Krishna - Un viaggio interiore

Krishna – Un viaggio interiore

Fin dall’adolescenza sono fortemente appassionato di cultura Indiana antica (induismo in particolare).

Il mio primo contatto con l’India furono delle illustrazioni molto kitsch, ma incredibilmente suggestive a corredo iconografico di una magnifica edizione della Bhagavad Gita (‘Il Canto del Beato’) edita dal gruppo religioso noto come ‘Hare Krishna’. (Questo al di là di ciò che pensò la mia professoressa di grammatica hindi qualche anno più tardi, ossia che il mio primo contatto con l’India antica fosse avvenuto in una delle mie precedenti vite, nella quale sarei stato, senza dubbio, un Indiano di religione hindu.)

Essendo di mio interesse tutto ciò che riguarda l’India e le sue religioni, fu con grande palpitazione che accolsi la notizia che ‘Krishna’ sarebbe stato tradotto in italiano da BAO Publishing.

Abhishek Singh non è completamente sconosciuto in Italia perché è stato il disegnatore di Ramayan 3392 AD, il cui primo volume fu pubblicato da Panini nel 2007 (gli altri sono tutt’ora inediti in Italia).

Per chi ancora non conoscesse questo bravissimo disegnatore, Krishna – Un viaggio interiore è un’ottima occasione per approcciarsi al suo lavoro: le sue splendide tavole offrono una soddisfazione che ripaga di gran lunga la spesa. Il volume si presenta con un formato particolare (è quasi quadrato), la carta è spessa e di qualità, la resa grafica ottima; all’interno non ci sono ‘tempi morti’, niente riempitivi o passaggi affrettati, non esiste alcun punto o momento in cui la bellezza si affievolisca, ogni tavola e ogni vignetta sono gioielli che colpiscono occhi, mente e cuore; se proprio devo – ma non dovrei – esprimere un ‘desiderio nerd’, direi che avrei preferito un cartonato, tanto è di pregio questo volume.

Singh, ottimo disegnatore ‘tradizionale’, confeziona l’opera con amplissimo uso del digitale: ma non si tratta di un digitale freddo e artificiale, tant’è che dalle tavole traspaiono le matite, inchiostrate e colorate digitalmente sfruttando in modo sublime le opportunità offerte dal computer. Non si tratta di una colorazione pittorica, quanto piuttosto grafica: ci sono ombre nette e pulite che rendono il disegno facile alla lettura. Non mancano le prospettive aeree.

Le tavole traboccano di personaggi con fattezze tra il divino e il ‘geneticamente modificato’, quasi un perfetto mix tra la cultura – e soprattutto l’iconografia – tradizionale indiana e un approccio moderno, che nulla toglie al valore spirituale dell’opera, sia sotteso sia dichiarato dall’autore. In certe situazioni (nelle battaglie ad esempio) i personaggi, umani, animali o divini, diventano grotteschi, con effetti che ne accentuano la drammaticità.

Molte tavole, sebbene ricche, paiono realizzate quasi di getto: sontuosi palazzi tratteggiati con pochi tocchi, macchie di colore che diventano stupende ghirlande… La sensazione grafica più presente resta comunque quella della ricchezza delle tavole: colori, ghirlande, bandiere, palazzi, paesaggi… tutto è come fosse delineato velocemente eppure l’impatto è fortissimo e, di nuovo, ricchissimo di dettagli. Una sorta di ‘impressionismo grafico’, se così si può dire.

Tutto il lavoro di Singh sostiene un’intensa drammaticità, che si eleva su vette altissime sia nella gioia che nel dolore, in un’atmosfera che non è di questo mondo ma appartiene al linguaggio universale delle leggende senza tempo.

La storia è quella di Krishna, personaggio che assume contorni diversi a seconda degli occhi che lo guardano: mito leggendario per un laico, avatar di Vishnu per un hindu, dio supremo per un devoto krishnaita; comunque protagonista di meravigliose favole immortali (loro senza alcun dubbio) ricche di simboli e contenuti.

Ciò che racconta Abhishek Singh non è inventato lui, ma da vari autori che stanno in bilico tra il leggendario e lo storicamente semi-accertato, ossia coloro che hanno scritto non solo la Bhagavad Gita ma anche altri ‘testi sacri, come i Bhagavata Purana e lo Srimad Bhagavatam, opera quest’ultima che narra anche i giochi e gli amori di questa divinità blu tanto amata in India (e non solo).

Si parte quindi dall’infanzia di Krishna, narrata in una serie di tavole di una bellezza e di una dolcezza (e ironia) difficilmente descrivibili a parole. Il piccolo Krishna è un delizioso monello super-deformed, goloso di burro, pieno di vita e con un sorriso irresistibile! C’è un racconto sull’infanzia di Krishna che ho sempre amato particolarmente, cioè quando la sua mamma adottiva, Yasoda, lo sorprende a rubare per l’ennesima volta il burro e sgridandolo gli apre la bocca per pulirgliela e… dentro la bocca del piccolo vede l’universo intero, capendo così Chi sta stringendo tra le braccia. Una storia meravigliosa che Singh tratteggia con delicata dolcezza e devastante potenza.

In realtà ogni episodio è stupendo in questo volume: la lotta col gigantesco serpente Kaalia, l’amore di Krishna per la pastorella Radha, divino e terreno insieme, il racconto della nascita del dio, i dubbi di Arjuna, la terrificante battaglia di Kurukshetra…

L’autore non nasconde di aver realizzato un’opera di devozione religiosa e, lo dico laicamente, la sua fede potrebbe essere stata un elemento aggiuntivo non tanto per la bellezza della storia (la storia di Krishna è bellissima anche per l’ateo più incallito, parliamo di letteratura universale) quanto per la resa drammatica ed emozionale dell’intero lavoro.

La profondità del racconto, comunque, non ha bisogno di alcuna fede religiosa per essere compresa e apprezzata.

Un’opera davvero sublime.