Jim Hawkins, orfano di padre, vive con la madre e il suo fidato cucciolo di leopardo Benbow nella Admiral Benbow Inn, locanda per marinai e viaggiatori che egli aiuta con entusiasmo e buona volontà a gestire. La vita per lui procede tranquilla, tra le varie faccende domestiche, ma una sera un enigmatico figuro, un pirata di nome Billy Bones, si presenta alla porta della locanda trascinando con sé un misterioso forziere e tanti sospetti.
Malgrado la diffidenza iniziale, il piccolo Jim stringe con Billy un rapporto di fiducia, venendo col tempo a conoscenza dei segreti dell’uomo: Billy Bones sta scappando da un pirata con una gamba sola che vuole impossessarsi della mappa di un tesoro sigillata nel forziere. Quando il fuggiasco, braccato dai seguaci del misterioso bucaniere, verrà ucciso, Jim si ritroverà tra le mani la chiave del forziere e la mappa in esso contenuta. È l’inizio del suo viaggio alla ricerca del leggendario tesoro appartenuto al pirata Flint. A seguirlo nella caccia vi sarà un manipolo di loschi figuri, un capitano coraggioso, due nobili inglesi e l’ambiguo cuoco Long John Silver, che cammina aiutandosi con una gruccia…
Nel 1883 l’autore scozzese ROBERT LOUIS STEVENSON scrisse quello che è divenuto uno dei più famosi classici della letteratura per ragazzi: L’Isola del Tesoro. Narrato in prima persona, dalla prosa attenta, descrittiva ma mai troppo prolissa, questo romanzo, con i suoi personaggi pirateschi e la sua natura epica e votata all’avventura, è certamente il più famoso mai scritto sui pirati.
Anche grazie a una serie lunghissima di versioni cinematografiche – interpretate, tra gli altri, da attori del calibro di Orson Welles, Kirk Douglas, Danny De Vito, Christian Bale – il mito dell’isola del tesoro e del bottino che questa nasconde si è perpetuato nel tempo.
Quasi cento anni dopo, nel 1978, OSAMU DEZAKI, lo stesso regista di fortunate serie animate quali Rocky Joe, Jenny la tennista e Lady Oscar, decise di trasporre il capolavoro di Stevenson in animazione confezionando – per conto della casa di produzione TMS, insieme agli sceneggiatori HARUYA YAMAZAKI e YOSHIMI SHINOZAKI, e contando sulla direzione artistica del grande AKIO SUGINO – una serie TV dall’identico titolo, L’Isola del Tesoro (Takarajima), che ripercorre il viaggio d’avventura del giovane Jim Hawkins e della sua combriccola di pirati.
Leggendo il libro e guardando la serie ci si accorge subito che Osamu Dezaki decise di porsi su un piano diverso rispetto al romanzo, assumendo cioè un atteggiamento più nozionistico rispetto e approfondendo – persino inventando a tratti – il viaggio e gli incontri del piccolo Jim.
Appare evidente così l’origine “animata” del cucciolo di leopardo Benbow che accompagna il protagonista – utilizzato per spezzare la drammaticità di talune situazioni –, come pure molti passaggi tra cui i più eclatanti sono sicuramente la tappa intermedia fatta dalla nave Hispaniola presso un porto delle “Indie Occidentali” nel corso del viaggio verso l’isola del tesoro e, soprattutto, l’enigma finale la cui risoluzione porta al ritrovamento dell’eredità del pirata Flint.
Osamu Dezaki, insomma, tralasciando l’ipotesi di seguire pedissequamente lo scritto originale, scelse piuttosto di usarlo come traccia su cui poggiare le solide basi dei vari capitoli che formano la serie, ventisei episodi che si possono suddividere in cinque blocchi narrativi evidenti: la preparazione al viaggio, la navigazione in mare e la conoscenza dell’equipaggio dell’Hispaniola, la permanenza sull’isola e nel fortino; la caccia vera e propria al tesoro di Flint, e infine il ritorno a casa con l’epilogo sui protagonisti.
Malgrado ciò che si potrebbe pensare, tale suddivisione segue comunque l’ordine logico-narrativo del romanzo di Stevenson che, quindi, continua a dettare tacitamente i momenti più importanti della trama.
Nonostante l’abilità con cui Osamu Dezaki cambi spesso il punto di vista – spostando per esempio l’attenzione dello spettatore da personaggi secondari come Billy Bones a oggetti come il famoso barile di mele –, a ben vedere tutte le parti che compongono l’opera animata sono collegate da un unico tema narrativo portante: il rapporto d’amicizia tra Jim e il pirata John Silver.
Su questo argomento, che nel libro era in fondo appena accennato, Dezaki punta tutto, elevando il legame tra i due antagonisti – eternamente oscillante tra stima e rivalità – a messaggio universale di amicizia, rispetto e onore. Quello che l’autore fa è insomma trasformare il racconto della scoperta di un tesoro nel cuore di un’isola misteriosa in un romanzo di formazione con protagonisti due pirati senza tempo e senza età: Jim Hawkins e Long John Silver. A prova di questo vi è lo sguardo finale che l’uomo divenuto vecchio concede al bambino divenuto uomo, un’occhiata soddisfatta e malinconica rivolta al “domani” e alla libertà del vivere, che manifesta in pieno la poetica della serie.
Non contento del gioiello narrativo, caratterizzato da una regia cinematografica fatta di campi lunghi, panoramiche e una suggestiva attenzione al corpo e alla mimica dei personaggi, Osamu Dezaki decise, anni dopo, di tornare a parlare di quei due protagonisti, e lo fece sceneggiando e dirigendo un episodio conclusivo dal titolo Un uomo chiamato Bonaccia, pubblicato in Italia come “extra” de L’Isola del Tesoro nella versione home video, ma mai trasmesso in TV.
La serie televisiva invece andò in onda trasmessa dalla RAI nel 1982, e replicata due volte nel 1983 e nel 1986, con la sigla iniziale in spirito piratesco cantata da Lino Toffolo.
A oggi, L’isola del Tesoro rimane uno degli anime più riusciti, se non il più riuscito, nella storia d’animazione giapponese avente come scenario il mondo dei pirati. Un capolavoro da cui lo spettatore non può che rimanere affascinato. Magari accorgendosi di intonare soprappensiero il motivetto “Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto!”.