Il terzo libro del ciclo arturiano di Mary Stewart, si apre con la morte di re Uther e il riconoscimento di Artù quale suo legittimo erede.
Determinando la salita al trono del giovane, Merlino ha ottemperato al proprio compito e sembra adesso aver perso i poteri e il favore degli dèi; rimane allora consigliere di Artù solo in forza delle proprie qualità d’ingegno, saggezza e sana umiltà.
Appena confermato re, ebbro della vittoria raggiunta e ignaro dei legami di sangue, Artù viene sedotto dalla sorellastra Morgause, la strega, e concepisce con lei Mordred, il figlio che sarà la sua rovina.
«Gli dei sono gelosi, e cercano di impedire che uno abbia troppa gloria. Ogni uomo ha in sé il seme della propria morte e a ogni vita deve esserci un termine. Quello che è accaduto stanotte è che tu stesso hai stabilito il termine»: in queste frasi di Merlino rivolte ad Artù si cela la chiave di lettura dell’intero romanzo.
La prima parte del libro narra il viaggio di Merlino alla ricerca di Morgause e del figlio da lei concepito con il re, e si chiude con l’inganno con cui la strega spingerà il marito Lot all’eccidio dei bambini nati contemporaneamente al suo, scaricandone la colpa su Artù. La narrazione qui è molto lenta, appesantita da inutili descrizioni poco finalizzate allo sviluppo della trama.
La seconda parte però val bene lo sforzo di affrontare la prima: la storia diviene più dinamica e abilmente introspettiva, offrendo al lettore vari spunti di riflessione.
Mentre, perse le tracce di Mordred e superata la tragedia dell’infanticidio, la vita di Artù procede e il re sposa Ginevra – la quale poi si innamorerà di Bedwyr, il migliore amico del consorte, riproponendo così il tristissimo e quanto mai famoso triangolo della leggenda –, Merlino declina inesorabilmente verso la vecchiaia. È in questo periodo che il mago conosce Nimue, la donna a cui cederà tutte le sue conoscenze, le ultime tracce di magia e infine il suo cuore.
In un crescendo di emozioni si giunge così alla parte finale: Merlino, creduto morto, verrà sepolto nella Grotta di Cristallo, dove poi si risveglierà…
L’ultima scena è veramente poetica, quasi fiabesca, con Merlino a implorare per l’ultima volta il Dio di esaudire quello che per l’intera saga è stato il suo unico desiderio: poter sentire la musica delle stelle.
Ancora una volta Mary Stewart spiazza il lettore, tralasciando la descrizione di mirabili vittorie militari e grandi ricostruzioni epiche, presentando invece le vicende da un punto di vista originale e permeandole di una vena malinconica.
La figura di Artù si discosta dagli stereotipi abituali: la storia toglie l’accento dalle sue doti guerresche, preferendo soffermarsi sulle sue qualità umane.
L’Artù sentimentale rincuora Merlino, spiegando che il Dio non ha mai abbandonato il mago, che la malattia e l’assenza di visioni sono parte di un disegno più grande, un modo di costringere il re stesso a maturare, a prendere da solo le proprie decisioni e assumersene le responsabilità.
L’Artù giudizioso accoglie con filosofia il tradimento di Ginevra, ragionando sulla triste realtà delle donne della sua epoca, costrette a vivere nell’ombra degli uomini e a vedersi negata la facoltà di decidere del proprio destino.
L’Artù equo rifiuta di far ricadere sui figli le colpe dei padri; accoglie presso di sé l’erede avuto da Morgause, e i nipoti, che poi diverranno i suoi più fedeli seguaci.
L’Artù statista illuminato combatte i Sassoni ma riconosce il diritto di cittadinanza a chi tra essi ormai da generazioni vive sul suolo britannico, creando così le basi di una “moderna” società multietnica.
Questo è il Somme Re che la Stewart ci regala e di cui ancora una volta ci innamoriamo, neofiti o vecchi seguaci del Ciclo Bretone, lasciandoci quasi consolare, in tanta grandiosità condannata a perenne solitudine, dal suo incontro con un altro destino solitario: quello di Merlino.
È evidente infatti il parallelismo tra le due figure: entrambi gli uomini crescono senza genitori, figli bastardi di un re mai conosciuto, ordinati in modo ineluttabile a ricoprire un posto nella storia sacrificando a ciò ogni altra aspirazione; privati dell’amore di una donna, moglie, madre o sorella, ritrovano nella reciproca compagnia quel calore umano a loro negato da un Dio che li governa come marionette nel suo Grande Disegno.
Con quest’amicizia l’autrice conclude un ciclo volutamente incentrato non su fatti storici ma su rapporti umani, facendo sorridere il lettore con la semplicità di questo re e di questo vecchio consigliere che si servono l’un l’altro sorretti dal reciproco affetto.