L'Estate della Paura (Summer of Night, di Dan Simmons)

L’Estate della Paura

Recensione

Anno 1960. Nella cittadina di Elm Haven, sperduta tra i campi di granturco dell’Illinois, sta per giungere l’inizio delle vacanze, il momento più atteso da tutti i ragazzi del mondo; Duane, Jim, Kevin, Mike e i fratelli Dale e Lawrence non fanno eccezione.

Ancora non sanno che quella sarà un’estate molto particolare.

Anche per la loro scuola, l’Old Central, edificio centenario e semi-abbandonato, è l’ultimo giorno prima dello smantellamento definitivo, ma al suo interno ci sono luoghi in cui qualcosa di oscuro si sta lentamente risvegliando.

L’orrore è in agguato e saranno questi giovanissimi eroi a combatterlo, unendo ogni loro capacità.

Chiunque conosca STEPHEN KING non può non associare il libro di DAN SIMMONS al capolavoro del re dell’horror, It. I temi narrativi sono gli stessi, ovvero protagonisti adolescenti che, nella diffidente incredulità degli adulti, si trovano ad affrontare qualcosa più grande di loro: il mostro divoratore aiutato da adepti diabolici, umani e non. Tuttavia, procedendo nella lettura, emergono differenze sostanziali tra i due autori e i due romanzi, che rendono difficile un paragone di qualità: It aggredisce il lettore fin dalle prime pagine, mentre L’Estate della Paura è pervaso da un’atmosfera nostalgica che in qualche modo accentua il realismo delle scene più crude.

In sostanza, se entrambi gli autori inseriscono l’horror nella geografia della loro infanzia, King ci dona allucinazioni e schizzi di sangue, Simmons traccia un contesto più struggente e verosimile.

Tuttavia la narrazione inciampa in alcuni aspetti basilari. Nella caratterizzazione dei protagonisti sembra che l’autore “faccia le preferenze”, privilegiandone alcuni a scapito di altri; indimenticabile il personaggio di Duane, agricoltore undicenne dal Q.I. di 160 modestamente celato dietro un corpo goffo, un atteggiamento schivo e le responsabilità di un adulto: lavoro nei campi, cura del padre alcolizzato, passione segreta per la scrittura. Gli altri invece appaiono più sfumati e a volte stereotipati, sebbene presentino a tratti punte narrative d’impatto.

Mike è il tipico ragazzino cattolico di origine irlandese, e il suo personaggio si rianima nel rapporto con la nonna paralizzata, l’unica tra gli adulti capace di riconoscere l’avvicinarsi della Tempesta. Kevin e Jim “fanno gruppo”, Dale e Lawrence sono la classica coppia di fratelli: saggio il maggiore, terribile il minore. Infine, l’inquietante Cordie, unica ragazza del gruppo, sudicia e violenta, “diversa” fino all’eccesso da ogni altro coetaneo.

Inoltre, la prima parte del romanzo appare descrittiva al punto da rasentare la prolissità e far desiderare una maggiore intraprendenza da parte del mostro di turno. Solo verso la conclusione il ritmo narrativo accelera in una sequenza convulsa che fagocita le differenze caratteriali dei giovani protagonisti, rendendo necessario un certo impegno per capire chi fa cosa.

Alla fine il Bene vincerà, naturalmente, ma non senza vittime.

L’Estate della Paura, premio Locus 1992, è un horror i cui connotati tradizionali sfiorano il mistery: l’origine del Male è molto antica, una vecchia campana dei Borgia corrotta da poteri esoterici dell’antico Egitto. Questo dettaglio stona con l’atmosfera “very american country” evocata dall’autore, portando il lettore a chiedersi se sia davvero necessario un espediente così estraneo all’habitat locale.

Tuttavia Simmons ha spaziato dalla fantascienza, all’horror, al fantasy e all’hard-boiled mostrando una spiccata predilezione per la contaminazione di spunti narrativi, basti pensare a I Canti di Hyperion e alle saghe più recenti, Ilium e Olympus. Non mancano mai nelle sue opere accenni ai classici della letteratura più varia: in questo romanzo troviamo brani di Dickens, Crowley, Machiavelli, Shakespeare e un omaggio solenne a Edgar Allan Poe. Infatti la tragedia finale si compie mentre sul telone svolazzante del cinema all’aperto di Elm Haven continua la proiezione di una vecchia pellicola, “I Vivi e i Morti”, nell’atmosfera irreale di una piazza ormai deserta: una chiara analogia tra la scuola infestata – nonché coloro che in qualche modo ne hanno assecondato la maledizione – e Il Crollo della Casa degli Usher narrato nel suddetto film. Edifici che ospitano entrambi creature dell’aldilà e destinati all’olocausto finale.

Se da una parte il romanzo di Simmons è un horror nel senso tradizionale del termine, dall’altra costituisce anche un viaggio a ritroso nei ricordi d’infanzia, nell’aria soffocante delle estati rurali americane, dove, tra baseball e corse in bicicletta, forse si desidera la comparsa del “mostro” per spezzare la monotonia di giornate sempre uguali.

Del resto, l’estate come “stagione diversa”, in cui l’oscurità delle vicende prende il posto della luce del sole, è tema comune a molti autori, non necessariamente di genere fantastico.

Inconscio sinonimo di istinti irrazionali in tumulto, i mesi di questo caldo – e a volte rovente – periodo dell’anno diventano spesso lo scenario favorito per narrare il passaggio dall’infanzia alla vita adulta. Tema, questo, rappresentato nel bildungsroman, il romanzo di formazione; restando in ambito moderno, oltre al già citato It, vengono in mente opere come Io non ho Paura di Niccolò Ammanniti, La Casa Dipinta di John Grisham, In Fondo alla Palude di Joe Lansdale e soprattutto l’insuperato capolavoro di Harper Lee, Il Buio oltre la Siepe: in ciascuna, i giovani protagonisti vedono la propria stagione d’infanzia spezzata dalla malvagità, sia essa rappresentata in un contesto reale o fantastico. E ogni racconto di questo tipo, nato non solo dalla fantasia ma anche dalle esperienze di vita dell’autore, ha un aspetto comune: dopo la vittoria, dopo che il Male è stato sconfitto, ciò che l’essere umano desidera è ricordare il proprio passato per riuscire a esorcizzarlo.


Anteprima testo

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La Vecchia Central School era ancora in piedi, decisa a tenere dentro di sé i propri segreti e i propri silenzi. La polvere di ottantaquattro anni di gessetti da lavagna flottava ancora nei rari raggi di luce che filtravano all’interno, così come le reminiscenze di otto decenni di riverniciature, che risorgevano dalle scale buie e dai pavimenti scuri e che pennellavano d’odore di mogano – odore di bara – l’aria intrappolata all’interno. I muri della Vecchia Central School erano talmente spessi da poter assorbire qualsiasi suono, mentre le alte finestre, con i vetri ormai chini e aggobbiti dalla vecchiaia e dalla gravita, tingevano l’aria di una spossatezza color seppia.

Nella vecchia scuola, il tempo si muoveva più lentamente che altrove, o non si muoveva affatto. I passi che echeggiavano lungo i corridoi o che venivano dalla tromba delle scale avevano la sordina e sembravano usciti di sincronismo rispetto ai movimenti che talora si intravvedevano in mezzo alle ombre.

La prima pietra della Vecchia Central School era stata posata nel 1876, lo stesso anno in cui – molto più a ovest – il generale Custer e i suoi uomini erano stati massacrati sul Little Bighorn e in cui, molto più a est, il primo telefono era stato presentato all’Esposizione del Centenario tenutasi a Filadelfia. La Vecchia Central School era stata costruita nell’Illinois, a circa metà strada fra i due eventi, ma assai lontano da qualsiasi flusso della storia.

E ottantaquattro anni dopo, nella primavera del 1960, la Vecchia Central School aveva finito per assomigliare alle anziane maestre che vi insegnavano: troppo annosa per continuare, ma troppo orgogliosa per farsi mettere in pensione, tenuta rigidamente eretta dalla forza dell’abitudine e dal semplice rifiuto di piegarsi. Di per se stessa un’infeconda, feroce vecchia zitella, la Vecchia Central School prendeva i figli degli altri, decennio dopo decennio.

Le bambine giocavano con la bambola nella penombra delle aule e, qualche anno dopo, morivano di parto. I bambini correvano gridando nei suoi corridoi, o sedevano in punizione nelle sue aule mute, in pomeriggi invernali presto bui, e finivano poi a farsi seppellire in località mai studiate nelle lezioni di geografia: San Juan Hill, Belleau Wood, Okinawa, Omaha Beach, Pork Chop Hill e Inchon.

In origine, la Vecchia Central School era circondata da alberi giovani e verdi, e gli olmi più vicini facevano ombra alle aule dei piani bassi, nelle tiepide giornate di maggio e di settembre. Ma nel corso degli anni il filare a ridosso della costruzione era morto e il perimetro di grandi olmi che circondavano come silenziose sentinelle l’intero isolato della scuola era stato calcificato e scheletrito dal tempo e dalla malattia. Una parte era stata abbattuta e portata via come legna da ardere, ma la maggioranza di quegli alberi rimaneva, e le ombre dei loro rami spogli si protendevano sui campi da gioco come dita artritiche brancolanti verso il corpo centrale della scuola.

Il turista diretto verso la cittadina di Elm Haven che, lasciata la Hard Road, per caso si fosse trovato a percorrere i due isolati necessari per imbattersi nella Vecchia Central School, finiva molte volte per scambiarla per un tribunale troppo grande o per qualche altra sorta di palazzo comunale, gonfiatosi per orgoglio luciferino fino a conseguire una dimensione assurda. Infatti, a che cosa poteva servire, in una cittadina depressa di mille e ottocento anime, un così grosso edificio di tre piani, occupante un intero isolato?

Poi il turista scorgeva le attrezzature dei campi da gioco e capiva trattarsi di una scuola. Strana scuola, con la cella campanaria, un tempo impreziosita di rame e di bronzi ma ora imbiancata dal verderame, posta a quindici e più metri dal suolo, sul cocuzzolo di un tetto nero, inclinato come quello di una baita di montagna; con archi di pietra nello stile neo-romanico del Richardson, curvi come serpenti sui finestroni alti quattro metri; con file di finestre di rango inferiore, circolari e ovali, dai vetri multicolori che facevano pensare a un assurdo connubio tra una scuola e una basilica; con abbaini a sghembo, a imitazione di qualche antico castello, che sbirciavano dalle grondaie del secondo piano; con bizzarre volute, simili a rotoli di pergamena mutati in pietra, al di sopra di porte rientrate e di finestre cieche; e – la cosa che, tra tutte, colpiva più fastidiosamente l’osservatore – con la sua tozza, goffa, minacciosa dimensione stessa. La Vecchia Central School, con le sue tre file di finestre sui quattro piani fuori terra, i cornicioni a sbalzo e gli abbaini spigolosi, il tetto svettante e la torretta scabbiosa, sembrava decisamente troppo grande per una cittadina così modesta.

E se il turista aveva una sia pur minima curiosità per l’architettura, si fermava sulla placida strada asfaltata, scendeva dall’auto, rimirava stupito, prendeva la macchina fotografica.

Ma, anche nel breve tempo occorrente per scattare una foto, notava che le alte finestre non erano che grandi, neri fori che inghiottivano la luce, anziché farla passare o rifletterla, e che i tocchi di romanico richardsoniano, di secondo impero e di rinascimento erano semplici sovrapposizioni su una struttura architettonica appartenente a quello stile, molto più brutale e volgare, che si potrebbe chiamare “gotico scolastico americano”, sicché l’impressione complessiva non era quella di un bell’edificio, e neppure di una vera e geniale bizzarria architettonica, ma soltanto di una schizofrenica catasta di mattoni e di pietra, coronata da una torre certamente disegnata da un pazzo.

E se qualcuno dei turisti, superato un vago senso di soggezione, chiedeva nei dintorni o si spingeva fino al capoluogo di contea, Oak Hill, per cercare informazioni sulla Vecchia Central School, scopriva negli archivi che la scuola rientrava in un vasto progetto, risalente a ottant’anni prima, per la costruzione di cinque grandi scuole nella contea: Nordest, Nordovest, Centrale, Sudest e Sudovest. La Vecchia Central School era stata la prima a essere costruita, e anche l’ultima.

Infatti Elm Haven, intorno al 1870, era molto più grande che nel 1960, grazie soprattutto alla ferrovia (ora non più in esercizio) e al massiccio afflusso di immigranti che venivano attirati laggiù da Chicago, a opera di ambiziosi pianificatori cittadini. Da una popolazione di 28 mila abitanti nel 1875, l’intera contea era scesa nel censimento del 1960 a meno di 12 mila, quasi tutti agricoltori. Nel 1875, però, Elm Haven vantava ben 4300 abitanti, e il giudice Ashley, il magnate che aveva voluto gli insediamenti e la costruzione della Vecchia Central School, assicurava che la cittadina avrebbe finito per superare Peoria come numero di abitanti e per uguagliare Chicago.

L’architetto che il giudice era andato a pescare in qualche città dell’Est – un tale Solon Spencer Alden – era stato allievo tanto di Henry Hobson Richardson quanto di R.M. Hunt, e l’incubo architettonico da lui creato rispecchiava il lato cupo della rinascita romanica fine Ottocento, ma senza il senso di grandeur o di finalità sociale che talvolta s’incontra nelle costruzioni in quello stile.

Il giudice Ashley aveva voluto – ed Elm Haven aveva accettato – che la scuola fosse in grado di accogliere le future, e annunciate più vaste, generazioni di studenti che sarebbero certamente affluite nella contea di Creve Coeur. Così, l’edificio era stato progettato come scuola “integrata”, ossia come sede di più istituti scolastici, e ospitava, oltre all’insegnamento elementare dalla prescolastica alla sesta, anche una scuola media, situata al secondo piano – ma chiusa dopo la Grande Guerra – nonché aree da usare come biblioteca cittadina e anche un’ala riservata, quando fosse giunto il momento, a un college universitario.

Ma l’insegnamento universitario non era mai giunto nella contea di Creve Coeur né tantomeno a Elm Haven. La grande casa del giudice Ashley in fondo alla Broad Avenue era bruciata dopo che il figlio aveva fatto bancarotta nella crisi del 1919. Da allora, la Vecchia Central School era sempre rimasta una scuola elementare, con un numero di allievi decrescente, mentre altre scuole integrate venivano costruite in altre parti della contea.

La scuola media del secondo piano era divenuta del tutto superflua quando a Oak Hill era stata aperta una vera scuola media, nel 1920, e le sue stanze attrezzate erano state chiuse e affidate alle ragnatele e all’oscurità. La biblioteca cittadina era stata tolta dal primo piano nel 1939 e, dall’alto del mezzanino, gli scaffali vuoti fissavano i pochi…

L'Estate della Paura - Copertina

Tit. originale: Summer of Night

Anno: 1991

Autore: Dan Simmons

Ciclo: Summer of Night #1

Edizione: Gargoyle (anno 2012)

Traduttore: Annarita Guarnieri

Pagine: 692

ISBN: 8889541695

ISBN-13: 9788804420491

Dalla copertina | Elm Haven, Illinois, 1960. È estate, la scuola è appena finita e 5 ragazzi di 12 anni stanno cementando un’amicizia che durerà tutta la vita e assaporando i primi, timidi corteggiamenti alle loro coetanee. Ma, fra i giochi in mezzo ai campi di grano assolati e le spensierate corse in bicicletta, qualcosa si nasconde in agguato. Una mostruosa entità senza tempo sta mietendo vittime fra i ragazzi della Old Central School, e gli adulti o rifiutano di capire quel che sta succedendo o sono essi stessi emissari di quel Male. Toccherà proprio a quei 5 amici indagare sulla natura di quell’incubo tremendo e affrontare il mostro, prima di finire anche loro preda della sua rapace avidità. E così Mike, Duane, Dale, Harlen e Kevin vivranno il loro passaggio all’età adulta lottando contro un arcano abominio che infesta le ore del buio…