È stato considerato per anni uno dei capisaldi della letteratura cyberpunk, a cominciare dal ruolo della protagonista Rebel, un nome che è un programma, e anche il busillis dell’intero libro. Rebel è una personalità che viene impiantata su un’altra, un uso comune nel mondo che Swanwick ci descrive.
Un uso che serve ad aumentare le proprie capacità e a provare, anche per pochi giorni, cosa si prova a essere qualcun altro, oppure a integrare in una sinergia le due personalità.
Alcuni si prestano a pagamento a svolgere questo compito, ed è il caso di Eucrasia Walsh, che si ritrova con Rebel nella propria mente. E tra Eucrasia e Rebel nasce un rapporto complesso, dove la personalità più forte e non a caso innovativa e sperimentale – Rebel – tende a reprimere l’altra, che comunque pare gradire a tratti la situazione, al punto che la nuova sinergia Rebel-Eucrasia decide di fare di testa propria e fugge. Ecco che dunque Rebel/Eucrasia si ritrova al centro di un colossale intrigo – di qui il titolo – dove sono in gioco enormi interessi economici, ambizioni politiche, il futuro stesso dell’umanità o di qualsivoglia concetto che a quello di umanità potrebbe sostituirsi.
Consapevolezza e fuga: la protagonista finisce dunque per andare fuori schema e per cercare disperatamente la propria identità. Una sorta di Odissea futuribile, tutta giocata sul concetto di “wetware”. Qui ci basterà dire che per wetware l’autore intende un’interazione tra tecnologia e cervello umano, che crea un qualcosa di nuovo, una nuova interfaccia in parte umana e in parte cibernetica. A questo punto, è chiaro, il solo limite è l’immaginazione. Un’immaginazione che porta a descrivere, come fa Swanwick ripercorrendo le tracce di STERLING e GIBSON, gli scenari prossimi venturi, con creature a metà fra gli esseri umani e l’intelligenza artificiale, o addirittura nuove forme di vita che sono una sinergia fra i due estremi.
È tuttavia destino che certi romanzi non riescano a fare presa su tutti. L’intrigo wetware è ricco, troppo ricco di tecnicismi che appesantiscono la narrazione: questa è come un fiume inizialmente impetuoso che ahimé, a poco a poco, finisce per insabbiarsi in tanti rivoli carsici, e il lettore è costretto a faticare per riprendere il filo del discorso e della trama. Tutto troppo onirico, e nello stesso tempo troppo farraginoso e allusivo: il lettore va in un certo qual modo facilitato, e non, sempre, e sistematicamente scoraggiato. È come se l’autore si divertisse a depistare. In passato, il sito di Intercom ha dedicato un saggio (http://www.intercom.publinet.it/1999/vacuum.htm) incredibilmente approfondito a L’Intrigo Wetware. Qui ci troviamo di fronte al modo in cui alcuni ritengono di dover affrontare una scrittura del genere: metafore, costruzioni filosofiche e allegorie. A mio avviso, invece, sia pure nel fascino che suscita in me un’analisi del genere, prima di paragonare Swanwick a Omero bisogna far sedimentare un po’ di più i giudizi e valutare anche l’impatto “nazionalpopolare” che può avere la lettura di un romanzo di fantascienza. In questo campo, comunemente si dice che il lettore si aspetta “sense of wonder”, insomma, deve sentirsi incentivato ad andare avanti da una storia avvincente. Difficile dire ciò de L’Intrigo Wetware, dove l’azione sembra essere più frutto di allusione che di descrizione vera e propria, e dove spesso si deve tornare indietro perché durante la lettura si finisce per distrarsi e pensare ad altro.
E dire che la vicenda avrebbe potuto lasciare spazio da una parte a una protagonista indimenticabile, la ribelle di nome e di fatto, dall’altra alla Terra dominata dalla Comprise, un ordinamento assolutamente monolitico, in cui ogni iniziativa individuale è inesistente: stiamo infatti parlando di una sorta di alveare, in cui non ha senso parlare di singole menti, ma di unità simili a singoli processori collegati tutti insieme in batteria per servire a un’unica, gigantesca, mente collettiva. Un po’ quello che accade in The Matrix, insomma.
Lotta dell’io, dunque, di Rebel per affermare se stessa ricercandosi e trovandosi e, grazie a ciò, affermazione di una vera democrazia, dove democrazia è il governo di una collettività fatta di singoli individui e non di una melma indifferente.
Che tipo di melma Swanwick descriva sembra essere evidente: la Comprise è il modello di vita americano che livella e spersonalizza, un’allegoria del mercato lasciato a se stesso e del marketing che vediamo oggi, la pubblicità che ci bombarda con le sue immagini rilassanti o adrenaliniche. E noi siamo presi in questo dualismo al punto che crediamo si risolva tutto fra questi due estremi. Come noi oggi, Rebel lotta contro il mondo e la filosofia che impone all’uomo lo schiacciamento su una linea retta compresa fra eccitazione e riposo, insomma l’uomo a una dimensione teorizzato da HERBERT MARCUSE.
Lettura complessa, si diceva, quella de L’Intrigo Wetware, e insieme un’occasione perduta per “volgarizzare” uno dei saggi fondamentali della filosofia contemporanea, una teoria che ancora oggi muove masse di no global verso il rifiuto dell’omologazione e dell’appiattimento culturale.