Un viaggio a piedi iniziato da più di tre decadi, senza l’ausilio di alcun mezzo di locomozione e marciando sempre controvento. Diciotto uomini e cinque donne: la trentaquattresima Orda; gli ultimi a tentare l’impresa che in otto secoli nessuno è riuscito a portare a termine, e che nessuno, dopo di loro, tenterà più: scoprire l’origine del Vento che segna e domina il loro mondo. In ragione di questo obiettivo e delle modalità sacralmente seguite per raggiungerlo, sono divenuti un mito vivente: gli ultimi, ma anche i migliori. Sono in grande vantaggio rispetto alle altre orde: a parità di tempo hanno percorso più miglia di quanto avessero fatto tutti i predecessori, compresi i loro genitori che li attendono alle pendici dell’Ultima Vetta, la loro meta. Lassù la fine del mondo conosciuto. Forse l’inizio di un altro. Forse la fine di tutto. Hanno già superato infinite insidie, ma sono ben consapevoli che davanti ai loro passi se ne pareranno altrettante e di ancor maggior difficoltà. Lo avevano previsto. Lo avevano accettato. Ciò che non potevano aspettarsi era di avere un inseguitore, agguerrito e temibile, pronto a fare ricorso a ogni espediente per prendersi le loro vite e impedire il successo della missione.
L’Orda del Vento (La Horde du Contrevent, 2004) è un romanzo particolarissimo che si connota per l’originalità della struttura, prima ancora che dell’ambientazione. Singolare è già la numerazione delle pagine, che inizia da 625 e termina a 0; oltre a questo, a far subito capire che si tratta di qualcosa di nuovo è sufficiente l’incipit: incomprensibile, composto da una serie apparentemente casuale di virgole, punti e apostrofi e, laddove intelligibile, da toni criptici, quasi profetici.
Né l’impatto straniante viene davvero attenuato una volta che si superi il prologo: l’autore, Alain Damasio, intesse una prosa a tratti difficile, quasi aulica, che utilizza con mano copiosa neologismi, termini rari o accezioni inusuali. Si entra subito in medias res, con l’Orda appiattita a terra per resistere alle raffiche violente di quella che solo dopo molte pagine il lettore comprenderà essere una delle forme del vento; ed è inutile cercare una chiara spiegazione degli eventi pregressi o una chiave di lettura per quelli in corso di svolgimento.
Sorprendente, fin da subito, è il continuo cambio di voce narrante.
Sì perché il viaggio verrà raccontato attraverso gli occhi dei membri dell’Orda, in prima persona, con cambio di toni, profondità di pensiero e analisi, nonché di sintassi, lessico e forme espressive. Ventitré membri dell’Orda, ventitré voci narranti. Ognuna con sua propria specifica connotazione.
È la caratteristica principe del libro, il suo punto di forza, ma a volte anche la sua debolezza.
Aiuta il lettore il fatto che ogni personaggio è identificato da uno specifico simbolo, posto all’inizio di paragrafo al cambio di voce narrante. Il segnalibro che accompagna il testo offre una legenda sintetica e pratica: una grande omega individua il tracciatore Golgoth; il pi-greco è riservato al principe Pietro; la parentesi tonda è per lo scriba Sov; il punto interrogativo rovesciato con apostrofo introduce il trovatore Caracollo, e così via.
All’inizio, il segnalibro è indispensabile, ma l’abilità di caratterizzazione di Damasio è tale che il lettore si accorgerà molto presto di poter fare a meno dei simboli, riuscendo a riconoscere d’immediato ogni personaggio, dal pensiero e dal modo di esprimersi: il riflessivo Sov comunicherà tramite frasi complesse, descrizioni accurate, esplicitazione di dubbi e ripensamenti; Golgoth, il capo duro e inflessibile, all’opposto, sarà riconosciuto per le espressioni spesso triviali e le frasi brevi e dirette; Caracollo, sempre incontenibile e trascinante, userà di preferenza termini preziosi e giochi di parole.
Opportunamente, Damasio all’inizio riduce il numero dei cambi di prospettiva, limitandoli ai personaggi principali; altrettanto opportunamente inserisce, dopo non molte pagine, un intero capitolo dedicato alla presentazione dell’Orda, ai suoi singoli membri e alle loro abilità. Viene così almeno in parte illustrato il fine del viaggio; viene dato conto di quanto i protagonisti abbiano già perso e acquisito; viene tratteggiato, quantomeno nell’essenziale, il mondo straordinario nel quale vivono. Soprattutto viene spiegato il perché del loro lungo marciare a piedi controvento, quando navi dotate di straordinari motori eolici solcano veloci le pianure come i velieri l’oceano.
La comprensione è però in realtà nulla più che una fuggevole impressione. Vengono infatti introdotte ed elaborate tematiche filosofiche che conducono di nuovo al disorientamento: per esempio, le molto complesse (apparenti) digressioni sul ‘vivo’caratterizzante ogni uomo (qualcosa di diverso dall’anima e dal corpo) troveranno spiegazione solo nelle ultime pagine, per bocca di uno dei personaggi. E così sarà ogni qualvolta il lettore riterrà di aver finalmente compreso, di essere sulla corretta via. Come accadrà ai personaggi dell’Orda: ogni qualvolta raggiungeranno un terreno sicuro, si ritroveranno gettati di nuovo in balia del vento.
Anche sul piano più squisitamente descrittivo, il mondo de L’Orda del Vento ha margini e tratti ‘volatili’ quasi fossero essi stessi spazzati dall’aria imperiosa.
La ricerca dell’origine del Vento è in effetti ricerca del significato stesso dell’esistenza, posto che il mondo tutto è plasmato sulle sue forme; e una tale ricerca non può avere punti saldi, ma solo provvisori, fragili appigli che consentono, dopo titanici sforzi, di procedere soltanto un poco oltre, verso la meta che pare comunque irraggiungibile.
Il procedere per gradi è un tratto saliente anche della ricerca scientifica dell’Orda: per descrivere le forme del Vento, le Orde delle ultime decadi hanno elaborato uno specifico sistema, strutturato sui simboli con i quali si apre il romanzo. Ecco allora pian piano spiegate le tante righe apparentemente incomprensibili: sono trascrizioni delle forme del vento. Accurate. Precise. Per catturare le diverse folate, l’intensità, il variare della direzione, la potenza, il ritmo… Perché il Vento si può leggere e interpretare.
Il romanzo slitta così di continuo tra filosofia e avventura, spesso inscindibilmente tra loro fuse, con forme espressive e sintassi che ricalcano il singolare ritmo del testo e della narrazione.
Sbaglierebbe tuttavia chi temesse noia e dispersività: per quanto le digressioni non manchino, L’Orda del Vento non dimentica l’essenza propria del viaggio. Damasio crea luoghi magici e terribili, città straordinarie e montagne dolorosamente invincibili; avviluppa la storia attorno a personaggi credibili e perfettamente delineati; concede spazio all’azione e alla tensione.
Purtroppo, a volte, il repentino cambio di voce narrante, parallelo nelle intenzioni all’incalzante succedersi degli eventi, confonde idee e disperde immagini, così come l’utilizzo di termini inconsueti e di neologismi si pone spesso come ostacolo alla fluidità e alla comprensione.
È però certo che nella maggioranza delle occasioni l’effetto cercato è pienamente conseguito: indimenticabili restano le estenuanti lotte dell’Orda con il Vento delle pianure, come pure le dolorose perdite alle pendici dell’Ultima Vetta. Una nota a parte merita il singolare duello che vede protagonista Caracollo, incentrato sull’utilizzo della lingua, tanto complesso e di elevato livello da prevedere una prova di costruzione di un intero dialogo per il tramite di complessi palindromi (alcuni dei quali non perfetti per limite della traduzione dal francese).
Il sovrapporsi di più temi, di più voci narranti, di più chiavi di lettura, nonché di più forme espressive, rende L’Orda del Vento senza dubbio uno dei libri più originali e interessanti ai quali la narrativa contemporanea abbia dato luce.
E il lettore non può che restarne affascinato, mentre viene trascinato da un vento impetuoso o accarezzato da una lieve brezza… Fino allo sconvolgente epilogo, dove molte domande troveranno finalmente risposta.ente risposta.