PRESENTAZIONE
Nessuno dei libri della serie di Darkover ha suscitato tante controversie quanto questo. Persino le discussioni causate da Darkover Landfall, quando le femministe hanno attaccato una mia supposta presa di posizione contro l’aborto (nel libro un personaggio rifiutava a Camilla il diritto di por fine a una gravidanza non voluta), non hanno raggiunto i livelli della disputa suscitata dalle Libere Amazzoni. Dopotutto, in Landfall io avevo semplicemente espresso un punto di vista moderato affermando che forse i vantaggi di un individuo passavano in seconda linea rispetto al bene della maggioranza; una posizione giustificabile e necessaria. Anche se la dialettica del femminismo radicale forse non lo ammette, io non ho mai creduto che il mondo sia stato inventato per la mia convenienza, e non ho mai pensato che il bene della comunità debba essere subordinato alle mie preferenze personali. E non ritengo nemmeno che questa sia una posizione anti-femminista.
Ma la gente si infervorò molto riguardo a Darkover Landfall. Non riesco proprio a capire perché: dopotutto si trattava solo di personaggi di un libro, e in quel libro almeno avevano potuto esprimere in maniera chiara e corretta le loro posizioni a favore dell’aborto e a favore della convenienza individuale. Non ho mai pensato che fosse compito della fantascienza offrire delle risposte: il compito della sf è quello di fare domande, e se queste domande sono scomode, tanto meglio. Ciò nonostante, a una convention mi ritrovai bloccata da una ragazza piangente — piangeva davvero! — che riteneva un’offesa personale ciò che io avevo fatto al suo personaggio preferito, e che mi rimproverò aspramente per circa mezz’ora per la mia insopportabile presa di posizione sulla faccenda, come se io fossi stata il capo della colonia che aveva negato l’aborto a Camilla, o come se io stessi personalmente costringendo lei, la giovane piangente, a una gravidanza indesiderata. E poi lettere, recensioni su fanzines, e una lunga discussione appassionata su una fanzine femminista, in cui fui tanto scriteriata da intromettermi. (In teoria, la mia posizione è «Non dar mai spiegazioni e non chiedere mai scusa; i tuoi amici non ne hanno bisogno e i tuoi nemici non ci crederanno.»)
Ma tutto ciò fu nulla in confronto all’esplosione causata dalle Libere Amazzoni, cioè dal libro che avevo concepito come Free Amazons of Darkover e che fu pubblicato come The Shattered Chain (La catena spezzata).
Un critico inglese scrisse una lunga recensione che denominò «The Shattered Dream» (Il sogno infranto), dicendo che in precedenza aveva ammirato le storie di Darkover, ma che questa era scritta male, rozza, e totalmente inimmaginabile, con una filosofia che avrebbe distrutto qualsiasi rapporto decente tra gli uomini e le donne. Un altro critico, di Salt Lake City, definì il libro «una polemica femminista sottilmente camuffata da romanzo», e affermò che un tale stato di guerra violenta tra uomini e donne avrebbe distrutto tutta la società civilizzata.
Oh, ci furono anche recensioni favorevoli. Judy Blum, su «Science Fiction Review» di Baird Searles, commentò che quasi tutte le storie d’avventura venivano scritte per gli uomini, e che le donne lettrici si sentivano sempre come le tifose che guardano le partite di baseball sapendo benissimo che si tratta di un gioco che nessuna donna può praticare; e concludeva così: «Grazie, signora, per averci fatto entrare nel campo da gioco».
L’idea di donne che avessero avventure per conto loro — e salvassero perfino uomini non abbastanza in gamba per salvarsi da soli — deliziò moltissime lettrici, e anche tutti quei lettori che ammiravano l’intrepida Emma Peel del ciclo televisivo The Avengers, interpretata così bene da Diana Rigg, che era tanto bella e intelligente da eclissare la sbiadita figura di John Steed, l’eroe di quella serie purtroppo così breve: i lettori che erano in grado di apprezzare Mrs. Peel, ammiravano anche le Amazzoni.
E ci furono molte donne le quali sentirono che, in qualche modo, il concetto della Lega delle Libere Amazzoni aveva cambiato la loro vita. Una ragazza di mia conoscenza cambiò addirittura il suo nome, legalmente, in quello di «Jaida n’ha Sandra» evitando così il problema del suo cognome (padre vero o padre putativo?) ed evitando al contempo anche la goffaggine delle «Helen Marychild» o «Barbara Karendaughter» (Helen figlia di Mary, e Barbara figlia di Karen) che alcune femministe locali hanno adottato. Almeno un gruppo di Creativi Anacronisti, composto principalmente da donne, è organizzato come una Lega o Corporazione; con
«madri della corporazione», invece che come regno di re, regina, tornei, e donne sedute di lato. Molte donne combattenti in quella Società hanno adottato personalità da amazzoni, e sono diventate combattenti vere… per quanto nessuna, a mia conoscenza, ha dovuto affrontare mai le implicazioni del diventare «re» della Società.
E moltissime donne mi hanno scritto per ringraziarmi di aver composto un libro dove le vite delle donne fossero prese sul serio, e non considerate semplicemente nell’ambito domestico e nei loro rapporti con gli uomini.
Un libro su donne indipendenti, che lottano in una società ostile e realistica per mantenere un’indipendenza conquistata a duro prezzo, è piaciuto a donne che erano rimaste spaventate, dalla società di sole donne proposta da The Female Man di Joanna Russ, dove le donne erano indipendenti, senza uomini a contestare tale indipendenza, come Janet su Whileaway, o totalmente sottomesse come Jeanne nel mondo dominato dagli uomini.
Io avevo ammirato il libro della Russ, e mi era persino piaciuto. Ma sentivo, e lo sento ancora, che postulare donne indipendenti in una società di sole donne, dove tutti gli uomini sono convenientemente morti, è una specie di fuga: come se le donne non potessero mantenere con successo la loro indipendenza se avessero qualche uomo attorno, e dovessero cederla automaticamente a loro. Le mie donne, lo sentivo, erano abbastanza forti da rimanere indipendenti anche con uomini intorno a contrastare tale indipendenza.
E volevo una società realistica: non una società perfetta, di sogno, dove non ci fossero uomini a sfidarle, ma un mondo di donne che lottavano, come fate voi, e come faccio io, e come fanno tutte (tranne forse i tipi arrendevoli che leggono «Affascinante femminilità» di Marabel Morgan e seguono corsi per diventare la Donna Totale) per conservare indipendenza e autonomia quando tutti gli uomini nei paraggi se ne sentono minacciati.
E così nacquero le Amazzoni, l’onorevole alternativa in una società patrista-patriarcale: le donne che hanno conquistato la libertà con «la rivolta e la rinuncia» e la conservano, non come un dono offerto loro dalla loro società priva di uomini, ma combattendo per essa, lavorando per essa, e rinunciando alla facile scelta di diventare proprietà di qualche uomo.
Donne che si sono guadagnate la loro libertà, e che sanno che il suo prezzo è la perpetua vigilanza; donne che si sono dolorosamente liberate con coraggio e forza, rinunciando proprio a molte di quelle cose che rendono il mondo sopportabile alle donne.
E tuttavia, nel maremoto generale di tutte quelle che avevano ammirato le Amazzoni, c’era una sottocorrente che mi impauriva e mi preoccupava; perché veniva non dagli uomini che consideravano una minaccia il mio sostegno morale delle Libere Amazzoni (ricordo ancora l’uomo che scrisse e affermò che le Libere Amazzoni non lo interessavano perché sua moglie e le sue figlie erano già «molto libere». Mi domando che cosa avrebbero detto la moglie e le figlie se l’avessero sentito.) ma proprio da un gruppo di donne: le femministe, le radicali, che, con mia totale costernazione, pensavano che io avessi ceduto al compromesso, mi fossi venduta, e avessi tradito il movimento femminista.
Ci fu un articolo intitolato «Le Amazzoni schiave di Darkover». Ammetto di non averlo letto a fondo — dopo la debacle sulle fanzines femministe riguardante Darkover Landfall, avevo deciso di non aver più adrenalina da sprecare con gente che attaccava gli «uomini di paglia» che voleva a tutti i costi vedere nei miei libri — ma penso che volesse dimostrare che le Amazzoni erano lì solo come ulteriore fonte di eccitamento per gli uomini… che Kyla, per esempio, in The Planet Savers, reagiva «tipicamente» a Jay/Jason innamorandosi subito di lui; e che io, come autrice, stavo perorando la teoria che nessuna donna avrebbe conservato la propria indipendenza di fronte alle profferte d’amore di un uomo. E c’era una tremenda sottocorrente di pensiero che dichiarava che, quando avevo permesso a Jaelle d’innamorarsi di un uomo, avevo tradito tutto il movimento femminile.
Jaelle, così diceva questo gruppo, era una donna forte e indipendente che aveva trovato se stessa come amazzone; ma quando io, come autrice (una donna disse perfino «dopo aver preso in giro tutte le lesbiche del pubblico per tre quarti del libro»), permettevo che Jaelle rinunciasse alla sua indipendenza per un uomo, trattavo i suoi voti da amazzone come una stupida fantasticheria infantile che avrebbe superato e dimenticato non appena avesse incontrato un uomo capace di dare un vero significato alla sua vita.
Adesso, io non la vedo affatto a questo modo. La teoria esposta nel libro era che tutte noi — persino quelle che si considerano libere — ci blocchiamo con catene invisibili, ancor più pesanti proprio perché non ci rendiamo conto della loro esistenza. Kindra lo dice chiaramente, all’inizio del libro:
«Meglio portare catene consapevolmente, che bloccarsi con catene invisibili, e credersi libere.»
Magdalen Lorne, agente terrestre, ritiene, in tutta onestà, di avere il meglio dei due mondi senza averne gli svantaggi; tuttavia, messa di fronte a problemi di vita o di morte, scopre di avere in realtà il peggio di entrambi i mondi; lei reagisce istintivamente al suo condizionamento da’
buona donna darkovana e non sa difendersi, e inoltre, persino come terrestre, si ritrova schiava dell’ex marito che non la vuole, e del suo senso di colpa per non avergli dato il figlio che lui desiderava. Per lei, forse, il giuramento delle Amazzoni è una porta verso la libertà.
E Jaelle, che ha fatto il giuramento da bambina, per reazione alla sua infanzia nelle Città Aride, e al suo terrore di crescere in catene, come sua madre, resa schiava e violentata, si è sempre ritenuta libera. Solo quando deve affrontare, per la prima volta, un impulso emotivo che non sa vincere o ignorare, comprende di aver accettato la sua libertà senza pensarci sopra, e quindi di essere vulnerabile ai propri insistenti impulsi biologici: il suo desiderio per Peter, la bramosia repressa per lo stato adulto «incatenato» della sua infanzia nelle Città Aride. Lo schema sessuale di rapporto con il sesso opposto è completamente determinato, di solito, quando un bambino ha sette anni. Jaelle è vissuta nelle Città Aride fino alla pubertà.
Cosicché Jaelle, credendosi libera, si ritrova invece vincolata.da catene invisibili.
Molte ire femministe sono state riservate all’eloquente sermone che Rohana fa a sostegno della propria scelta: il suo tentativo di convincere Jaelle che la propria vita, nonostante il disprezzo di Jaelle, non è stata del tutto infelice o sprecata. Sembra che le femministe vedano qui l’autrice che parla con la «voce della ragione» e ritengano che tutte le frasi pronunciate dalle altre donne nella storia debbano venire distrutte da questo sermone. In realtà, invece, Rohana alla fine del libro riafferma quello che Kindra aveva detto all’inizio: che è meglio cioè vincolarsi con catene reali che non illudersi di essere libere e soggiacere a catene invisibili. Naturalmente, Rohana non ha mai nutrito quell’illusione di libertà. Deliberatamente, e con gli occhi ben aperti, ha scelto la propria servitù: alla sua famiglia, al suo clan, ai suoi figli e alla sua casta, al marito sofferente, al Consiglio dei Comyn. E quando Jaelle le chiede in tono sarcastico se c’è qualcosa che lei non ha avuto, Rohana ribatte — e quello per me è il punto più tragico del libro — di aver avuto tutto, tranne la libertà. Rohana non porta catene invisibili: le sue catene si vedono, e lei le porta con coraggio e in piena coscienza.
Perché questo ha fatto arrabbiare tanto le femministe?
Forse perché, per loro, il mondo delle Amazzoni sembrava la realizzazione di un desiderio, del sogno di quella perfetta libertà che esiste appunto soltanto nei sogni e nella fantasia; e non possono sopportare l’idea che ci sia un serpente anche nel loro Eden di donne, nel loro paradiso di perfezione. E tuttavia The Shattered Chain non è una fantasy. È un romanzo realistico e io intendevo affermare un punto di vista realistico.
Quale punto di vista? Be’, io ricordo ciò che disse Colette: «Il romanzo che legge il lettore non è mai il romanzo che io ho scritto. Ogni lettore proietta il proprio romanzo sulle parole stampate.» Ma se io avevo qualcosa da dire con The Shattered Chain — e soprattutto, quando lo scrivevo, volevo solo narrare una bella storia di donne forti e indipendenti che avevano avventure per conto loro — era questo: che non esiste un mondo perfetto; che nessuna scelta è senza rimpianti; e, per dirla con le parole di Arwen Evenstar di una delle mie pochissime storie alla Tolkien, «Qualsiasi cosa io decida, mi causerà più gioia e dolore di quanto io possa prevedere.»
Se The Shattered Chain ha un qualche «messaggio», è proprio questo: non esiste una scelta perfetta. Non c’è mai un «lieto fine». Prendi quello che puoi, dice un vecchio proverbio spagnolo, e pagalo. O, per dirla in modo più frivolo: sta’ attento a quello che paghi, perché probabilmente l’otterrai.
E ogni donna — come anche ogni uomo — è libera di scegliere le sue catene, o di flirtare con la pericolosa e impossibile illusione della libertà.
Marion Zimmer Bradley
Anteprima testo
IL GIURAMENTO DELLE LIBERE AMAZZONI
A partire da questo giorno, io rinuncio al diritto di sposarmi se non come libera compagna. Nessun uomo mi legherà di catenas, e non vivrò nella casa di nessun uomo come barragana.
Giuro di essere pronta a difendermi con la forza se verrò attaccata con la forza, e di non rivolgermi a nessun uomo per chiedere protezione.
A partire da questo giorno, giuro che non sarò mai più conosciuta con il nome di un uomo, sia esso padre, tutore, amante o marito, ma semplicemente ed esclusivamente quale figlia di mia madre.
A partire da questo giorno giuro che non mi darò a un uomo se non al momento da me scelto e di mia libera volontà, per mio desiderio. Non mi guadagnerò mai il pane quale oggetto della libidine di un uomo.
A partire da questo giorno giuro che non partorirò figli a un uomo se non per mio piacere e al momento da me scelto; non partorirò figli a nessun uomo per la casa o l’eredità o il clan o l’orgoglio o la posterità; giuro che io sola deciderò circa l’allevamento e l’affidamento di ogni figlio che partorirò, senza nessun riguardo per il rango, la posizione e l’orgoglio di un uomo.
A partire da questo giorno, rinnego ogni devozione alla famiglia, al clan, al casato, al tutore o al sovrano, e giuro di dovere fedeltà solo alle leggi della terra, come deve un libero cittadino: al regno, alla corona e agli Dèi.
Non mi appellerò a nessun uomo per chiedere protezione, appoggio o soccorso; ma dovrò devozione solo alla mia madre per giuramento, alle mie sorelle della Lega e al mio datore di lavoro per la durata del mio contratto.
Giuro inoltre che le componenti della Lega delle Libere Amazzoni saranno per me come mia madre, mia sorella o mia figlia, nate dal mio stesso sangue; e giuro che nessuna donna vincolata per giuramento alla Lega si appellerà a me invano.
Da questo momento, io giuro di ubbidire a tutte le leggi della Lega delle Libere Amazzoni e a ogni comando lecito della mia madre per giuramento, delle componenti della Lega o del mio capo eletto per la durata del mio impiego. E se tradirò un segreto della Lega, o violerò il mio giuramento, mi sottometterò alle madri della Lega per la punizione che decideranno; e se non lo farò, allora che la mano di ogni donna si levi contro di me, e mi uccidano come un animale e consegnino il mio corpo insepolto alla putredine e la mia anima alla pietà della Dea.
PARTE I: ROHANA ARDAIS, COMYNARA
CAPITOLO I
La notte scendeva sulle Città Aride, esitando come se, in quella stagione, il grande sole rosso fosse riluttante a tramontare. Liriel e Kyrrdys, pallide nell’indugiante luce del giorno, erano basse sopra le mura di Shainsa.
Entro le. porte, al limitare della grande piazza del mercato spazzata dal vento, un gruppetto di viaggiatori si stava accampando: dissellavano le cavalcature e scaricavano gli animali da soma.
Non erano più di sette od otto, e tutti portavano i mantelli con cappuccio, le tuniche pesanti e i calzoni da viaggio in uso nel territorio delle montagne, la landa lontana dei Sette Dominii. Faceva caldo nelle zone desertiche di Shainsa, a quell’ora in cui il sole ardeva ancora con un certo vigore, ma i viaggiatori portavano ancora mantelli e cappucci; e sebbene ognuno di loro fosse armato di coltello e pugnale, nessuno aveva la spada.
Questo era sufficiente a incuriosire la folla degli sfaccendati della Città Arida, che oziavano per vedere accamparsi i forestieri. Quando uno di loro, sudando sotto il peso delle borse cariche, ributtò indietro il cappuccio rivelando la testa piccola e ben modellata, con i capelli scuri tagliati corti come non li aveva mai portati nessuno, uomo o donna, nei Dominii e nelle Città Aride, i curiosi cominciarono a rallegrarsi. Di solito succedeva ben poco nelle vie di una Città Arida, e perciò i curiosi si comportavano come se l’arrivo degli stranieri fosse uno spettacolo gratuito inscenato apposta per loro, e si sentivano in diritto di fare commenti.
— Ehi, là, venite a dare un’occhiata! Sono Libere Amazzoni dei Dominii!
— Svergognate, ecco che cosa sono: se ne vanno in giro così, senza un uomo! Io le caccerei tutte da Shainsa, prima che corrompano le nostre mogli e le nostre figlie!
— Cosa c’è, Hayat? Non sei capace di tenere a bada le tue mogli? Le mie non scapperebbero per tutto l’oro dei Dominii… Se cercassi di mandarle via tornerebbero indietro piangendo: lo sanno che con me fanno la vita comoda…
Le Amazzoni udivano i commenti, ma erano state avvertite, e se l’aspettavano. Continuarono tranquillamente ad accamparsi, come se i curiosi fossero invisibili e muti. Imbaldanziti, gli uomini della Città Arida si fecero più vicini, e le battute scherzose volarono, pungenti: alcune, adesso, erano indirizzate direttamente alle donne.
— Avete tutto, no, ragazze?… spade, coltelli, cavalli, tutto, tranne quello che conta di più!
Una delle donne arrossì e si voltò, socchiudendo le labbra come per replicare; la comandante del gruppo, una donna alta, snella e svelta, si girò verso di lei e le disse qualcosa, concitatamente, a voce bassa; l’altra abbassò gli occhi e tornò a occuparsi dei paletti della tenda che stava piantando nella sabbia ruvida.
Uno degli sfaccendati della Città Arida, dopo aver assistito alla scena, si accostò alla comandante e borbottò, in tono allusivo: — Le tieni in pugno le tue ragazze, no? Perché non le lasci in pace e non vieni con me? Posso insegnarti cose che non hai mai sognato…
La donna si voltò e spinse indietro il cappuccio mostrando, sotto i capelli corti e brizzolati, un volto magro e armonioso, di mezza età. Disse con voce leggera e chiara: — Ho imparato tutto quello che potresti insegnarmi molto tempo prima che tu imparassi a camminare, animale. In quanto ai sogni, anch’io ho incubi come chiunque altro, ma siano ringraziati gli Dèi, finora mi sono sempre svegliata.
Gli astanti sghignazzarono. — Ti sta bene, Merach! — Ora che avevano incominciato a lanciarsi le battute pungenti tra loro, anziché alle donne, le Libere Amazzoni procedettero più spedite nel montare il campo: un chiosco, che serviva evidentemente per vendere o comprare, un paio di tende per dormire e un riparo per proteggere i cavalli di montagna dal sole violento delle Città Aride.
Uno dei curiosi si fece avanti: le donne si tesero, prevedendo altri insulti, ma quello si limitò a chiedere, abbastanza educatamente: — Posso chiedere cosa siete venute a fare qui, vashi domnis? — Aveva un accento pesante, e la donna cui si era rivolto lo guardò senza capire; ma la…
Tit. originale: The Shattered Chain
Anno: 1976
Autore: Marion Zimmer Bradley
Ciclo: Ciclo di Darkover (Darkover Series)
Edizione: TEA (anno 2003), collana “TEADue” #1094
Traduttore: Roberta Rambelli
Pagine: 256
ISBN: 8850204132
ISBN-13: 9788850204137
Dalla copertina | A partire da questo giorno, io rinuncio al diritto di sposarmi se non come libera compagna. Nessun uomo mi legherà, e non vivrò nella casa di nessun uomo. Giuro di essere pronta a difendermi con la forza se verrò attaccata con la forza, e di non rivolgermi a nessun uomo per chiedere protezione. “La catena spezzata” racconta la vita delle libere Amazzoni di Darkover, donne coraggiose, intrepide e indipendenti ma soprattutto le uniche in grado di controllare i poteri arcani delle pietre matrici.