodotto cinematografico studiato per accattivarsi le simpatie di famiglie e ragazzini. Il regista Marco Kreuzpaintner, impegnato attivamente nella difesa dei diritti dei minori, mette in scena un’ambientazione fin troppo verosimile e cala la fantasia in un contesto crudo. Fin dai primi fotogrammi le differenze rispetto alle consuete pellicole fantasy destinate ai giovanissimi risaltano palesi. La panoramica sulla campagna desolata coperta di neve, i primi piani e i dettagli del campo di battaglia, la marcia dei tre giovani mendicanti flagellati dal vento, tutto concorre a sciogliere qualsiasi dubbio: la vicenda è una dura storia di formazione sospesa tra fantasia e verosimiglianza, diretta con solido mestiere, mezzi contenuti e ferrea onestà ideologica. C’è poco spazio per scelte ‘di cassetta’, in questa fiaba per adulti, ricca di riflessioni amare e priva di tanti elementi graditi ai bambini.
Fantasy in Europa, che impresa!
Se paragonata alla fortunata trasposizione di Harry Potter, oppure a ricche produzioni americane, la pellicola di Kreuzpaintner può apparire sotto tono: dal punto di vista formale ricalca titoli più noti – come troppo spesso accade nel cinema europeo – e alcune soluzioni narrative sono condizionate dai mezzi tecnici limitati, che obbligano il regista a scegliere soluzioni visive semplici e collaudate. È il caso della scelta di esasperare i colori spenti del bosco e del mulino, e riservare i colori caldi ai sogni del protagonista o ai rari momenti di gioia. Le immagini saturate dichiarano allo spettatore i sentimenti del giovane mago, ma è un espediente visto in decine di pellicole, e la scarsa originalità indebolisce il messaggio. Ci sono tuttavia sequenze davvero suggestive, come la trasformazione in corvo del protagonista, o la visita al villaggio durante la notte di Pasqua; altre lasciano un po’ a desiderare, come quelle dell’attacco al vicino paese. Il montaggio dà ritmo alle scene di combattimento, con un rapido alternarsi di inquadrature e rapidissimi primi piani (anche se i nemici dei ragazzi maghi cadono piroettando in modo improbabile); il risultato ricorda quelli visti in tante altre produzioni di genere, dal famoso Il Gladiatore fino a King Arthur. La colonna sonora mescola sonorità etniche e sinfoniche, seguendo anch’essa la lezione di pellicole più note.
La sceneggiatura elimina gli eventi di minore importanza e si affida alla voce fuori campo di Krabat ormai divenuto adulto. La scelta di usare un narratore riconduce la vicenda alle sue origini di fiaba popolare, e di romanzo. Le parole di Krabat riassumono le trame secondarie e, come nei vecchi teleromanzi, prendono lo spettatore per mano accompagnandolo alla scoperta di quel mondo plumbeo. In alcune occasioni l’artificio si sostituisce a dialoghi impegnativi, oppure semplifica la sceneggiatura, permettendo una struttura lineare, con rari flashback. La recitazione viene così ridotta a poche significative battute, almeno nel caso dei giovani interpreti. Il bravo Christian Redl, nei panni del Maestro, dà vita a un personaggio indimenticabile; purtroppo questo valido interprete è poco conosciuto fuori dei confini della Germania.
La scelta di utilizzare professionisti del cinema tedesco invece di ricorrere a volti noti del panorama internazionale ha probabilmente ostacolato la distribuzione del film. La pellicola è stata un successo in patria, mentre in Italia è stata proiettata in poche sale, e presto dimenticata, oppure considerata alla stregua delle produzioni televisive o dei B-movie.
Temi adulti
Le atmosfere gotiche e il terrore che si costruisce a poco a poco grazie ai dialoghi scarni sono il migliore effetto speciale, insieme al soggetto inconsueto. Il film apparentemente si rivolge ai giovani, tuttavia imbastire un ennesimo scontro tra Bene e Male non è sufficiente a far presa sull’emotività dei più piccoli. Probabilmente soltanto uno spettatore maturo può capire i dilemmi morali vissuti dall’apprendista e dai suoi compagni. Inoltre i protagonisti sono molto diversi dai teenager di oggi e vivono problemi a questi ultimi normalmente sconosciuti. Sono giovani uomini di un’epoca lontana e si comportano secondo gli usi e i costumi del tempo. L’infanzia per loro è finita presto, forse sono fuggiti da genitori violenti o troppo poveri per sfamarli, o forse sono orfani. I meccanismi di identificazione tanto cari alle produzioni ‘per famiglie’ stentano quindi a innescarsi.
In un’epoca in cui la vita è un bene precario e non di rado si muore di stenti, di malattia, massacrati da mercenari allo sbando o sotto gli abusi dei potenti, per i ragazzi del mulino imparare l’Arte delle Arti finisce con l’apparire una scelta valida, nonostante i gravi rischi; preferibile a una semplice esistenza di stenti in cui ogni aspirazione è frustrata da una condizione di miseria dalla quale affrancarsi è impossibile. E così i rozzi e ingenui garzoni cadono vittime delle lusinghe e del potere del Maestro. L’ambizione ha però un prezzo altissimo: i ragazzi riescono a compiere prodigi, si trasformano in corvi e usano il bastone magico meglio di una spada, ma nessuno lascia vivo il mulino. Orribili segreti circondano l’attività del Maestro, e prima o poi il curioso Krabat dovrà farne le spese.
La pellicola porta a riflettere inoltre sul valore della differenza, e sull’emarginazione esistente anche qualora si appartenga a una élite privilegiata. All’inizio del loro percorso iniziatico i garzoni si sentono degli eletti, superiori al resto della società da cui si distaccano senza rimpianto. Progredendo nelle arti occulte si rendono però conto di non essere migliori, nonostante i poteri sovrumani. La magia impone scelte radicali e il mugnaio impedisce il confronto con altri modelli di vita: costruisce una società diversa, dittatoriale. L’autore del romanzo – e con lui il regista – sottintende come tanta riservatezza ed esclusività danneggino qualsiasi gruppo, a prescindere dall’ideologia imposta.
E a proposito di credi: la stregoneria praticata al mulino si contrappone alle cerimonie religiose cristiane, parodiandole. Dodici sono gli apostoli e dodici sono gli apprendisti; il mugnaio si fa chiamare Maestro, gli incantesimi sostituiscono i miracoli, la castità è un obbligo così come la rinuncia ai contatti con la società. Quanti praticano la stregoneria devono sottomettersi, fare voto di obbedienza, dimenticare l’amore, pena incorrere nell’ira del Maestro e divenire le future vittime.
Krabat si salverà grazie all’amore per una ragazza del villaggio, ma né lui né i compagni praticheranno più la magia. Il cammino di formazione del giovane stregone si concretizza nel ritornare alla vita di tutti i giorni: un epilogo forse deludente per gli appassionati di fantasy, che vorrebbero gli eroi vincitori avviarsi verso nuove avventure.
La conclusione è quindi dolce e amara allo stesso tempo, e dimostra come l’essere diversi, e potenti, non sempre coincide col raggiungimento della felicità. È preferibile conoscere il prezzo del potere, e saper rinunciare alle sue lusinghe pur di restare persone libere, libere di amare e di seguire i desideri più autentici. Una morale, questa, suggerita con lucida onestà durante tutta la pellicola.
Krabat e il Mulino dei Dodici Corvi è quindi un film atipico, contraddistinto da un forte impegno ideologico e da una peculiare ambientazione: un lavoro pregevole, ma non adatto a tutti, lontano dai toni epici propri di gran parte delle opere fantasy.
Tit. originale: Krabat
Anno: 2008
Nazionalità: Germania
Regia: Marco Kreuzpaintner
Autore: Michael Gutmann, Marco Kreuzpaintner (written by) | Otfried Preußler (romanzo)
Cast: David Kross (Krabat), Daniel Brühl (Tonda), Christian Redl (Maestro), Robert Stadlober (Lyschko), Paula Kalenberg (Kantorka), Hanno Koffler (Juro), Anna Thalbach (Worschula), Charly Hübner (Michal), Moritz Grove (Merten), Tom Wlaschiha (Hanzo), Sven Hönig (Andrusch), Stefan Haschke (Staschko), David Fischbach (Lobosch), Daniel Steiner (Petar), Tom Lass (Kubo), Daniel Fripan (Kito), Ionut Baias (Baro)
Fotografia: Daniel Gottschalk
Montaggio: Hansjörg Weißbrich
Musiche: Annette Focks
Rep. Scenografico: Christian M. Goldbeck (production design) | Daniel Chour (art direction), Christian Schaefer (supervising art director) | Ernestine Hipper (set decoration)
Costumi: Anke Winckler
Produttore: Jakob Claussen, Nick Hamson, Ulrike Putz, Lars Sylvest, Bernd Wintersperger, Thomas Wöbke | Christian Balz, Stefan Gärtner (co-produttori) | Gabriela Bacher (esecutivo) | Nicola Fletcher (associato) | Jens Oberwetter (di linea)
Produzione: B.A. Filmproduktion, Brass Hat Films, Castel Film Romania, Claussen Wöbke Putz Filmproduktion, Krabat Filmproduktion, MSM Studios, Seven Pictures Film